Lavoro, genere (anche) femminile

“L’eventuale disparità di stipendio tra uomo e donna non dipende dalle norme, ma dagli straordinari. Gli uomini li fanno, mentre le donne preferiscono stare a casa con i propri figli. Diciamo le cose come stanno.” Con queste parole, pronunciate ieri durante le indicazioni di voto su alcune proposte di legge per introdurre modifiche alle leggi regionali n.25/2009 e n.32/2008 sulle quote rosa, il capogruppo della Lega Nord in Regione Lombardia, Massimiliano Romeo, ha liquidato la condizione delle donne nella società e nel lavoro. Ma il suo “intervento politicamente scorretto”, come lo stesso Romeo lo ha poi definito, è di fatto anche culturalmente scorretto. E non fa i conti con la realtà delle donne in Italia.
Proprio quel Bel Paese che nell’ultimo Global Gender Gap Report 2016 è 50° in classifica nel rank generale, dopo Paesi europei come Spagna e Gran Bretagna e altre nazioni come Trinidad and Tobago e Monzabico. Per precipitare al posizione 117° nel sottoindice del report dedicato alla partecipazione economica e alle opportunità nel lavoro, un rank migliore solo rispetto a Messico, Cile e Bangladesh. Una fotografia impietosa, stavolta sì, della condizione delle donne anche in Italia.

Un gap, un divario, che né la politica né la società, culturalmente, ancora si preoccupano concretamente di colmare. E, in Italia, il settore a soffrirne di più è quello del lavoro. Dalla ricerca al colloquio, fino alle condizioni contrattuali a carico delle donne. La famiglia e i figli diventano un privilegio, e per chi se lo concede un ostacolo.
“Lei intende avere figli?”. “Che età hanno i suoi figli?”. “Io preferisco lavorare solo con uomini, meno intoppi”. Queste non sono esempi frutto di fantasia, ma racconti di donne che si sono viste, spudoratamente, escluse da un datore di lavoro in sede di colloquio solo perché donne. E se i figli già li hanno, e stanno cercando un lavoro, può capitare anche di sentirsi dire: “I suoi ‘fardelli’ sono ancora piccoli. Magari quando cresceranno …”. Donne il cui valore e merito professionale viene schiacciato e superato dai colleghi uomini, che nelle attuali politiche italiane sono svincolati da obblighi familiari e quindi non rappresentano un ‘costo’ per le aziende che li assumono. Un aspetto questo non irrilevante per sanare il divario nel lavoro tra i due sessi, e ne sono la prova i Paesi del Nord Europa che volano alti nelle classifiche mondiali e che attuano politiche eque e di welfare che favoriscono l’ingresso e, in caso di maternità, il rientro nel mondo del lavoro a condizioni uguali ai colleghi.

Un incoraggiamento in tal senso, nei giorni scorsi, è arrivato dal presidente dell’Inps Tito Boeri che ha proposto 15 giorni di congedo di paternità obbligatorio per i lavoratori entro il primo mese di vita del figlio. L’obbligo del congedo è l’aspetto determinante perchè tutelerebbe il lavoratore da eventuali ritorsioni. Ad oggi infatti solo 4 lavoratori su 100 usufruiscono del congedo facoltativo. Una previsione che faciliterebbe il ritorno delle donne e madri nel mondo del lavoro, ma che come lo stesso Boeri ha sottolineato ha bisogno di essere preceduta da una “battaglia culturale”. Una cultura maschilista, che vede ancora la donna solo come ‘angelo del focolare’ o peggio come un’incubatrice prima e una educatrice di figli dopo. Una cultura che diventa anche senso di colpa, e spinge e costringe tante donne e lavoratrici a rinunciare ad essere altro da quegli stereotipi. E forse è per questo che il capogruppo della Lega Romeo ha constatato che le donne rinunciano agli straordinari: perché non possono fare diversamente.

70 anni fa la Costituzione Italiana, all’articolo 37 primo comma, ha sancito: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.” Un promemoria, che dura da oltre mezzo secolo, utile non solo al consigliere Romeo ma anche ai tanti che, in famiglia e sul lavoro, favoriscono le diseguaglianze.

15 Pensieri su &Idquo;Lavoro, genere (anche) femminile

  1. Le affermazioni del capogruppo della Lega Nord, al di là degli eufemismi, sono false, menzogne vere e proprie. Credo che anche in Italia la maggioranza delle persone istruite riconosca, a prescindere dal genere, la discriminazione femminile sia in termini di opportunità di lavoro che di guadagno. E se poi aggiungiamo la violenza di cui sono vittime, dei femminicidi il quadro del problema del maschilismo come fenomeno da combattere sia completo. Ritengo però che se il maschilismo è una malattia sociale degli uomini, le donne ne sono portatrici sane. Auspico una concorde volontà di superare il fenomeno, e condivido lo scetticismo sulla posizione dell’Italia, che si conferma paese arretrato e da molti anni in fase di involuzione.

    • Concordo in pieno, Daniele, sul fatto che le donne stesse si fanno portatrici di questo disvalore nei confronti delle stesse donne. Ed è infatti proprio questa realtà che rende chiara l’arretratezza culturale dell’Italia, dove le donne non hanno ancora maturato la consapevolezza dei loro diritti, negati, e anche nella migliore delle ipotesi sono sempre schiacciate dall’esigenza di dover dimostrare quel che valgono. Persino in famiglia, tra le mura domestiche. Auguriamoci che l’involuzione si fermi, quanto meno. Grazie del tuo contributo.

  2. L’ Art. 37 della ns, costituzione esprime in modo mirabile il concetto di base del problema di cui si tratta . Frutto delle menti
    illuminate che pure avendo DIVERSI orientamenti politici hanno
    espresso l’ essenza del problema DONNA , nei diversi aspetti sociali ed economici.
    Per quanto riguarda poi il LAVORO STRAORDINARIO ,che dovrebbe essere per definizione qualcosa di temporalmente non
    programmabile , diciamo pure che oggi se ne fa un abuso per creare sperequazioni contributive fra i diversi lavoratori: insomma
    un ” Bonus” che si dà empaticamente ad un certo tipo di lavoratore , che sia in condizione di accettarlo.
    Ma così facendo,non si tiene conto del concetto FAMIGLIA nel
    contesto sociale , che è il primo dovere dello STATO nella tutela
    di un interesse generale e non del singolo individuo !.
    Riguardo poi all’ IMPREDITORE scorretto per non dire ignorante,
    che pone il problema dei figli come ” FARDELLI” personali , sarei
    curioso di sapere se considera i propri figli come dei ” fardelli” !.
    In questa ottica bene si pone il provvedimento del Presidente Boeri
    che è in perfetta sintonia con quanto dispone l’ Art. 37 .
    Concludendo vorrei aggiungere , a proposito di meriti o demeriti,
    che è il caso a determinare il sesso alla nascita con quello che ne
    consegue, e ognuno deve fare del suo meglio per non ghettizzare
    l’ altro sesso e non avvantaggiarsi economicamente , perchè è
    costuzionalmente ed eticamente SCORRETTO .!

    • Grazie intanto delle tue riflessioni, Cesare. Il problema culturale attuale, e anche sessista purtroppo, è espresso bene (in realtà male) dal consigliere leghista. Si accusano le donne di non fare straordinari, ma poi non si danno strumenti e servizi per avere la possibilità di lavorare, anche più ore. E sono gli stessi che altrove, in altri dibattiti, si lamentano magari con le donne dicendo che dovrebbero dedicare più tempo alla famiglia. Una schizzofrenia sociale che culimina anche in spot come il recente FertilityDay che colpevolizza le donne di non avere figli, o di averne ‘ancora’ solo uno. Questa non è più tutela dei diritti delle donne, qui le donne sembrano più che altro burattini.

  3. quello che scrivi è giusto. La disparità tra uomo e donna c’è e si vede. Poche storie.La lega Nord come altre formazioni politiche pensa che la donna dovrebbe stare ai fornelli e curare la prole – numerosa – senza un lavoro retribuito. Però a quanto pare non sono penalizzati da questi concetti.
    Ma torniamo al problema di fondo che l’articolo 37 descrive in pieno e che qualcuno cavalca con le famose quote rose. Se la donna vuol lavorare e si dimostra capace non capisco perché mettere i paletti. Si assume e basta. Se preferisce starsene a casa, nessuno deve mettere in discussione la sua scelta. Ancora non si capisce bene perché certi lavori, vedi la scuola, sia l’orto per la donna, come se lì fossero migliori del maschietto di turno.
    Oppure ancora certi lavori di sportello – vedi le poste italiane – siano monopolio femminile. E’ vero che i posti vengono occupati da chi ne fa richiesta e si dimostra all’altezza ma questa mentalità di suddividere i lavori in maschili e femminili mi sembra becera.

    • Sono d’accordo sul fatto che non vanno suddivisi i lavori in maschili e femminili. Ritengo si faccia così per comodità e convenienza, perché scardinare certezze figlie di fatto di culture sessiste fa comodo. Solo che gli spazi riservati alle donne restano comunque pochi e vanno stretti a tutti. L’articolo 37 poi è uno dei meno citati, quasi dimenticato.

      • credo che l’articolo 37 non lo conosca nessuno.
        Certo la suddivisione è figlia di una cultura vecchia dura a morire, perché con la complicità femminile si è accettato questo. Insegnare per la donna era il top. tempo libero, possibilità di figliare, ecc. Per cui l’uomo faticava a credere in questo lavoro. E si potrebbe proseguire su questo aspetto.

      • Invertire certi schemi è comunque un arricchimento. L’insegnamento secondo me era visto prevalentemente ad appannaggio delle donne perché era ed è una professione legata all’educazione delle nuove generazioni, fin dall’infanzia. Un ruolo da sempre attribuito alle donne. E torniamo al punto di partenza: donne uguale ruolo pedagogico in famiglia e società. Come se i padri o gli uomini in genere non fossero capaci.

  4. che imbecille. Se sua moglie o alttre “preferiscono stare a casa” non vuol dire che valga per tutte. Ma poi invece di chiedersi perchè molte donne non vogliono fare gli straordinari perchè non diciamo una buona volta che nessuno ha il diritto di chiederti di restare oltre l’orario di lavoro (a meno che tu non sia un medico o cose del genere)?

    • La legge in realtà prevede questo diritto, così come prevederebbe il diritto del lavoratore di rinunciare e rifiutare lo straordinario. Poi però il lavoratore è spinto ad accettare la richiesta, anche per paura di ritorsioni. Per le donne questo si traduce in una colpa, specie se sono madri.

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