Stralci di dichiarazioni, appunti e una selezione di dati ufficiali raccolti direttamente dai Rapporti annuali dei principali enti e associazioni.
Come sempre per guardare la realtà attraverso La Lente, e rifletterci per vaccinarsi dall’indifferenza.
Buona lettura!

Persone senza dimora e Lavori pubblica utilità (Foto: web)
18 luglio 2022
Giustizia minorile e Persone senza dimora – Imputanti in “messa alla prova” impegnati in lavori di pubblica utilità in favore di persone senza dimora. Lo scorso 14 luglio è stata firmata una convenzione tra l’Associazione onlus Avvocato di strada e il Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità del Governo che punta a coinvolgere numerosi imputati minorenni in un progetto che prevede l’inserimento degli imputati ammessi nelle oltre 50 sedi dell’Associazione Avvocato di Strada. Qui supporteranno il lavoro degli avvocati volontari nell’assistenza alle persone senza dimora. “Siamo fieri di aver firmato una convenzione che ci auguriamo potrà dare una possibilità a tanti imputati di impegnarsi in prima persona in un progetto di rilevanza sociale al fianco delle persone più deboli”, ha spiegato Antonio Mumolo, avvocato e presidente di Avvocato di strada ODV. “Il lavoro di pubblica utilità offre opportunità di rivisitazione della condotta posta in essere (…) Riconosciamo loro dei diritti che poi a loro volta impareranno a riconoscere agli altri” ha precisato Gemma Tuccillo, Capo di Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità.
Di seguito il comunicato stampa dell’Associazione:
“Mumolo: “Verso un modello di giustizia che crea una reale alternativa al carcere e che aiuta chi vive in strada”
Una convenzione per offrire agli imputati maggiorenni in “messa alla prova”, la possibilità di svolgere lavori di pubblica utilità in favore delle persone senza dimora e costituisce un importante passo avanti nel potenziamento anche in Italia di un modello di giustizia di comunità in linea con le più importanti tradizioni europee.
“Oggi – afferma Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada – siamo fieri di aver firmato una convenzione tra la nostra associazione e il Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità del Governo Italiano che ci auguriamo potrà dare una possibilità a tanti imputati che potranno impegnarsi in prima persona in un progetto di rilevanza sociale al fianco delle persone più deboli”.
In base alla convenzione, i soggetti ammessi allo svolgimento dei lavori di pubblica utilità saranno inseriti presso le oltre 50 sedi dell’Associazione “Avvocato di strada ODV” dove ogni anno vengono tutelate gratuitamente da un punto di vista legale circa 4000 persone senza dimora. presteranno supporto allo staff e alla segreteria, occupandosi di archiviazione delle pratiche, compilazione dei documenti, distribuzione del materiale informativo e accoglienza degli utenti.
Alla firma della convenzione, che si è tenuta presso la sede del Dipartimento, hanno presenziato Gemma Tuccillo, Capo di Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità, e Andrea Piquè del Consiglio Direttivo dell’Associazione “Avvocato di strada ODV”.
“Il lavoro di pubblica utilità oltre ad assolvere il debito con la giustizia offre opportunità di rivisitazione della condotta posta in essere, per comprendere anche il danno arrecato alla vittima, naturalmente in ciascun contesto in maniera maggiore o minore, riconosciamo loro dei diritti che poi a loro volta impareranno a riconoscere agli altri” – ha specificato Gemma Tuccillo, nel suo intervento.”

Assistenti alla comunicazione (Foto: web)
4 luglio 2022
Disabilità e scuola – Fissate nei prossimi giorni le prime audizioni delle organizzazioni sindacali per la proposta di legge che punta all’internalizzazione degli assistenti all’autonomia e comunicazione nell’organico del MIUR. Un cammino avviato due anni fa, nel luglio 2020, con la presentazione del progetto di legge ad opera delle federazioni FIRST e FAND, promotrici della legge. Una proposta di legge che punta a salvaguardare il diritto degli alunni con disabilità ad un’assistenza in classe che garantisca la loro reale inclusione scolastica, ma anche uno strumento di tutela di un’intera categoria di lavoratori da sempre precari, a cui verrebbe così riconosciuto il diritto ad essere parte dell’organico del MIUR. Con le prime audizioni alle porte della proposta C.2887, di cui è prima firmataria l’onorevole Ella Bucalo, la federazione FIRST fa sapere: “Ribadiamo la necessità che tutte le forze politiche sostengano con forza l’iter della proposta di legge, fino all’approvazione finale della legge entro questa legislatura”. E aggiunge: “Si tratta di una riforma epocale, che sana un grave errore storico commesso con la legge 104/1992, una riforma a costo zero, anzi a risparmio di risorse, che liberebbe gli Enti territoriali da un sistema di gestione ormai definitivamente collassato e non più gestibile”.
Di seguito il comunicato della FIRST:
“Passo, dopo passo, si sta entrando sempre più nel merito della proposta di legge C. 2887 Bucalo, assegnata alle Commissioni riunite della Camera dei Deputati, Lavoro e Cultura, relatori On. Ella Bucalo e Valentina Aprea.
Infatti, sono state fissate per la prossima settimana le prime audizioni delle Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative della FLC CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola e UGL Scuola.
Finalmente si entra nel vivo della proposta di legge, noi siamo certi che le Organizzazioni sindacali, con le quali ci siamo confrontati positivamente nel passato, sosterranno con convinzione la proposta di legge che riguarda il futuro di migliaia e migliaia alunni con disabilità, di famiglie e di lavoratori precari del comparto, precarietà che ben conoscono le dette Organizzazioni sindacali.
Successivamente, seguiranno le audizioni della FIRST e della FAND, promotori dell’ idea e del progetto iniziale che ha poi trovato corpo nella proposta C. 2887 prima firmataria On. Bucalo.
Noi ribadiamo la necessità che tutte le forze politiche e tutti i deputati delle citate Commissioni sostengano con forza l’iter della proposta di legge, fino all’approvazione finale della legge entro questa legislatura, in quanto non è esagerato affermare che vi è in gioco il futuro di migliaia e migliaia di alunni con disabilità che presentano bisogni comunicativi complessi, che necessitano di tale indispensabile figura professionale a loro fianco che supporti la didattica.
Lo ribadiamo per l’ennesima volta, senza questa figura professionale che sia garantita in modo uniforme sul territorio e continuativo, dall’inizio del primo giorno di scuola fino alla fine, non può esserci alcuna effettiva inclusione per gli alunni con disabilità nella nostra scuola, ma soltanto discriminazione, disparità di trattamento e tutele legate al luogo o al contesto di nascita, esattamente come avviene oggi.
Si tratta di una riforma epocale, che sana un grave errore storico commesso con la legge 104/1992, una riforma a costo zero, anzi a risparmio di risorse, che liberebbe gli Enti territoriali da un sistema di gestione ormai definitivamente collassato e non più gestibile.
Allo stesso tempo l’approvazione della legge conferirebbe di colpo dignità lavorativa, professionale, umana e prospettiva futura a migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori precari, spesso sfruttati e sottopagati.
NOI continuiamo a crederci e a fare il nostro dovere fino in fondo per garantire alle persone minori di età che vivono una condizione di disabilità e alle famiglie che rappresentiamo un futuro migliore.”

Residenza anagrafica (Foto: web)
7 giugno 2022
Diritto alla casa e persone senza dimora – Vivevano da anni in un immobile occupato. Una mamma con sua figlia avevano trovato questo alloggio nel comune di Firenze, nonostante da sei anni avessero fatto richiesta di iscrizione anagrafica nel comune fiorentino. Condizione indispensabile, la residenza, per avere accesso ai principali servizi, tra i quali quello al sistema sanitario. È stata pronunciata in questi giorni la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che ha riconosciuto il diritto alla residenza anagrafica ad entrambe. Lo fa sapere l’Associazione nazionale Avvocato di strada Onlus, che attraverso il suo presidente Antonio Mumolo commenta con soddisfazione la vicenda. “Dopo una battaglia giudiziaria lunghissima, la Corte d’Appello di Firenze oggi ha riconosciuto le ragioni della nostra assistita. Una sentenza molto attesa che riafferma un diritto incancellabile”, ha dichiarato in un comunicato l’avvocato Mumolo. E aggiunge: “Ci dispiace constatare che ci sia voluto così tanto tempo per far rispettare un diritto che dovrebbe essere scontato. Quante persone al posto della signora si sarebbero scoraggiate e avrebbero mollato dopo tanti ostacoli e tante ingiustizie?”
Di seguito il comunicato stampa dell’Associazione:
“Ci sono voluti sei anni e numerose azioni legali, ma alla fine giustizia è stata fatta”. Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione nazionale Avvocato di strada, commenta così la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che finalmente ha riconosciuto il diritto alla residenza anagrafica di una donna e sua figlia che vivevano in un immobile occupato.
“La nostra assistita, prosegue Mumolo, ben sei anni fa aveva chiesto l’iscrizione anagrafica presso il Comune di Firenze. La residenza era indispensabile per poter avere accesso al sistema sanitario e per garantire a lei e a sua figlia una serie di diritti fondamentali. La richiesta non era stata accolta e quando la signora si è rivolta al nostro sportello legale per avere una tutela legale che fino a quel momento le era stata negata ci siamo subito messi all’opera“.
“In un primo momento avevamo vinto un ricorso d’urgenza ex Art.700. Successivamente il Tribunale ci aveva dato torto e aveva condannato la nostra assistita al pagamento delle spese giudiziarie del Comune. A quel punto non era semplice decidere cosa fare – sottolinea il presidente Mumolo – ma convinti delle nostre tesi abbiamo deciso di andare in appello, e finalmente è arrivata una vittoria piena”.
“Dopo una battaglia giudiziaria lunghissima, la Corte d’Appello di Firenze oggi ha riconosciuto le ragioni della nostra assistita, sulla base di alcuni principi che vogliamo sottolineare:
– la residenza è un diritto ed il Comune non può impedire o rallentare il suo riconoscimento;
– un Comune non può obbligare chi richiede l’iscrizione anagrafica a svolgere un percorso con i servizi sociali per poterla ottenere;
– la residenza, come stabilito dallo stesso Ministero dell’Interno, è un diritto anche per coloro che occupano abusivamente un immobile“.
“Ci dispiace constatare che ci sia voluto così tanto tempo per far rispettare un diritto che dovrebbe essere scontato. Quante persone al posto della signora si sarebbero scoraggiate e avrebbero mollato dopo tanti ostacoli e tante ingiustizie? Siamo però felicissimi di questa vittoria, che ci auguriamo potrà servire a tante persone in difficoltà e farà da monito per quei Comuni che in maniera illegittima continuano a negare un diritto incancellabile. Firenze – conclude Mumolo – da oggi ha due cittadine in più, e questa è una buona notizia per tutti”.

Volontari Baobab Experience, Piazzale Maslax Roma (Giugno 2017)
19 aprile 2022
Volontariato e migranti – Intercettazioni telefoniche, il caso che passa alla Direzione Distrettuale Antimafia per poi concludersi in un nulla di fatto. Arrivano nuove intercettazioni e, infine, l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Nel mirino delle indagini Andrea Costa, presidente di Baobab Experience l’associazione di volontari e attivisti che da anni assiste i richiedenti asilo e rifugiati offrendo assistenza legale, pasti caldi e in alcuni casi un tetto sotto cui vivere. Tutto in chiave di volontariato. L’accusa risale ad ottobre 2016, poco dopo lo smantellamento del campo informale del Baobab che dava assistenza e accoglienza a 300 rifugiati e richiedenti asilo. Oggetto della nuova intercettazione una conversazione telefonica in cui Andrea Costa parla di 9 giovani migranti che, all’indomani dello sgombero del presidio umanitario di Baobab Experience, desiderano raggiungere il Campo della Croce Rossa di Ventimiglia. La notizia, diffusa nelle ultime ore dal gruppo di volontari, preannuncia la sentenza di primo grado a carico di Andrea Costa che ci sarà tra due settimane. Una vicenda che ha scosso tutta la comunità di attivisti e volontari, che negli ultimi giorni si erano recati in missione umanitaria al confine tra Moldavia e Ucraina. “Se Andrea è colpevole significa che l’assistenza alle persone migranti che per sette anni, donne e uomini, avvocati e studenti, medici e insegnanti, pensionati e ricercatori di Baobab Experience hanno offerto senza alcun tornaconto economico è visto alla stregua dell’agire di chi sulla pelle dei migranti si arricchisce indebitamente”, commentano i volontari di Baobab il cui operato in tante occasioni è stato apprezzato e sostenuto fattivamente dalla comunità civile, e non solo. “Ancora oggi, nel nostro ordinamento, non è stata introdotta alcuna differenza tra trafficanti di esseri umani e solidali: viene il dubbio che il fine non sia quello di combattere la criminalità organizzata, l’abuso, il raggiro e la tratta di esseri umani”, fanno notare dall’associazione.
Il comunicato stampa dell’associazione:
“Fino a oggi non abbiamo raccontato nulla della vicenda giudiziaria che ha colpito il Presidente di Baobab Experience e con lui tutta la nostra comunità: siamo rimasti in silenzio per non darla vinta a chi ci ha voluti coinvolgere in un processo che è senza alcun dubbio politico e continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto – offrire soccorso a donne, uomini e bambini migranti – con la convinzione di essere nel giusto.
Tutto in una forzata parvenza di normalità, perché accuse come questa pesano come macigni, nell’assurdo paradosso che pongono – chi quotidianamente combatte il traffico di esseri umani viene accusato di favorire quel traffico – e nella pressione emotiva che questo processo penale comporta, anche considerando che la contestazione attuale prevede da 6 anni e mezzo a 18 anni di reclusione.
Quando le dinamiche dell’intera vicenda giudiziaria sono così contorte, non conforta la consapevolezza della propria innocenza, laddove il potere dà la parvenza di sottomettersi a ciò che ha precedentemente creato ad arte e dove le regole sono volutamente equivoche.
Ma tornati, a pochi giorni dal verdetto, da una missione umanitaria al confine tra Ucraina e Moldavia, abbiamo sentito il bisogno e, assieme, il dovere di denunciare il paradosso in cui, oggi forse più che mai, ci troviamo a svolgere la nostra azione di volontariato.
Nel momento in cui giungiamo in Italia con persone evacuate dall’Ucraina e quando attraversiamo 5 frontiere – tra le quali due extra-comunitarie e dunque l’invalicabile Fortezza Europa – siamo chiamati, da Politica e Opinione pubblica, “eroi”, ma siamo seduti sul banco degli imputati per aver aiutato persone di origine sudanese e ciadiana – opportunamente identificate e con il pieno diritto di muoversi sul territorio italiano – a raggiungere il Campo della Croce Rossa di Ventimiglia.
Noi non siamo mai eroi, esattamente come non siamo mai criminali. Siamo volontarie e volontari; siamo solidali.
E i profughi sono sempre profughi, sia se fuggono da un orrore vicino come l’occupazione russa dell’Ucraina sia se si mettono in salvo da una tragedia lontana, come la sanguinosa guerra civile sudanese o dalla dittatura ciadiana.
Tutto il resto è razzismo istituzionale, di cui la criminalizzazione e la persecuzione giudiziaria della migrazione e della solidarietà sono e continuano a essere il più potente strumento operativo.
Hanno provato ad accusare Baobab Experience di associazione per delinquere.
Hanno attribuito il caso alla Direzione Distrettuale Antimafia. Hanno ascoltato le nostre conversazioni per mesi, violando il nostro privato, la nostra intimità, a spese dei contribuenti italiani, perché intercettare costa e molto.
Dopo mesi di indagini non hanno trovato nulla e quell’accusa implode su se stessa.
Continuando ad ascoltare, gli inquirenti intercettano una conversazione telefonica in cui Andrea Costa parla di 9 giovani migranti che, all’indomani dello sgombero del presidio umanitario di Baobab Experience, desiderano raggiungere il Campo della Croce Rossa di Ventimiglia.
Corre l’anno 2016.
Il 30 settembre, 5 giorni prima di quella intercettazione, il campo informale dove i volontari e le volontarie di Baobab portavano assistenza viene smantellato dalla Prefettura e circa 300 migranti, rifugiati e richiedenti asilo, restano privi anche dei giacigli di fortuna e degli aiuti umanitari portati dai solidali a Via Cupa.
L’accanimento di quei giorni è forte. Chi porta sostegno è allontanato e la parola d’ordine è “disperdersi” e disperdere la Comunità.
Impossibile anche montare un telo di plastica per mettere al riparo una donna incinta: la polizia interviene con 3 camionette e 5 automobili per togliere la precaria protezione dalla pioggia di quei giorni.
Corre l’anno 2016: è il periodo in cui le ong che salvano i migranti nel Mediterraneo vengono definite “amici dei trafficanti” e “taxi del mare” e delle dichiarazioni del Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, in merito a indagini in corso sulle organizzazioni di ricerca e soccorso in mare, poi rivelatesi inconsistenti nel quasi silenzio della stampa.
Corre l’anno 2016 e in Sudan imperversa il momento più atroce di un conflitto interno perdurante e lacerante, caratterizzato da ripetute e seriali violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani: le forze governative, guidate dal dittatore Al-Bashir, si macchiano di gravi attacchi contro i civili, incluse esecuzioni di massa, stupri, ricorso ad armi chimiche e devastazioni delle proprietà private.
Nel 2016, il Sudan è il quinto Paese di origine per numero di rifugiati al mondo, di cui oltre il 90% si vede riconoscere la protezione internazionale.
Corre l’anno 2016 e il Ciad è uno Stato autoritario dove alla recrudescenza dell’estremismo violento ad opera del gruppo terroristico nigeriano Boko Haram si aggiunge la “risposta” delle forze di sicurezza: sequestri di persona giustificati sulla base di ragioni politiche, arresti e detenzione arbitrari in condizioni di privazione spesso inumana, grave restrizione delle libertà di parola, riunione ed espressione.
8 ragazzi sudanesi e un ragazzo ciadiano, in fuga dalle violenze dei rispettivi paesi, sgomberati, umiliati e abbandonati a Roma da un’amministrazione ostile, dopo aver saputo che il campo della Croce Rossa della Capitale è in condizioni di sovraffollamento, cercano tutela altrove.
In quella circostanza, come in altre migliaia di circostanze simili, i volontari e le volontarie di Baobab Experience hanno offerto il loro supporto per identificare il biglietto del treno o del bus più economico, per contribuire all’acquisto dei titoli di viaggio per coloro che non possiedono le risorse economiche per sostenere il costo di un biglietto, per preparare kit con l’essenziale per affrontare lo spostamento, contenente un pranzo al sacco e prodotti per l’igiene.
Per questa condotta, Andrea Costa è equiparato dall’accusa ai tanti trafficanti che agiscono impunemente nelle Stazioni italiane e che quel biglietto se lo fanno pagare caro, anche con la vita, che vendono documentazione falsa al prezzo di una illusione e speculano sulla fragilità di persone abbandonate a loro stesse.
Se la vocazione e l’agire umanitari del Presidente di Baobab Experience, Andrea Costa, rappresentano un reato, ognuno di noi è un criminale.
Se Andrea è colpevole, lo siamo tutte e tutti.
Se Andrea è colpevole significa che l’assistenza alle persone migranti che per sette anni, donne e uomini, avvocati e studenti, medici e insegnanti, pensionati e ricercatori di Baobab Experience hanno offerto senza alcun tornaconto economico è visto alla stregua dell’agire di chi sulla pelle dei migranti si arricchisce indebitamente.
In anni di accanimento contro le ong, nessun trafficante di esseri umani è stato assicurato alla giustizia. Piuttosto si è scoperto che i capi dell’operazione militare europea fossero a conoscenza che la Guardia costiera libica, addestrata e istruita con il loro contributo, fosse coinvolta nella tratta dei migranti: situazione spregevole, di dominio pubblico ormai.
Mentre l’Italia e l’Unione Europea sono accusate di respingimenti per procura alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nel Bel Paese ci si continua ad accanire contro i nemici sbagliati.
La direttiva 2002/90/CE del Consiglio – nota come “Facilitation Directive”, fornisce una definizione comune del concetto di favoreggiamento dell’immigrazione illegale e stabilisce che gli Stati membri possono introdurre una clausola umanitaria, che mette gli operatori e i volontari che prestano assistenza umanitaria al riparo dal rischio di finire sotto processo.
Ovviamente l’Italia si è ben guardata dal farlo.
Ancora oggi, nel nostro ordinamento, non è stata introdotta alcuna differenza tra trafficanti di esseri umani e solidali: viene il dubbio che il fine non sia quello di combattere la criminalità organizzata, l’abuso, il raggiro e la tratta di esseri umani. E’ invece sempre più evidente che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, così come disciplinato in Italia, voglia demonizzare – gettando fango sulle associazioni di volontariato e mortificando e scoraggiando l’aiuto umanitario – la migrazione stessa e precludere la possibilità di uomini, donne e bambini di mettersi in salvo da conflitti, violenze e fame.”

Parità di genere (Foto: web)
29 marzo 2022
Parità di genere e Stereotipi – I temi legati alla parità di genere nascono da antichi stereotipi. Ma sono radicati negli adolescenti. È quanto risulta dall’indagine della Fondazione Foresta Onlus realizzata su un migliaio di studenti della scuola secondaria superiore e dell’università nel Padovano, dove ha sede la fondazione. “Nonostante esistano norme antiviolenza, sul piano educativo e sociale c’è ancora molto da fare”, spiega Carlo Foresta, medico endocrinologo e presidente di Fondazione Foresta Onlus. Il 50% dei ragazzi intervistati descrive il femminile come un insieme di “bellezza, forza, affetto e intelligenza”; un altro 40% rappresenta il femminile attraverso caratteristiche quali “maternità, fragilità, accudimento e sensibilità”. Ne è nato un decalogo anti-stereotipi, formulato nel corso del dibattito: “Riconoscere lo stereotipo, come scorciatoia mentale; Bandire il pregiudizio, quale anticamera della discriminazione; Riconoscere la fragilità come forza; La diversità è ricchezza; Aprire spazi di confronto; Le istituzioni diano valore alle diversità; Passare dal dibattito all’azione; Incoraggiare l’incontro, al di là di genere e identità; Garantire la libertà di scelta, rispetto ai gusti e le propensioni; Guardare alla persona nella sua interezza”, si legge nel comunicato della Fondazione.
Di seguito il comunicato stampa della Fondazione:
“Il tema della violenza sulle donne da diversi anni è al centro del dibattito pubblico. Iniziative di sensibilizzazione, approfondimento e discussione, soprattutto tra i giovani, si susseguono in tutta Italia. I centri antiviolenza sono presenti su tutto il territorio. Purtroppo però i numeri relativi alle violenze non sono incoraggianti anche se il legislatore ha affrontato il problema aggiungendo leggi speciali e di rafforzamento della tutela delle donne contro ogni fenomeno di violenza. L’ultima indagine ISTAT (anno 2020) conferma una tendenza, quella della violenza sulle donne, che negli anni non è cambiata in modo significativo. Nel 2020, 15.387 donne hanno contattato un Centro antiviolenza. Nello stesso anno 116 donne sono state uccise, nel 92% dei casi per mano di un partner (58%), di un parente (26%) o di una persona conosciuta (8%). Per contro, più della metà (61%) degli omicidi a danno dei maschi sono commessi da sconosciuti e legati ad una matrice malavitosa. Se gli uomini sono per lo più uccisi per strada, le donne invece sono uccise soprattutto tra le mura domestiche. Come affrontare questa emergenza? E soprattutto quali sono le radici di questo fenomeno?
La Fondazione Foresta Onlus di Padova ha deciso di scendere in campo con una ricerca scientifica finalizzata a fare chiarezza sulla percezione dell’importanza di questo tema tra i giovani. Sono stati intervistati 945 soggetti, 578 ragazze e 367 ragazzi, con un’età media di 21 anni. La ricerca si è svolta negli ultimi mesi con dei questionari sottoposti a studentesse e studenti dell’area padovana iscritti agli ultimi anni delle scuole superiori e dei primi anni di università.
In base ai dati raccolti, le ragazze sono 2,4 volte più attente al dibattito sulla parità di genere rispetto ai ragazzi, lo considerano “molto importante” (su una scala da 1 a 10, il 65% delle ragazze ha risposto “10”, contro appena il 27% dei ragazzi). Similmente, il dibattito sull’identità di genere è sentito molto di più (1,7 volte) dalle persone transgender e non-binary rispetto ai cisgender (su una scala da 1 a 10, il 33% di transgender e non-binary ha risposto “10”, contro il 19% dei cisgender). Questi dati trovano conferma anche rispetto al tema delle discriminazioni, dove femmine, persone transgender e persone non-etero risultano maggiormente discriminate (dal 40% al 75% si sente discriminato, contro il 5-10% di maschi, cisgender, etero).
È stato inoltre chiesto ai ragazzi di descrivere con quattro parole il genere femminile. Il 50% dei ragazzi intervistati descrive il femminile come un bilanciato insieme di “bellezza, forza, affetto e intelligenza”; è un ritratto, questo, che combacia con l’attuale rappresentazione del femminile proposto dalla nostra coscienza collettiva; un altro 40% rappresenta il femminile attraverso caratteristiche quali “maternità, fragilità, accudimento e sensibilità”. D’altra parte, almeno il 30% dei maschi viene rappresentato con le caratteristiche di “forza, arroganza, sessualità e potere”; la quota sale al 40% delle risposte date se aggiungiamo all’elenco le parole “fragilità e stupidità”. In altre parole, gli stereotipi che caratterizzano le differenze tra maschile e femminile sembrano così radicati da essere connaturati anche nelle nuove generazioni.
Come interpretare questi dati? Se ne è discusso al Centro culturale Altinate/San Gaetano in occasione dell’incontro “DISPARITÀ (È) VIOLENZA – COSA STIAMO SBAGLIANDO?” promosso da Fondazione Foresta Onlus con patrocinio del Comune di Padova e la collaborazione della Fiera delle Parole. Interverranno Carlo Foresta, medico endocrinologo, Vittorino Andreoli, psichiatra, Anna Monia Alfieri, suora, Mario Bertolissi, avvocato costituzionalista, Felice A. Nava, psichiatra, Irene Facheris, psicologa attivista femminista. I dati sono stati presentati dagli psicoterapeuti Pietro Aliprandi e Roberta Rosin.
“Il divario nelle risposte appena descritte suggerisce un possibile fallimento degli sforzi educativi e culturali finora messi in atto – spiegano il dottor Carlo Foresta, presidente di Fondazione Foresta Onlus, e i suoi collaboratori – questo perché i veri destinatari delle campagne di sensibilizzazione, i maschi, sembrano molto meno interessati al tema. A mio avviso ciò è dovuto all’incapacità, da parte degli uomini, di empatizzare e identificarsi con le vittime della discriminazione sessuale. Uno scarso interesse al dibattito può tuttavia rappresentare un meccanismo difensivo volto a celare la consapevolezza di una fragilità non riconosciuta da sé stesso e dall’altro. Dunque, è possibile che l’uomo viva le conseguenze di una stereotipizzazione della propria rappresentazione sociale, e questa ipotesi sembra essere confermata dai risultati della nostra indagine. Dall’abolizione del patriarcato sembra essere emersa l’idea di un uomo rozzo e banale, del tutto inadatto a sostenere quella “parità di genere” che tanto disperatamente cerchiamo”.
La sintesi delle riflessioni che nasce dal dibattito porta a un decalogo dei suggerimenti per superare il disagio tra i generi, decalogo presentato nel corso della conferenza padovana:
Riconoscere lo stereotipo, come scorciatoia mentale
Bandire il pregiudizio, quale anticamera della discriminazione
Riconoscere la fragilità come forza
La diversità è ricchezza
Aprire spazi di confronto
Le istituzioni diano valore alle diversità
Passare dal dibattito all’azione
Incoraggiare l’incontro, al di là di genere e identità
Garantire la libertà di scelta, rispetto ai gusti e le propensioni
Guardare alla persona nella sua interezza.”

Profughi ucraini (Foto: Sito ufficiale Ministero dell’Interno)
24 marzo 2022
Ucraina e profughi – Il mondo del volontariato si attiva in favore dei profughi ucraini arrivati, e in arrivo, dall’Ucraina. L’Associazione Avvocato di strada Onlus ha creato in queste ore una mini task force di avvocati volontari che raccoglieranno informazioni, buone prassi e casi per gestire al meglio l’arrivo nei prossimi mesi dei profughi di guerra. Gli avvocati volontari hanno dato la “disponibilità per partecipare ad attività di tutela legale dei profughi e per creare contact point presso gli ordini”, fa sapere Antonio Mumolo, Presidente di Avvocato di strada. “Insieme alle altre associazioni che siedono con noi al Tavolo Nazionale Asilo abbiamo infine chiesto al Governo italiano misure precise e una progettazione di ampio respiro per l’accoglienza dei profughi che stanno scappando dalle zone del conflitto e procedure semplificate per le loro richieste di asilo”, ha spiegato infine Mumolo.
Di seguito il comunicato stampa dell’Associazione:
“Come sempre accade per tutte le guerre, anche il conflitto che si sta svolgendo ora in Ucraina presenterà il conto più salato alle persone più fragili: i poveri, gli anziani, le donne e i bambini. Allo scoppio della guerra in Ucraina ci siamo detti che non potevamo rimanere fermi davanti ai drammi che stavano per accadere. Ci siamo chiesti che cosa potevamo fare dal nostro punto di vista che si occupa di tutela legale di persone che vivono in strada, e dopo esserci confrontati con i nostri volontari abbiamo deciso di mettere in campo una serie di azioni”. Così Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada.
“Come prima cosa – afferma Mumolo – abbiamo creato una mini task force di avvocati di tante nostre sedi che si sono messi a disposizione per raccogliere informazioni, buone prassi e casi e dare un supporto a tutti i nostri volontari che ora e nei prossimi mesi si occuperanno di tutelare i profughi di guerra. Restano attivi tutti i contatti delle nostre sedi locali che tutte le settimane ricevono le persone in sportello”.
“Per richieste di informazioni a carattere generale, orientamento ai servizi sul territorio o altre necessità che riguardano la guerra in Ucraina è attiva la mail emergenza@avvocatodistrada.it. Tanti dei nostri volontari, – sottolinea il presidente – hanno dato al proprio consiglio dell’ordine territoriale una disponibilità per partecipare ad attività di tutela legale dei profughi e per creare contact point presso gli ordini”.
“Sulla base delle domande che ci vengono fatte più comunemente, e sulle informazioni che abbiamo raccolto in queste settimane, abbiamo pensato di creare una pagina di FAQ. La pagina ha l’obiettivo di fornire le informazioni generali per capire gli istituti giuridici applicabili alla situazione e raccogliere i contatti utili su tutto il territorio nazionale e che mettiamo a disposizione di istituzioni, associazioni, operatori e semplici cittadini”.
“Insieme alle altre associazioni che siedono con noi al Tavolo Nazionale Asilo abbiamo infine chiesto al Governo italiano misure precise e una progettazione di ampio respiro per l’accoglienza dei profughi che stanno scappando dalle zone del conflitto e procedure semplificate per le loro richieste di asilo. Nella speranza che questa guerra termini il prima possibile – conclude Mumolo – continueremo ad impegnarci in prima persona per dare un aiuto a tutte quelle persone che sono state strappate al loro paese”.

Giovani e sociale (Foto: CSVCatanzaro.it)
10 marzo 2022
Giovani e lavoro – Si chiama Youth Worker la figura professionale che coinvolge centinaia di operatori sociali italiani, che in Italia non godono di una legge che regolamenti la loro figura professionale e il loro inquadramento economico. Lavoratori, di qualsiasi età, impegnati con e per i giovani in progetti di ‘educazione non formale’ che vanno a supporto di istituzioni ed enti “per promuovere e sviluppare una società più forte, solida e resiliente che mette al centro ‘i giovani per i giovani’”, spiega l’associazione Giosef Italy – Giovani senza Frontiere che in Italia promuove lo Youth Work. “La nostra volontà è contribuire alla regolamentazione in Italia di questa professione perché sia inserita in un sistema di libera concorrenza, nel rispetto della legislazione dell’Unione europea, delle legislazioni nazionali e della professionalità degli operatori del settore” commenta Alessandro Nicotera, presidente di Giosef Italy. Giosef Italy è tra l’altro un’ impresa sociale. Tra i vari servizi per i giovani c’è l’ostello ‘Il Paguro’, un centro di ospitalità e aggregazione giovanile che sorge a Casapesenna (Caserta), in un bene confiscato alla camorra. In questa piccola casa per giovani europei – sorta nel bene confiscato – Giosef ospita i progetti di volontariato, creando connessioni significative con le realtà associative del territorio.
Il comunicato stampa completo dell’associazione:
“Giovani provenienti da tutta Italia si incontrano a Roma per dialogare sul riconoscimento della figura di ‘animatore socio-educativo’.
Chi è lo Youth Worker
Riconosciuta in altri paesi del resto dell’Unione europea, ma ancora non in Italia sul piano nazionale, la figura dello Youth Worker – chi è impegnato a qualsiasi età nel lavoro con e per la popolazione giovanile- ha bisogno di essere regolamentata, nell’ambito dei diritti e dell’inquadramento economico.
Una professionalità di fondamentale importanza soprattutto nei processi di ‘educazione non formale’ che entra in gioco a supporto di istituzioni e enti per promuovere e sviluppare una società più forte, solida e resiliente che mette al centro ‘i giovani per i giovani’. Sono centinaia gli operatori sociali italiani impegnati in attività di questo tipo che non godono di diritti al pari di altri professionisti.
Dialoghi territoriali: l’esempio del al Municipio VIII di Roma
Grazie alla rete di associazioni sparse sul territorio nazionale – attivata dall’associazione Giosef Italy -, e in vista della conferenza nazionale di marzo, gli youth workers d’Italia hanno avviato il confronto regionale e locale con le istituzioni per stilare un elenco di raccomandazioni utili per dare centralità alla figura di Youth Worker. A Roma, ad esempio, all’incontro organizzato dall’associazione Replay Network, i giovani operatori sociali – nei mesi scorsi – hanno incontrato e dialogato con Michela Cicculli, allora assessora alle Politiche Giovanili del Municipio Roma VIII.
Cosa serve perché lo Youth Worker venga riconosciuto dalle istituzioni italiane come già avviene nel resto d’Europa? Quali raccomandazioni sono scaturite dagli incontri territoriali degli ultimi mesi? Ne parleranno gli youth workers all’appuntamento romano: una due giorni di incontri e dialoghi per l’appuntamento conclusivo della Conferenza nazionale.
L’11 marzo alle ore 15 nello Spazio Europa a Roma interverranno: Maria Cristina Pisani – Presidente del Consiglio Nazionale Giovani, Christiana Xenofontos – Componente del Board dell’European Youth Forum, Rita Bergstein – TCA/NET/TEC, Coordinator Educational Management JUGEND für Europa, Marialuisa Silvestrini – Dipartimento per le Politiche giovanili e il Servizio civile universale, Lucia Abbinante – Direttrice Generale Agenzia Nazionale Giovani, Fabiana Dadone – Ministra per le Politiche Giovanili.
Nicotera: “Necessità di regolamentare la figura in Italia”
“Lo Youth Work è praticato in Italia da decenni ma la sua definizione normativa soffre di un vacuum che impedisce all’intero settore e ai professionisti il riconoscimento, sociale, economico e politico affinché si affermi uno standard qualitativo garantito. Non solo, anche un percorso professionalizzante chiaro e una strategia di implementazione inserita a pieno titolo nel quadro delle politiche per la gioventù. Per favorire il riconoscimento delle competenze dello youth worker così come la qualità del lavoro, l’intero partenariato del progetto ‘Dialog in youth work’ ha condotto dialoghi territoriali con i decisori politici locali.
La nostra volontà è contribuire alla regolamentazione in Italia di questa professione perché sia inserita in un sistema di libera concorrenza, nel rispetto della legislazione dell’Unione europea, delle legislazioni nazionali e della professionalità degli operatori del settore” commenta Alessandro Nicotera, presidente di Giosef Italy.
L’Associazione Giosef Italy – Giovani Senza Frontiere – è nata ad aprile del 1998. Ha lo scopo di promuovere un ruolo attivo dei giovani nella società attraverso lo youth work, l’attivismo, la militanza politica e il volontariato. Tra le principali finalità: l’educazione alla responsabilità civile ed alla cittadinanza attiva, la formazione culturale e politica dei giovani a livello europeo e internazionale, infine, la promozione e lo sviluppo di percorsi di ‘educazione non formale’. Al centro del lavoro la creazione di reti nazionali e internazionali. È parte del Consiglio Nazionale dei Giovani e del Forum Nazionale del Servizio Civile, collabora in numerosi partenariati internazionali. Giosef Italy è anche impresa sociale. Formazione, Hostelling e Innovazione sociale e digitale fanno parte dell’identità dell’associazione e aiutano a dare sostenibilità alle attività. Tra i servizi l’ostello ‘Il Paguro’, un centro di ospitalità e aggregazione giovanile che sorge a Casapesenna (Caserta), in un bene confiscato alla camorra. All’interno della piccola casa per giovani europei – sorta nel bene confiscato – Giosef ospita i progetti di volontariato, creando connessioni significative con le realtà associative del territorio.”

Parità di genere (Foto: Mit, Ministero Infrastrutture e Mobilità sostenibili)
7 marzo 2022
Donne e parità di genere – Si parla di cura della casa e parità di genere nell’ultima indagine realizzata dal Censis per Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico, che fotografa lo stato del “Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia”. Quello che emerge è che attività domestiche e cura della famiglia comportano per le donne un impegno di 19 ore a settimana a fronte delle 10 ore degli uomini. Le coppie prese in esame nell’indagine sono famiglie con figli minori di 14 anni. “Per favorire l’empowerment femminile e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro bisogna puntare anche sul settore del lavoro domestico, che significa aiuto concreto in casa e per i figli piccoli, senza considerare in questo spaccato tutto il problema della non autosufficienza”, afferma Andrea Zini, presidente di Assindatcolf. Tutt’ora per molte donne il binomio “lavoro e figli” è determinante nelle scelte di vita e professionali, donne e lavoratrici costrette a fronteggiare la scarsa offerta di servizi per l’infanzia e inserirsi in un mercato del lavoro con basso tasso di occupazione femminile. “Da anni chiediamo al Governo di prevedere specifiche forme di sostegno alle famiglie: attenuare i costi sostenuti per l’assunzione del personale domestico è sicuramente un grande investimento in welfare che può, però, generare un potente volano per l’economia”, conclude il presidente Zini di Assindatcolf.
Il comunicato completo di Assindatcolf:
“Attività domestiche e cura della famiglia, sono le donne a dedicare più tempo alla casa: di media 19 ore a settimana contro le 10 degli uomini. È quanto emerge dall’indagine pubblicata lo scorso dicembre “Welfare familiare e valore sociale del lavoro domestico in Italia” e realizzata dal Censis per Assindatcolf, Associazione Nazionale dei Datori di Lavoro Domestico i cui risultati vengono, in parte, resi noti in occasione della giornata dell’8 marzo, Festa Internazionale della Donna.
Nel dettaglio, guardando all’impegno con cui nelle famiglie associate ad Assindatcolf con figli minori di 14 anni ci si dedica alla cura della casa appare evidente la distanza tra universo femminile e maschile. Il 70% degli uomini ha, infatti, dichiarato di impegnarsi fino a 14 ore alla settimana a fronte di un 17,9% che ha ammesso di farlo per 15-24 ore e solo di un 11,9% che lo farebbe per 24 ore settimanali ed oltre. Opposta la situazione dal lato delle donne, con un impegno che appare maggiore e costante: il 45,3% del campione ha, infatti, dichiarato di essere impegnato fino a 14 ore mentre il 54,7%, oltre la metà, dalle 15 alle 24 ore alla settimana. In termini generali, all’interno delle famiglie in cui sono presenti bambini o ragazzi fino a 14 anni, l’impegno da dedicare all’attività domestica e familiare è più alto rispetto al totale delle famiglie dove non sono presenti figli o sono di età maggiore ai 14 anni: fra chi dedica all’attività dalle 7 alle 14 ore alla settimana la distanza supera i tre punti percentuali; 3,5% in più fra chi dedica all’attività domestica e familiare dalle 15 alle 24 ore alla settimana. Molto più bassa è la quota dei rispondenti che appartengono a famiglie con minori e che hanno dichiarato di non svolgere attività domestica: il 5,6% rispetto al 17,4% del totale delle famiglie.
“I risultati dell’indagine Censis-Assindatcolf – dichiara Andrea Zini, presidente di Assindatcolf – restituiscono l’immagine di una donna ancora troppo impegnata in casa e questo, alla vigilia dell’8 marzo, Festa Internazionale della Donna, dovrebbe rappresentare motivo di riflessione per la politica e le Istituzioni. Per favorire l’empowerment femminile e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro bisogna puntare anche sul settore del lavoro domestico, che significa aiuto concreto in casa e per i figli piccoli, senza considerare in questo spaccato tutto il problema della non autosufficienza. Un sostegno che tutte le donne dovrebbero potersi permettere poiché questo può rappresentare maggiori possibilità di perseguire la propria carriera e di non rinunciare al lavoro per occuparsi della casa. Ecco perché da anni chiediamo al Governo di prevedere specifiche forme di sostegno alle famiglie: attenuare i costi sostenuti per l’assunzione del personale domestico è sicuramente un grande investimento in welfare che può, però, generare un potente volano per l’economia”.

Infografica Censis-Assindatcolf
“Nonostante ‘l’inverno demografico’ sia ormai in atto da tempo in Italia – dichiara Andrea Toma, direttore di ricerca del Censis citando una rielaborazione dei dati Istat – per le donne il dilemma ‘figli o il lavoro’ resta tutt’oggi centrale: al basso tasso di natalità (6,8 nati per mille abitanti contro la media europea di 9,1), si aggiunge un insufficiente livello di offerta di servizi per l’infanzia (ci si prende carico solo di 13 bambini fino ai 2 anni su 100) e un basso tasso di occupazione femminile. Sono proprio le madri con figli piccoli (0-5 anni) a rinunciare al lavoro: il tasso di occupazione è il 26,4% nel caso di donne con al più la licenza media (contro il 39,2% del totale), il 52,6% fra le diplomate (circa dieci punti in meno sul totale delle donne diplomate con età 25-54 anni)”.

Proposta di legge su Internalizzazione Assistenti all’autonomia
23 febbraio 2022
Disabilità e scuola – Ieri, al termine delle sedute delle Commissione Istruzione Lavoro della Camera dei Deputati, si è dato l’avvio all’iter parlamentare della proposta di legge C.2887 che punta ad internalizzare nell’organico del MIUR gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione. Una proposta di legge presentata dalla Federazione FIRST, e da altre associazioni a tutela delle persone disabili, nel luglio del 2020. Per la prima volta una proposta di legge su questa importante categoria professionale, impegnata nell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, approda in Parlamento per arrivare all’approvazione, diventando a tutti gli effetti una legge dello Stato. “Una decisione che ovviamente ci soddisfa pienamente”, fa sapere la First in un comunicato e ribadisce la condizione di un’intera categoria di lavoratori precari operanti in tutta Italia a cui vengono assegnate “zero ore di assistenza oppure due o tre ore a settimana, oppure con un numero di ore comunque modesto; oppure il servizio viene attivato non prima dei mesi di Dicembre, Gennaio…”. Una gestione di questo prezioso servizio che, oltre a precarizzare il lavoro di un’intera categoria di operatori qualificati, costringe le famiglie dei bambini e ragazzi con disabilità a lottare, ogni nuovo inizio di anno, per vedere riconosciuto un loro diritto. Quello alla piena istruzione e inclusione scolastica. “L’approvazione di una buona legge che contemperi i diritti fondamentali e le esigenze degli alunni con disabilità ad avere assegnato personale altamente qualificato e professionalmente preparato – chiosa la FIRST – è il compito che demandiamo a tutte le forze politiche. Noi, come sempre, siamo pronti a fare la nostra parte e dare il nostro contributo”.
Di seguito il comunicato stampa della FIRST:
“Giorno 22.02.2022 si sono riunite le Commissioni Istruzione e Lavoro della Camera dei Deputati, per discutere e decidere in ordine all’avvio dell’iter parlamentare della proposta di legge C.2887, prima firmataria On. Bucalo, relativa al processo di internalizzazione nell’organico del MIUR del profilo professionale dell’assistente all’autonomia e comunicazione, anche diversamente denominato.
La FIRST comunica che gli Uffici di Presidenza delle rispettive Commissioni hanno deciso di procedere all’incardinamento della detta proposta, dando luogo all’avvio dell’iter parlamentare.
Si tratta di una decisione che ovviamente ci soddisfa pienamente e ringraziamo i Presidenti delle Commissioni predette, On. Casa e On. Mura, nonché tutti gli altri componenti dell’ Ufficio di Presidenza, per avere adottato la decisione predetta, una decisione saggia, utile e opportuna.
Si tratta, come è noto, di una decisione storica, in quanto mai, fino ad oggi, una proposta di legge relativa alla citata questione è stata discussa in parlamento, nell’unico luogo deputato che sono le commissioni parlamentari, ove è possibile procedere in modo opportuno e adeguato, speriamo anche speditamente, all’approvazione di un testo che sia il migliore possibile.
La FIRST sente il dovere di ringraziare la prima firmataria della proposta l’ On. Bucalo, nonché tutti i firmatari della stessa, auspicando, tuttavia, come abbiamo sempre sostenuto, che in parlamento vi sia un consenso ampio e trasversale, trattandosi di un tema delicatissimo per la vita di moltissimi alunni in condizioni di fragilità, legato allo stesso tempo ad una drammatica condizione di precariato lavorativo.
La FIRST, infatti, ricorda, anche a chi non vuol sentire, che vi sono larghe fette di territorio Nazionale ove gli Enti Territoriali, (a cui una sciagurata scelta normativa ne ha attribuito la competenza), sono a ZERO ore di assistenza, oppure a DUE o TRE ore a settimana, oppure con un numero di ore comunque modesto; oppure il servizio viene attivato non prima dei mesi di Dicembre, Gennaio ecc.
Ciò è frutto di un sistema ormai definitivamente fuori controllo, strutturalmente ingestibile, collassato, inutilmente costoso.
Una condizione che lascia ogni anno, all’inizio della scuola, sul terreno migliaia e migliaia di alunni senza un supporto assistenziale indispensabile o con un supporto risibile, rispetto alle effettive necessità.
Un sistema che costringe le famiglie ogni anno a lottare, denunciare e rivendicare i diritti indisponibili dei loro figli, un sistema che discrimina i minori in virtù del loro luogo di nascita e di residenza, ne pregiudica gravemente la condizione psico – fisica e incide in modo rilevante sul processo di non inclusione degli alunni.
Allo stesso tempo, nessuno può ignorare, l’altra faccia della medaglia, la gravissima condizione di precariato, (quello vero!), che colpisce migliaia e migliaia di operatori iper – qualificati e spesso con titoli di studio elevati e consistente formazione specifica, che fa registrare ogni anno, sempre con maggiore consistenza, l’abbandono di questa rilevante professione, verso situazioni lavorative di maggiore stabilità e dignità, con una perdita di conoscenze e competenze incalcolabile.
Questa è, pertanto, la sfida, il tema principale che il parlamento e le forze parlamentari tutte si troveranno ad affrontare e decidere.
L’approvazione di una buona legge che contemperi i diritti fondamentali e le esigenze degli alunni con disabilità ad avere assegnato personale altamente qualificato e professionalmente preparato, uniformemente sul territorio, ove sia garantita la continuità assistenziale, unitamente ad una migliore condizione lavorativa che porti tali lavoratori dentro la casa madre del MIUR, sanando un errore storico di dimensioni colossali, è il compito che demandiamo a tutte le forze politiche.
Noi, come sempre, siamo pronti a fare la nostra parte e dare il nostro contributo.”
[Qui il servizio sulla presentazione della proposta di legge, a Roma il 15 luglio 2020 —> https://www.youtube.com/watch?v=4ul1-TDWBMA ]

Lavoro persone disabili (Foto: web)
21 gennaio 2022
Disabilità e lavoro – Dal 1999 la legge n. 68 prevede liste di collocamento ad hoc per persone con disabilità, per garantire il loro diritto al lavoro. Da tempo molti lavoratori disabili segnalano la difficoltà ad essere inseriti nel mercato del lavoro. Rendendo per tanti inefficace la legge stessa. A questo si è aggiunto che “molti non comprendevano bene come funzionasse il sistema”, spiega in un comunicato la Federazione First che già lo scorso giugno aveva chiesto un’audizione su questa vicenda alla 5° Commissione dell’ARS, Assemblea Regionale Siciliana. “In effetti, i conti non sembrano tornare, soprattutto nel settore degli Enti Pubblici, se commisurati alla estrema rigorosità della legge con le apportate modifiche intervenute” aggiunge la First che lo scorso 19 gennaio ha partecipato all’audizione in Commissione Cultura, Formazione e Lavoro sul collocamento mirato dei lavoratori con disabilità. Una questione ancora aperta, per l’ARS che non ha dato risposte in audizione e per la First che “non fermerà con la detta audizione la sua iniziativa a tutela delle persone con disabilità in cerca di lavoro”, come puntualizza nel comunicato.
Di seguito il comunicato stampa completo:
“Ieri, 19 gennaio 2021, la FIRST, unica Federazione presente, ha partecipato all’audizione tenutasi per la 5° Commissione dell’ARS, Cultura, Formazione e Lavoro, avente ad oggetto il collocamento mirato dei lavoratori con disabilità.
Avevamo chiesto la detta audizione ben due volte nel mese di Giugno del 2021, in quanto diverse persone con disabilità iscritte nelle liste del collocamento mirato L. 68/1999, ci avevano segnalato la loro difficoltà ad essere inseriti nel mercato del lavoro e, comunque, non comprendevano bene come funzionasse il sistema.
La FIRST, pertanto, come suo costume, ha esaminato approfonditamente la questione, costituito un report di studio, valutato le informazioni e i dati provenienti dal sito Istituzionale pubblico e, in effetti, i conti non sembrano tornare, soprattutto nel settore degli Enti Pubblici, se commisurati alla estrema rigorosità della legge con le apportate modifiche intervenute.
Di conseguenza, trattandosi di un tema rilevantissimo per la vita di migliaia di persone con disabilità in cerca di lavoro, abbiamo richiesto la detta audizione per formulare delle domande ai componenti della stessa e per il loro tramite all’ assessorato al lavoro, ieri presente nella veste del Dirigente Ing. Sciacca, assente l’assessore Scavone.
Di seguito riportiamo le domande che abbiamo posto al Dirigente e le risposte che ci sono state date.
Abbiamo chiesto: a quanto ammontano all’incirca le risorse del Fondo Regionale per l’occupazione dei disabili ex art. 14 l. 68/1999, istituito in Sicilia il 7 gennaio 2015, che dovrebbe essere finanziato in primis dai proventi delle sanzioni irrogate in danno dei datori di lavoro pubblici e privati che violano o ritardano le assunzioni delle persone con disabilità?
Risposta: Nessuna!
2) Abbiamo chiesto: chi controlla i controllori? Chi controlla che gli Uffici Provinciali del Lavoro applichino o hanno applicato negli anni passati le sanzioni agli Enti pubblici e ai soggetti privati, nei tempi e nei modi di cui all’art. 15 L. 68/1999 e s.m.i?
Risposta: Nessuna!
3) Abbiamo chiesto: il tanto decantato censimento di cui all’avviso adottato solo nel mese di Novembre 2021, millantato all’esterno come una novità “ rivoluzionaria”, non è la conseguenza che il Dipartimento negli ultimi anni non aveva più il controllo della situazione di quanti fossero i lavoratori iscritti nelle dette liste? E come mai ci si è accorti dopo tanti anni, e solo a fine legislatura, di non avere la situazione sotto controllo?
Risposta: Il Dirigente ha ammesso, parlando in premessa alla Commissione, che in effetti il Dipartimento lavoro non sapeva più quanti erano i lavoratori iscritti nelle liste del collocamento mirato e che tale incertezza, a suo dire, rappresentava una delle cause della difficoltà per i datori di lavoro di reperire persone con le qualifiche e mansioni adeguate alla richiesta, donde si è dato luogo al censimento che pare abbia portato all’ emersione di circa sei mila lavoratori iscritti nelle apposite liste.
4) Abbiamo richiesto: i dati relativi alle quote di scopertura denunciati dai datori di lavoro anno per anno, pubblicati nel sito del Dipartimento lavoro sono attendibili, oppure no? E se, come dovrebbe essere, sono attendibili, quali verifiche e accertamenti da parte del Dipartimento lavoro sono state fatte per accertare che alle scoperture denunciate ad es. negli anni 2017 e 2018,
ma anche negli anni successivi, ove abbiamo portato un esempio esemplificativo per tutti, siano seguite, soprattutto per gli Enti Pubblici, le assunzioni obbligatorie o in assenza l’applicazione delle sanzioni?
Risposta: Nessuna
Riteniamo che ogni ulteriore commento sarebbe inutile.
Quello che è certo è che la FIRST non fermerà con la detta audizione la sua iniziativa a tutela delle persone con disabilità in cerca di lavoro con l’audizione di ieri, seguiranno altre iniziative, non lasceremo certamente sole le persone più fragili in cerca di lavoro.”

Caregivers Familiari (Foto: web)
22 dicembre 2021
Caregivers familiari e Diritti – Dopo un periodo di attenzione, che ha acceso momentaneamente il dibattito sulle condizioni dei caregivers familiari, restano in un limbo le varie proposte di legge che puntano a tutelare e riconoscere la figura del caregiver familiare. I testi delle leggi sono fermi da luglio 2020 in Commissione permanente del Senato, su Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale. La realtà dei caregivers, figure indispensabili nella cura di familiari disabili gravi, resta nell’ombra e così anche le loro vite. “Tra i lavoratori precari, anzi i più precari di tutti, vi sono anche i familiari che assistono continuamente un proprio caro”, ricorda in un comunicato la Federazione FIRST che chiede in questo momento di pandemia, a due anni dall’inizio dell’emergenza sanitaria da Covid-19, la ripartenza dell’iter legislativo per l’approvazione di una legge sui Caregivers familiari. Una richiesta che arriva nei giorni di dibattito politico per l’approvazione del PNNR in parlamento, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che destina 19.81 miliardi di euro per l’inclusione sociale, ribadendo anche l’importanza del “riconoscimento del valore sociale di cura”. Eppure manca un riferimento e una previsione in favore dei caregivers familiari. “Ritenute le ingentissime risorse previste dal PNNR ci chiediamo: se non ora quando?”, chiosa la FIRST.
Di seguito il comunicato completo della FIRST
“Che fine ha fatto la legge sul Caregiver familiare?
E’ davvero incredibile quello sta accadendo in ordine ai vari progetti di legge sul Caregiver familiare, accorpati e incardinati presso l’ 11° Commissione permanente del Senato (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale).
Sembra, infatti, essere sceso l’oblio, non se parla più, come se, tutto di un tratto, i Caregiver familiari fossero scomparsi e non esistano più.
A leggere i resoconti parlamentari si resta sbalorditi: un progetto di legge incardinato nel 2018, è fermo dal mese di luglio 2020, in attesa di una pseudo relazione tecnica del Governo (SIC!).
Nel frattempo pero, grazie alla pandemia, la condizione di vita dei Caregiver familiari, di suo già precaria, è letteralmente sprofondata!
In questi giorni abbiamo assistito a legittime rivendicazioni sindacali che hanno avuto per oggetto, anche il contrasto al lavoro precario.
Ora, vorremmo ricordare che tra i lavoratori precari, anzi i più precari di tutti, vi sono anche i familiari che assistono continuamente un proprio caro che vive una condizione di disabilità grave, a cui non viene riconosciuto sostanzialmente NULLA!
Un lavoro di cura, un lavoro fondamentale e necessario, perché di questo stiamo parlando, svolto nell’assenza più totale di ogni forma di tutela in favore del Caregiver.
Altro che lavoratori precari: qui siamo di fronte ad una nuova definizione per il diritto del lavoro, quella “DEI LAVORATORI INVISIBILI”!
Esistono, si sobbarcano ogni giorno carichi di lavoro disumani, ma restano invisibili, chiusi nelle loro case, unitamente ai loro cari, da cui non si possono allontanare.
Neppure un testo di legge qualunque, anche nella versione minimale in corso al Senato, si è riusciti ad approvare.
E’ singolare vedere la sorte del secondo fondo dedicato, quello previsto dall’art. 1, comma 334, legge n. 178 del 2021, pari ad €.30 milioni, che dovrebbe essere destinato si legge testualmente: “alla copertura finanziaria degli interventi legislativi per il riconoscimento delle attività non professionale del prestatore di cure familiari”.
Ora, fermo restando che 30 milioni di euro sono praticamente delle briciole, semplicemente un offesa alle persone, ci chiediamo e chiediamo: quali sarebbero questi interventi legislativi che dovrebbero prevedere il riconoscimento delle attività non professionali del prestatore di cure familiari, se i progetti di legge sopra menzionati sono rimasti impantanati e fermi dal luglio 2020?
Infine chiediamo alle Ministre per la Disabilità e per la Famiglia un dubbio che la FIRST si è posta leggendo il PNNR.
Posto che il PNNR, (che poteva rappresentare un’opportunità storica per i Caregiver), destina 19.81 miliardi di Euro sulla Missione 5 (Inclusione Sociale);
Visto che nel preambolo si afferma che è importante il “riconoscimento del valore sociale di cura”, vogliamo immaginare in primis quello offerto dai CAREGIVERS;
In quale parte del PNNR, nell’ambito delle missioni M5CI, (Politiche attive per l’occupazione e il lavoro), e M5C2 (Infrastrutture sociali – Famiglie – Comunità e Terzo settore), si intravedono degli interventi specificatamente indicati e miranti all’effettivo riconoscimento del valore sociale di cura?
Infine, ritenute le ingentissime risorse previste dal PNNR ci chiediamo: se non ora quando?
Attendiamo risposte!”

Assistenti all’Autonomia e Comunicazione (Foto: web)
13 dicembre 2021
Disabilità e scuola – E’ fermo dallo scorso Febbraio il disegno di legge che punta ad internalizzare e stabilizzare nell’organico del Miur gli assistenti all’autonomia e comunicazione che nelle scuole di tutta Italia rendono possibile l’inclusione di alunni e alunne con disabiltà. Una legge che darebbe stabilità ad un’intera categoria di lavoratori, 60mila assistenti, che aspetta da tempo condizioni contrattuali di lavoro adeguate e un trattamento lavorativo inclusivo nelle comunità scolastiche. Una stabilità che diventa garanzia e tutela dei diritti degli studenti disabili e delle loro famiglie. La Federazione First lo ricorda in una lettera indirizzata alla Presidente della Commissione Cultura Scienza e Istruzione Vittoria Casa, a cui chiede di sbloccare l’iter parlamentare e “prendere idonea, adeguata e tempestiva iniziativa, nel più breve tempo possibile nell’interesse degli alunni con disabilità, delle famiglie da noi rappresentate e dei lavoratori”.
Di seguito, la lettera della First:
“Al Presidente della VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione Della Camera dei Deputati On. Dott.ssa Vittoria Casa
Gentile Presidente,come Le è noto, nel mese di Febbraio 2021, è stato depositato presso le Commissioni Lavoro e Cultura, Scienza e Istruzione il disegno di legge n. 2887/2021, prima firmataria On. Bucalo, avente ad oggetto l’internalizzazione e stabilizzazione nell’organico del Ministero dell’ Istruzione, degli assistenti all’autonomia e comunicazione ex art. 13, comma 3, legge 104/1992, anche diversamente denominati.
Si tratta di un disegno di legge di grandissima rilevanza e necessità per migliaia e migliaia di alunni con disabilità che hanno bisogno di questa figura professionale, a supporto della didattica, per le famiglie e per i lavoratori.
Abbiamo potuto riscontrare, con grande soddisfazione, che anche all’interno del movimento
politico 5 Stelle, da ultimo, si è registrata una volontà politica di addivenire alla predetta soluzione, seppure lo strumento utilizzato, un emendamento al DDL 3347/A sulla disabilità, non era certamente la sede più idonea e appropriata per dar corso ad una riforma che costituirebbe, se
approvata, una svolta epocale nel processo effettivo di inclusione degli alunni con disabilità e per inciso per la condizione di precarietà lavorativa, in cui versano oltre 60 mila assistenti, ben nota nel nostro Paese, certamente ben nota a Lei.
Ora, alla luce di questo dimostrato ampio impegno politico e convergenza di fini; ritenuta l’estrema rilevanza che l’avvio dell’iter parlamentare assume per le persone sopra menzionate; ritenuto che da informazioni assunte dalla FIRST, la Presidente della Commissione lavoro, On. Mura, ove il testo è stato congiuntamente depositato, sarebbe pronta, da diverso tempo, ad avviare l’iter parlamentare per la trattazione congiunta del DDL n. 2887; ritenuto che risulta alla FIRST che la richiesta di attivazione dell’inizio della trattazione è stata anche richiesta da centinaia di famiglie e assistenti, a tutti i componenti delle predette Commissioni.
Orbene, ritenuto tutto quanto sopra esposto, Le chiediamo di prendere idonea, adeguata e
tempestiva iniziativa, nel più breve tempo possibile, finalizzata a sbloccare l’iter parlamentare congiunto della trattazione del detto disegno di legge, e ciò nell’interesse degli alunni con disabilità, delle famiglie da noi rappresentate e dei lavoratori.”

Riduzione organico Sanità (Foto: web)
10 novembre 2021
Sanità e tutele – Negli scorsi giorni si è diffusa la notizia di un piano di rideterminazione organica dei servizi territoriali del reparto di Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza nel distretto provinciale di Catania. Un ridimensionamento che fa passare da “una dotazione organica complessiva di circa 50 unità di Neuropsichiatri infantili a complessivi 37 unità”, come puntualizza la Federazione FIRST in una lettera inviata alla Commissione Salute, Servizi Sociali e Sanitari dell’ARS Assemblea Regionale Siciliana. Una riduzione che ricade su un territorio dove la carenza di organico crea già da tempo preoccupazione, e che produce servizi carenti e una non effettiva presa in carico di minori e soggetti più vulnerabili che accedono a questi servizi. Il solo distretto di Paternò “gestisce una popolazione di circa 80.000 abitanti, di cui 16.000 minori, che vede una riduzione organica di oltre il 50%, rispetto al passato”. “Servizi e iniziative che potrebbero essere intraprese a beneficio della salute dei minori che non vengono intrapresi per carenza di personale”, spiega la FIRST. La Federazione ha chiesto un’audizione in Regione “per porre in essere tutte le misure necessarie affinché ciò non avvenga”.
La lettera della FIRST all’ARS:
“Gentile Presidente, Spett.le Commissione,
la FIRST – Coordinamento Regione Sicilia ( Federazione Nazionale a tutela dei diritti delle persone con disabilità), è venuta a conoscenza del piano di rideterminazione organica dei servizi territoriali di Neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza del distretto Provinciale di Catania. Ebbene, abbiamo potuto appurare una riduzione di personale specializzato, in particolar modo di neuropsichiatri infantili, ma anche di altre figure professionali, a dir poco preoccupante, se non drammatica.
Si è passati da una dotazione organica complessiva di circa 50 unità di Neuropsichiatri infantili, ( di suo già largamente insufficiente rispetto ai bisogni e alle necessità) a complessivi n. 37 unità.
Vi sono territori in grandissima sofferenza, come ad esempio, per citarne uno fra tutti, quello del distretto di Paternò che gestisce una popolazione di circa 80.000 abitanti, di cui 16.000 minori, che vede una riduzione organica di oltre il 50%, rispetto al passato ( Incredibile!).
Ma in generale sono tutti i distretti in grande sofferenza organica che riguarda tutte le figure professionali operanti nei distretti.
Tutto ciò determina un quadro di grave preoccupazione, di carenza di tutele, di servizi, di effettiva presa in carico e di trattamenti nei confronti dei soggetti più vulnerabili, i minori e, tra questi, quelli che vivono una condizione di maggiore fragilità per la condizione di disabilità.
Già adesso molto sanitari non riescono più a partecipare alle riunioni scolastiche per la redazione del PEI, ( Progetto Educativo Individuale), gravati come sono dai tantissimi impegni lavorativi a cui devono far fronte in carenza di organico.
Senza tacere tutti quei servizi e iniziative che potrebbero essere intraprese a beneficio della salute dei minori che non vengono intrapresi per carenza di personale.
Ciò si traduce in un gravissimo vuoto di tutele e violazione dei diritti dei minori che non possiamo accettare, a maggior ragione che nella fase pandemica che stiamo attraversando si è detto da più parti che bisognava rinforzare la medicina e le strutture territoriali, NON indebolirle, NON svuotarle di organico, come in effetti si sta realizzando, per esigenze di mero risparmio.
Tutto ciò è inaccettabile!
Per tutto quanto sopra, con la presente la FIRST chiede un audizione urgente presso codesta Spett.le Commissione in ordine a quanto esposto, al fine di evitare tale drammatica riduzione di personale e porre, al contrario, in essere tutte le misure necessarie affinchè ciò non avvenga.
Si chiede, a tal fine, che all’audizione intervenga l’ assessore alla sanità; i dirigenti regionali del settore; il responsabile del servizio di Neuropsichiatria Infantile e dell’ adolescenza del Distretto di Catania; Il Direttore Generale dell’ASP; Le rappresentanze delle forze lavorative del comparto.”

Assegno invalidità (Foto: Web)
26 ottobre 2021
Disabilità e tutele – E’ di pochi giorni fa la decisione dell’INPS di erogare l’assegno mensile d’invalidità, previsto per le persone con invalidità pari o superiore al 74%, soltanto a chi si dichiari inattivo lavorativamente. Un requisito che prescinde dall’ammontare del reddito ricavato, e che quindi ricade anche su chi svolge un lavoro modesto che produce minime risorse economiche. E’ su questa decisione che la Federazione First chiede un intervento di modifica al parlamento: “Si tratta all’evidenza di una norma che ha un effetto paradossale, con effetti rilevantissimi e gravemente pregiudizievoli per le persone con disabilità”. Un assegno, il cui ammontare “è semplicemente risibile, inadeguato agli effettivi bisogni delle persone con disabilità grave e andrebbe con urgenza maggiorato in modo consistente”, come spiega la First.
Il comunicato completo:
“E’ noto come l’ INPS ha adottato un messaggio n. 3495 del 14 ottobre 2021, con il quale ha stabilito, sulla scorta di due sentenze della Corte di Cassazione, ( n. 17388/2018 e n.18926/2019), che, a decorrere dalla data di pubblicazione dello stesso, l’assegno mensile di assistenza di cui all’art. 13 l. 118/1971, sarà erogato soltanto a tutti coloro che dichiarino o comprovino l’inattività lavorativa a prescindere dal reddito ricavato!
Purtroppo, tutto scaturisce dalle citate decisioni della Corte di Cassazione, le quali hanno deciso che il requisito specificatamente previsto dall’art. 13 legge 118/1971, della << inattività lavorativa >>, rappresenti un requisito << costitutivo >> del diritto, al pari di quello sanitario relativo alla percentuale di invalidità.
In parole semplici, se nel corso del periodo in cui è stata formulata la domanda per il riconoscimento dell’assegno di invalidità mensile, ( ricordiamo che stiamo parlando di somme ridicole, oggi pari ad €. 287, 00 mensili), la persona ha svolto una attività lavorativa, anche poco retribuita, perderebbe il diritto al detto beneficio, in quanto, per le sentenze sopra citate, la condizione di occupazione, anche temporanea, della persona con disabilità, farebbe venire meno uno dei requisiti costitutivi del diritto che sono per l’appunto : a) lo stato di inattività lavorativa; b) il requisito sanitario, cioè la percentuale di invalidità pari o superiore al 74%.
Si tratta all’evidenza di una norma, quella prevista dall’art. 13 legge n. 118/1971, che interpretata e applicata, alla luce dei citati interventi giurisprudenziali, ha un effetto paradossale con effetti rilevantissimi e gravemente pregiudizievoli per le persone con disabilità.
Ed invero, basterebbe anche un modesto lavoro, un piccolo lavoretto, un progetto lavorativo, anche produttivo di modeste risorse reddituali per la persona, a far perdere il beneficio dell’assegno mensile.
E’ del tutto evidente che è necessario, con estrema urgenza, a questo punto modificare l’art. 13 della legge n.118/1971, al fine di neutralizzare gli effetti delle citate decisioni della Corte di Cassazione e della nota dell’ INPS.
Allo stesso tempo è necessario che la proposta emendativa del testo di legge contenga anche la previsione di far salvi gli effetti retroattivi, visto che l’ INPS, con la citata nota, ha già disposto di non riconoscere l’assegno mensile, già a partire dalla data di pubblicazione della nota.
La FIRST, pertanto, fa appello a tutte le forze politiche responsabili di farsi carico di presentare in parlamento, nel più breve tempo possibile, un emendamento di modifica del citato art. 13 l. 1971/82, che vada nella direzione auspicata di ripristinare i diritti delle persone più svantaggiate, non senza dimenticare che l’importo previsto come assegno mensile è semplicemente risibile, inadeguato agli effettivi bisogni delle persone con disabilità grave e andrebbe con urgenza maggiorato in modo consistente.”

Vignetta Mauro Biani per Avvocato di strada
20 ottobre 2021
Povertà e tutele – Diritto alla residenza, fogli di via, tutela da violenze e aggressioni e diritto all’immigrazione. Sono questi i temi che toccano le vite dei cosiddetti nuovi poveri, diritti su cui hanno lavorato nell’ultimo anno, e non solo, gli avvocati volontari dell’Associazione Avvocato di strada. “1827 persone assistite gratuitamente in tutta Italia nel corso del 2020. 1045 avvocati e volontari impegnati quotidianamente in 55 città italiane”, e tra le pratiche seguite “la residenza anagrafica rimane, come sempre, il tema maggiormente trattato dai nostri volontari”. È quanto emerge dall’ultimo bilancio sociale 2020 della onlus, una fotografia senza filtri della condizione di chi è povero e invisibile in Italia. Soprattutto dalla pandemia in poi. “Purtroppo in questo periodo è cresciuta, anche legislativamente, l’offensiva di una parte di società che fa dell’esclusione, della lotta fra poveri, la sua unica pratica politica. Il rischio è che adesso questa dinamica possa aggravarsi, anche solo a causa delle conseguenze economiche della crisi sanitaria”, conclude Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada.
Di seguito il comunicato completo:
“1827 persone assistite gratuitamente in tutta Italia nel corso del 2020. 1045 avvocati e volontari impegnati quotidianamente in 55 città italiane. Pari a 1,2 milioni di euro il valore del lavoro legale messo gratuitamente a disposizione degli ultimi. Queste alcune delle cifre contenute nel bilancio sociale dell’Associazione Avvocato di strada. Quando lo presentiamo citiamo sempre una frase pronunciata dal protagonista del libro ‘L’avvocato di strada’, di John Grisham che dice: “Prima di tutto sono un essere umano. Poi un avvocato. È possibile essere entrambe le cose”. I numeri delle nostre attività dell’anno passato lo confermano”. Così Antonio Mumolo, presidente nazionale dell’Associazione.
“Diritto alla residenza, diritto di famiglia, fogli di via, tutela di persone vittime di violenze e aggressioni, diritto dell’immigrazione. Anche quest’anno – prosegue l’avvocato Mumolo – le nostre attività hanno riguardato a 360 gradi pratiche di tutte le aree giuridiche. La residenza anagrafica rimane, come sempre, il tema maggiormente trattato dai nostri volontari. Come dimostrano i dati, infatti, la tematica è oggetto di quasi la metà delle complessive pratiche di diritto civile seguite dall’associazione sul territorio nazionale. Le pratiche di diritto penale, pari al 7,4% del totale, invece, rappresentano le problematiche meno affrontate dai nostri volontari. Come sempre, anche se troppo spesso si pensa il contrario, i nostri assistiti nella stragrande maggioranza non sono persone con chissà quali carriere criminali alle spalle, ma cittadini colpevoli solo di essere poveri, che prendono multe o fogli di via solo perché nessuno li vuole vedere”.
“Il 2020 ovviamente – ricorda Mumolo – è stato anche l’anno della pandemia, che ci ha obbligato per lunghi mesi a tenere chiusi i nostri sportelli. Per questo il numero delle pratiche da noi aperte nello scorso anno è stato inferiore ad altri anni. Paradossalmente, però, mentre cercavamo nuove modalità di intervento e ci inventavamo sportelli itineranti e assistenza via Zoom… i bisogni dei nostri assistiti si sono esponenzialmente moltiplicati. Nei mesi del lockdown i dormitori sono stati chiusi, i servizi hanno funzionato a singhiozzo e chi viveva in strada perché non aveva una casa ha preso multe e denunce. Per questo abbiamo lanciato numerose campagne perché il governo nazionale e le regioni non dimenticassero gli ultimi”.
“Purtroppo in questo periodo è cresciuta, anche legislativamente, l’offensiva di una parte di società che fa dell’esclusione, della lotta fra poveri, la sua unica pratica politica. Basta guardare gli effetti dei cosiddetti “Decreti sicurezza” e la battaglia giudiziaria che ne è scaturita e di cui diamo conto nel Bilancio sociale. Il rischio è che adesso questa dinamica possa aggravarsi, anche solo a causa delle conseguenze economiche della crisi sanitaria. Diventerà forse più difficile tutelare i diritti dei deboli. Noi – conclude Antonio Mumolo – continueremo a farlo con tutta la nostra passione. Perché come in maniera straordinaria comunica l’illustrazione che Mauro Biani ci ha voluto donare e che abbiamo usato come copertina del nostro bilancio, non esiste un alto e un basso, chi aiuta e chi è aiutato. Aiutarci a vicenda ed essere solidali tra noi è forse il senso più profondo della nostra umanità”.

Lavoratori disabili (Foto: web)
11 ottobre 2021
Disabilità e lavoro – Il lavoro come strumento di reale inclusione. È quello che prevede la legge 68 del 1999 con le liste di collocamento obbligatorio. Nonostante la tutela verso i lavoratori disabili, sono ancora tante persone con disabilità che pur essendo iscritte in queste liste denunciano difficoltà ad accedere al mercato del lavoro, sia pubblico che privato. Una condizione che rende, di fatto, invisibile un’intera fascia di persone escluse dal diritto al lavoro. La Federazione FIRST ha ricevuto numerose segnalazioni da persone disabili e spiega che “dall’esame della documentazione in nostro possesso emerge una situazione diversificata per zone territoriali provinciali, e abbiamo il legittimo dubbio che qualcosa non stia funzionando esattamente come dovrebbe”. Il Coordinamento Regione Sicilia FIRST ha chiesto per questo motivo un’audizione in Regione Sicilia “per comprendere le dette dinamiche e valutare in che modo vengono applicate le norme nazionali sopra citate”, si spiega nel comunicato.
Il comunicato completo:
“Spett.li Commissioni, Egregi Sigg.ri Presidenti, da diverso tempo giungono alla FIRST diverse comunicazioni provenienti da persone con disabilità in età lavorativa, regolarmente iscritte nelle liste del collocamento obbligatorio, di cui alla legge n. 68/1999, con le quali denunciano la difficoltà ad essere inserite nel mercato del lavoro, sia in quello privato soggetto all’obbligo di assunzione, sia, soprattutto, nei confronti degli Enti Pubblici che denunciano anno per anno le quote di scopertura.
Purtroppo, stiamo parlando di un fenomeno per molti versi drammatico, in quanto per le persone con disabilità che sono nelle condizioni di potere lavorare e dare il loro contributo allo sviluppo della società, il mancato inserimento nel mondo lavorativo determina la loro totale esclusione sociale, di fatto diventano “ persone invisibili”, conosciute soltanto dalle strutture assistenziali, laddove invece è fondamentale per loro il lavoro che li affrancherebbe da una terribile condizione di isolamento conferendogli una dignità come persona nella vita sociale della collettività.
La FIRST, in ordine a quanto sopra, alla luce delle citate richieste di aiuto, ha sviluppato delle conoscenze approfondite sul fenomeno a livello Regionale e non solo.
Dall’esame della documentazione in nostro possesso emerge una situazione diversificata per zone territoriali provinciali e abbiamo il legittimo dubbio che qualcosa non stia funzionando esattamente come dovrebbe.
Pertanto, al fine di comprendere le dette dinamiche e valutare in che modo vengono applicate le norme nazionali sopra citate, nell’ambito della Regione Siciliana, con la presente si chiede che venga disposta un audizione della FIRST, unitamente all’assessorato competente per il lavoro, alle strutture dipartimentali del lavoro e alle parti sociali.”

Homeless, povertà (Fonte: web)
24 settembre 2021
Povertà e persone senza dimora – In vista della Giornata mondiale contro la povertà, l’associazione Avvocato di Strada Onlus ha organizzato il primo Festival dei Diritti della Persone Senza Dimora. Dalla salute all’immigrazione, dal diritto alla casa alle discriminazioni sono tanti i temi da affrontare per tutelare chi si trova in condizoni di estrema povertà, all’improvviso, e per chi è un homeless. “Questo ultimo anno la pandemia globale ci ha fatto comprendere più che mai che nessuno può essere lasciato indietro nell’accesso alle cure e ai diritti fondamentali. Prenderne coscienza può essere faticoso e complicato, ma aiuta a costruire una società più giusta e solidale” spiega il presidente dell’Associazione Avvocato di Strada, Antonio Mumolo. Un tema che #ciriguarda. Tutti/e. E’ possibile iscriversi agli eventi del Festival dall’apposito link.
Il comunicato dell’associazione:
“In occasione della Giornata mondiale contro la povertà, l’Associazione Avvocato di strada ha organizzato per i giorni 15, 16 e 17 ottobre la prima edizione di “Homeless More Rights”, il primo festival dedicato ai diritti delle persone senza dimora. L’iniziativa si svolgerà in formula ibrida: in presenza a Bologna, presso l’elegante Auditorium Enzo Biagi in pieno centro città e in un punto di grande visibilità, e online tramite piattaforma Zoom.
Da oggi è possibile iscriversi al festival e consultare il programma completo sul sito dedicato: https://homelessmorerights.it.
Il Festival prevede 17 ore di dibattiti sui temi del diritto alla salute, immigrazione, discriminazioni, diritto alla casa e giustizia sociale, con l’intervento di avvocati, docenti universitari, sociologi, assistenti sociali, esperti di settore, rappresentanti delle associazioni e giornalisti.
“Tutelare i diritti degli ultimi significa tutelare i diritti di tutti. Non ci stanchiamo mai di ripeterlo e per ribadirlo ancora una volta abbiamo pensato di organizzare un vero e proprio Festival che vedrà la partecipazione di tanti relatori di prestigio e che è aperto a tutti coloro che vorranno avvicinarsi ai nostri temi”. Così Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada, che prosegue: “Ci auguriamo di poter ripetere l’esperienza di questo Festival anche il prossimo anno e in un altra città. Questo ultimo anno la pandemia globale ci ha fatto comprendere più che mai che nessuno può essere lasciato indietro nell’accesso alle cure e ai diritti fondamentali. Prenderne coscienza può essere faticoso e complicato, ma aiuta a costruire una società più giusta e solidale”.
Il festival si concluderà domenica 17 ottobre con un momento di dibattito e confronto sui temi trattati durante le tre giornate durante il quale interverranno Don Luigi Ciotti (Gruppo Abele – Libera), Rossella Miccio (Emergency), Mario Perrotta (attore, regista e scrittore) e Antonio Mumolo (Avvocato di strada).
Sarà possibile seguire tutti gli eventi del festival sia in presenza, nel rispetto delle normative anti Covid, presso l’Auditorium Enzo Biagi della Sala Borsa in Piazza del Nettuno, sia in diretta streaming tramite la piattaforma Zoom.
Il festival sarà anche l’occasione per presentare il bilancio sociale dell’Associazione Avvocato di strada relativo all’anno 2020, anno in cui la pandemia globale e la crisi economica da essa derivante hanno causato un milione di poveri in più (dati ISTAT), e portato alla ribalta la necessità di contrastare con ogni mezzo l’emergenza sociale da essa derivante. Il festival vuole infatti essere un’occasione di formazione e sensibilizzazione per chi lavora con le persone in difficoltà e per chi sogna una società più equa e giusta.”

Scuola, diritti e disabilità (Fonte: web)
13 settembre 2021
Scuola e diritti – Oggi, in molte scuole d’Italia, è suonata la prima campanella del nuovo anno scolastico. Un nuovo inizio che da mesi, come sempre, richiederebbe una programmazione anticipata e l’organizzazione e assegnazione delle classi ai docenti. Anche quest’anno i ritardi per molti rappresentano un disagio, e la mancata tutela del diritto allo studio. Si parla degli alunni con disabilità, che ogni anno vedono posticipato il loro ingresso effettivo in aula. E la loro concreta inclusione a scuola. Lo ha ribadito la Federazione FIRST, che in un comunicato commenta il nuovo inizio scolastico sottolineando che “a molti di loro (alunni disabili, ndr), per migliaia e migliaia, sarà assegnato un docente precario su posto comune, perché non ci sono tanti docenti di sostegno specializzati per quanto sono gli alunni con disabilità che ne hanno diritto. Un autentico incubo e timore per gli alunni e le famiglie che subiscono l’interruzione personale educativa”. In attesa che la proposta di legge che stabilizzi gli assistenti alla comunicazione, lavoratori precari impegnati nel compito di fare inclusione scolastica, proceda spedita nel suo iter legislativo e diventi legge, molti di questi lavoratori mancheranno nelle aule di tante scuole d’Italia. O arriveranno a coprire quel ruolo dopo mesi, lasciando gli alunni disabili senza sostegno. “E nessuno si assume le proprie responsabilità di questo sconcertante fallimento”, chiosa la FIRST.
Di seguito il comunicato completo:
“Tra poco meno di una settimana inizierà la scuola, gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado inizieranno il prossimo anno scolastico, le famiglie italiane nell’era del Covid, delle misure di sicurezza si avviano ad accompagnare i loro figli più piccoli a scuola, finalmente ci siamo! Ma, come ormai da tempo immemore, anche quest’anno la scuola, il diritto allo studio e all’istruzione, non sarà uguale per tutti.
Ci saranno alunni e famiglie di serie a); alunni e famiglie di serie b).
I primi grosso modo non vivranno grandi problemi se non quelli legati alla norme di sicurezza, agli spazi, alla rotazione di qualche docente. I secondi, quelli di serie b), gli alunni che vivono una condizione di disabilità, spesso grave e le loro famiglie, per molti di loro inizierà un altro anno di passione, sofferenza e di lotta.
Anche per questo anno, l’ennesimo di una lunghissima serie, non tutti gli alunni troveranno “il docente di sostegno specializzato”. A molti di loro, per migliaia e migliaia, sarà assegnato un docente precario su posto comune, perché non ci sono tanti docenti di sostegno specializzati per quanto sono gli alunni con disabilità che ne hanno diritto. Quindi arriverà chiunque!
La continuità didattica per decine di migliaia di alunni, ormai da tempo immemore, si perderà, nella girandola di assegnazione annuale dei docenti, molti alunni, quelli che ne avrebbero maggiormente bisogno, non troveranno il docente di sostegno specializzato dell’anno precedente che tanto aveva lavorato in sinergia per realizzare un minimo di inclusione, di diritto allo studio e all’istruzione. Un autentico incubo e timore per gli alunni e le famiglie che subiscono l’interruzione personale educativa. Del resto, come si suol dire, prima il lavoro, poi i diritti degli ultimi.
Gli assistenti all’autonomia e comunicazione comunque siano denominati, figure professionali preziose e indispensabili di supporto alla didattica, anche loro mancheranno in molte zone del nostro territorio, entreranno a scuola, (se vi entrano), nel mese di Ottobre, forse a Novembre, Dicembre e chi lo può dire…. dipende!
Dipende da questa o quella Regione; da questa o quella Città Metropolitana; da questo o quel Comune; dalle risorse che hanno messo in campo, ( spesso modeste e insufficienti o proprio nulle), spesso la figura non sarà garantita per tutte le ore per cui è necessaria; da quando hanno iniziato a programmare il servizio ( non sia mai che questo evento straordinario e imprevedibile chiamato inizio scolastico arrivi a Settembre!).
Di conseguenza, per molti alunni e per le loro disgraziate famiglie l’inizio della scuola diventa… per molti un campo di battaglia, inizia la lotta; iniziano i ricorsi, ( a migliaia ogni anno); iniziano le sofferenze; iniziano gli articoli di denuncia sui giornali, sulle tv; sul web; le manifestazioni di protesta e nel frattempo la scuola di chi per fortuna non vive queste problematiche, l’altra scuola, va avanti.
GLIR, GIT; GLI; GLO; CTS, Scuole Polo per l’ Inclusione; Sportelli per questo e per quell’altro, una straordinaria congerie di organismi che dovrebbero garantire l’inclusione scolastica e poi: libri; modelli, carte, tabelle di deficit; range – orari, nuove valutazioni, normative di dubbia legittimità costituzionale; migrazione annuale di docenti di sostegno, e poi…. E poi non si è in grado di fare arrivare, sin dal primo giorno, un docente specializzato e un assistente per TUTTI gli alunni che necessitano e per tutti i bambini/e più fragili rispettando il LORO primo diritto, quello di avere a proprio fianco le figure di supporto previste dalla normativa cogente e inderogabile per garantire il loro diritto fondamentale allo studio, all’istruzione e all’inclusione scolastica.
E nessuno si assume le proprie responsabilità di questo sconcertante FALLIMENTO!”

Assistenti all’autonomia (Fonte: web)
2 settembre 2021
Disabilità e scuola – La Federazione FIRST ha incontrato negli giorni scorsi le principali organizzazioni sindacali. Un tavolo in cui si è discusso del progetto che punta a internalizzare e stabilizzare gli assistenti all’autonomia e comunicazione al MIUR. Una legge che comporterebbe per i lavoratori del comparto “la fine di una condizione di precariato e di condizione di vita che non può ritenersi civile e dignitosa in una Paese come il nostro”. L’inizio dell’iter parlamentare è previsto per settembre 2021. Una legge che guarda anche all’inclusione concreta degli alunni con disabilità sostenuti in aula da questi lavoratori “che svolgono un lavoro prezioso ed essenziale a beneficio dei citati alunni e delle stesse scuole, deve costituire obiettivo comune a tutte le forze politiche”, si legge nel comunicato.
Di seguito il comunicato completo:
“In data 31.08.2021, la FIRST si è fatta promotrice di un incontro molto rilevante con le organizzazioni sindacali per discutere, condividere, collaborare e ragionare in ordine alla proposta di legge, depositata in seno alle commissioni della Camera dei Deputali, Lavoro e Istruzione, relativa al progetto di internalizzazione e stabilizzazione degli assistenti all’autonomia e comunicazione, anche diversamente denominati, in seno al Ministero dell’Istruzione, in vista dell’inizio dell’iter parlamentare previsto per il mese di Settembre 2021.
All’incontro per le organizzazioni sindacali hanno partecipato: Manuela La Calza ( SegreteriaNazionale CGIL); Attilio Varengo ( Segretaria Nazionale Cisl scuola); Ornella Cuzzupi ( Segretario Nazionale UGL); Pasquale Raimondo ( UIL Scuola); Giovanni Portuesi ( Segretario generale Nazionale Anief) e Maria Teresa Di Maio ( Anief).
All’incontro era presente l’On. Carmela Bucalo (FDL), prima firmataria ed estensore della proposta di legge. La FIRST ringrazia vivamente tutti i rappresentanti delle organizzazioni sindacali presenti e l’On. Bucalo, per avere partecipato all’incontro di cui ci siamo stati promotori, per discutere, condividere e collaborare in ordine ad una proposta di legge che noi riteniamo assolutamente fondamentale e decisiva nel processo di inclusione degli alunni con disabilità che necessitano di tali figure professionali.
Abbiamo illustrato le ragioni del perché due Federazioni di rappresentanza Nazionale dei diritti e dei bisogni degli alunni con disabilità e delle famiglie, come la FIRST e la FAND, hanno avvertito la necessità impellente di presentare una proposta di legge nel luglio 2020, in seno ad una conferenza stampa tenutasi a Roma, presso la Sala Capranichetta, adiacente alla Camera dei deputati, e di informare della stessa tutte le forze parlamentari affinchè potesse diventare patrimonio comune e condiviso trasversalmente da tutti i gruppi parlamentari, al fine di realizzare quella che noi definiamo una svolta storica nel processo effettivo di inclusione degli alunni che vivono una condizione di disabilità e che necessitano di tali preziose figure professionali.
L’incontro è stato molto significativo e di grande attenzione da parte di tutte le forze sindacali presenti, ciascuno di loro ha apportato dei ragionamenti costruttivi in vista del raggiungimento di un obiettivo comune.
Abbiamo, infatti, ricordato alle organizzazioni sindacali che la FIRST rappresenta i diritti e i bisogni degli alunni e delle famiglia, ma non rappresenta i lavoratori del comparto, i quali tuttavia sono parimenti interessati all’ approvazione della legge, perché ciò comporterebbe per loro la fine di una condizione di precariato e di condizione di vita che non può ritenersi civile e dignitosa in una Paese come il nostro, per tale ragione le dette esigenze è giusto che siano rappresentate dalle forze sindacali.
Rilevante è stato l’apporto tecnico – giuridico fornito dall’Onorevole Bucalo, che in veste di prima firmataria ed estensore della proposta di legge, ha avuto modo di analizzare, discutere e ragionare, con le parti sociali presenti, in ordine a molti aspetti che riguardano le norme e il procedimento di internalizzazione e stabilizzazione, delineando quali sono i contorni e gli spazi demandanti alla competenza della contrattazione sociale.
Le parti presenti hanno considerano la proposta di legge, modificata come concordato con la presentatrice, una valida base di partenza per una discussione tra tutte le forze politiche presenti in parlamento. L’ipotesi normativa potrà infatti dare risposte effettive ai bisogni degli alunni più fragili e bisognosi di maggiore tutela e di riflesso ai lavoratori precari che svolgono un lavoro prezioso ed essenziale a beneficio dei citati alunni e delle stesse scuole, deve costituire obiettivo comune a tutte le forze politiche.
Con le organizzazioni CGIL, CISL e UIL, si è convenuto di continuare la collaborazione nei ragionamenti intrapresi con il coinvolgimento delle rispettive Federazioni della Funzione Pubblica che rappresentano, allo stato, i lavoratori che svolgono il lavoro di assistenti, con l’organizzazione di altri incontri successivi.
Pieno e incondizionato sostegno al processo di internalizzazione e stabilizzazione è pervenuto da parte delle organizzazioni sindacali UGL e Anief.”

Caregivers familiari e tutele (Foto: web)
28 luglio 2021
Caregivers e tutele – La proposta di legge per il riconoscimento e la tutela della figura del caregiver familiare, di rinvio in rinvio, rimane arenata tra Ministeri e Commissioni. L’ultimo rinvio è datato 21 gennaio 2021. La pandemia, oltre a rallentare i lavori della Commissione parlamentare, ha aggravato il carico di lavoro quotidiano in solitudine dei caregivers, che in oltre un anno di emergenza sanitaria si sono fatti completamente carico del familiare disabile. Senza tutele, anche per la loro salute. Parte da queste premesse la lettera inviata dalla FIRST, Federazione Italiana Rete Sostegno e Tutela diritti delle persone con disabilità, e dalla CONFAD, Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità. “Le misure di sostegno, anche economiche, adottate dal Governo a beneficio delle varie categorie, ad
exemplum imprese, lavoratori dipendenti e autonomi, hanno inspiegabilmente e scandalosamente escluso i Caregivers familiari proprio quando hanno rappresentato la spina dorsale del welfare informale”, spiegano le associazioni nella lettera inviata ai ministeri delle Pari Opportunità e della disabilità, alla XI° Commissione Parlamentare, e a tutti i Gruppi parlamentari. “Nessuno si nasconda più di fronte ad un’emergenza di civiltà e giustizia, ma s’ impegni per i diritti e
le tutele da tempo riconosciuti ed applicati per i caregivers familiari in tutti i Paesi dell’Unione
Europea”, commentano nella lettera.
Il link alla petizione lanciata per chiedere con urgenza una legge a tutela dei caregivers familiari http://chng.it/bLB2WGN4
La lettera integrale delle associazioni FIRST e CONFAD:
“Il periodo pandemico ha messo a durissima prova i caregivers familiari, dal momento che si sono
dovuti completamente fare carico dei loro congiunti con disabilità non autosufficienti soprattutto in
un momento in cui tutti i sostegni, sia in forma diretta che indiretta, previsti per le persone con
disabilità, sono stati sospesi e/o interrotti.
Le misure di sostegno, anche economiche, adottate dal Governo a beneficio delle varie categorie, ad
exemplum imprese, lavoratori dipendenti e autonomi, hanno inspiegabilmente e scandalosamente escluso i Caregivers familiari proprio quando hanno rappresentato la spina dorsale del welfare informale.
La pandemia ha gravato in modo drammatico ed estenuante sulle famiglie con disabilità: i caregivers
familiari si sono dovuti assumere ulteriori responsabilità sostituendosi anche ai servizi fondamentali
sospesi, evidentemente ritenuti accessori o perfino marginali dalle Istituzioni.
Per non tacere sull’emergenza lavorativa scaturita per i caregivers familiari costretti a conciliare
anche l’attività lavorativa con quella di caregiving, la quale ha assunto e assume connotati di ulteriore
gravità, non supportata dalle necessarie tutele professionali, sia in tempo di lockdown che nel periodo
post pandemico.
Per tale motivo riteniamo che vengano adottate nel testo di legge anche tutte le misure idonee alla
tutela del posto di lavoro e in subordine ad un reale percorso di riqualificazione e ricollocazione che
non si limiti al mero riconoscimento di figura assistenziale e/o infermieristica, ma che riconosca le
professionalità pregresse e le adatti anche ad un contesto lavorativo mutato dalle nuove tecnologie e
alle diverse nuove modalità d’ impiego.
L’ opportuna fase emendativa e la successiva approvazione del disegno di legge n. 1461, attualmente
depositato presso l’XI Commissione del Senato, non è più rinviabile e rappresenta un vulnus per le
famiglie con disabilità, in quanto la sua assenza determina a cascata la carenza di quel procedimento
giuridico – amministrativo che definisca una volta per tutte e con valenza nazionale il riconoscimento
dei diritti e dei sostegni del caregiver familiare.
Ribadiamo, ancora una volta, i punti imprescindibili per una buona legge nazionale:
• 1. IL CAREGIVER FAMILIARE E’ DIVERSO E DISTINTO DALLA PERSONA CON DISABILITA’ DI CUI SI PRENDE CURA: i fondi per la non autosufficienza (FNA) hanno il loro iter, il loro scopo, la loro ragione d’essere. Le misure per i caregivers familiari devono
prevedere l’opportuno incremento del fondo di dotazione specifico, senza confusioni con altri fondi.
• 2. IL CRITERIO DELLA PARENTELA E’ FONDAMENTALE: IL CAREGIVER E’ FAMILIARE, secondo quanto indicato dalla legge del dicembre 2017. Nulla a che vedere con
badanti, OSS che abbiano già i loro indirizzi e le loro tutele.
• 3. IL CAREGIVER FAMILIARE CONVIVE CON LA PERSONA CON DISABILITA’ CHE ACCUDISCE: Il criterio della CONVIVENZA è FONDAMENTALE, anche per l’individuazione di chi effettivamente presta l’opera di cura continuativa alla persona non autosufficiente.
• 4. I SOSTEGNI IMPRESCINDIBILI: CONTRIBUTI FIGURATIVI, PREPENSIONAMENTO, SOSTEGNO ECONOMICO.
• 5. DIRITTO AL SOLLIEVO, RIPOSO, SALUTE: deve essere garantito al caregiver
familiare il diritto al riposo, al sollievo, alle cure, con programmi stabili di assistenza garantita e di
emergenza in caso di malattia e/o ricovero del caregiver familiare, sono diritti umani fondamentali,
ad oggi non garantiti per i caregivers familiari.
Dal sito dell’XI Commissione ufficialmente risulta che i lavori dopo il primo rinvio del 21 luglio
2020, in attesa di un parere “tecnico-finanziario del Governo” il quale, ancora ad oggi, di rinvio in
rinvio, fino alla data dell’ultima riunione del 21.01.2021, non risulterebbe pervenuto.
La crisi di Governo ha solo rappresentato un breve stop dei lavori, ma da mesi la situazione si è
stabilizzata, di conseguenza non si comprende per quali ragioni i lavori al testo non siano ripresi.
Si tratta di un ritardo ormai divenuto ingiustificabile e intollerabile: sappiamo tutti, infatti, che il testo
della proposta di legge per essere approvato necessita ancora di ulteriori passaggi e, una volta
approvata la legge per la sua concreta attuazione, occorreranno gli atti di normazione secondaria.
Pertanto, non c’è più tempo da perdere: il testo di legge va opportunamente emendato ed approvato.
Per detta ragione d’ urgenza la missiva è indirizzata altresì al Ministro della Famiglia e delle Pari
Opportunità, in quanto compete, ai sensi dell’art. 2 comma 1 del DPCM del 15 marzo 2021, il compito
di “garantire la promozione dei diritti della persona, delle pari opportunità e della parità di
trattamento, la prevenzione e la rimozione di ogni forma e causa di discriminazione “.
Non c’è chi non veda nella posizione dei caregivers familiari una lesione manifesta delle pari
opportunità, della parità di trattamento e della condizione di discriminazione in cui essi sono costretti
e indotti a vivere.
La missiva si rivolge inoltre al Ministro per la Disabilità in quanto, seppure il suo compito così
come delineato dal DPCM del 15.03.2021, art.1, è certamente quello di: “promuovere, coordinare,
garantire e tutelare i diritti delle persone con disabilità e favorire la loro piena ed effettiva
partecipazione ed inclusione sociale, nonché la loro autonomia”, è evidente che la garanzia di tali
diritti è legata anche alla condizione di benessere e al riconoscimento di tutele e sostegni previsti
per il caregiver familiare.
Infine la missiva è rivolta opportunamente anche a tutti i Gruppi Parlamentari affinché ciascuno si
assuma la responsabilità e faccia il proprio dovere, avvertendo come prioritaria l’approvazione della
legge.
Nessuno si nasconda più di fronte ad un’emergenza di civiltà e giustizia, ma s’ impegni per i diritti e
le tutele da tempo riconosciuti ed applicati per i caregivers familiari in tutti i Paesi dell’Unione
Europea.”

Scuola, assistenti all’autonomia (Foto: web)
30 giugno 2021
Scuola, disabilità e Assistenti all’autonomia e alla comunicazione – È passato poco meno di un anno dalla presentazione della proposta di legge che punta ad internalizzare gli assistenti all’autonomia e comunicazione, che nelle scuole aiutano gli studenti con disabilità nel processo di inclusione e al rispetto del loro diritto allo studio. Da quel giorno il lavoro delle associazioni e federazioni che hanno proposto il disegno di legge è proseguito, con la sottoscrizione del testo da parte di vari gruppi parlamentari. Con prima firmataria la deputata Carmela Ella Bucalo. A settembre 2021 è previsto l’inizio dell’iter parlamentare “dinnanzi la Commissione lavoro della Camera dei Deputati inizia l’iter parlamentare congiunto con la Commissione Istruzione, per la discussione della proposta di legge n. C.2887”, come si legge nel comunicato della Federazione FIRST. Che aggiunge: “Auspichiamo in vista dell’inizio dell’iter parlamentare che vi sia una condivisione del progetto da parte di tutte le associazioni e/o Federazioni rappresentative delle persone con disabilità e delle famiglie, alla luce di un obiettivo che non può che essere comune”.
Il servizio sulla presentazione della proposta di legge è al seguente link.
Di seguito, il comunicato stampa completo:
“La FIRST comunica, con grandissima soddisfazione, che per il mese di settembre 2021, dinnanzi la Commissione lavoro della Camera dei Deputati inizia l’iter parlamentare congiunto con la Commissione Istruzione, per la discussione della proposta di legge n. C.2887, prima firmataria On. Bucalo.
Abbiamo lavorato tanto per ottenere il citato risultato che finalmente è arrivato.
La scrivente Federazione esprime il proprio compiacimento per l’inizio dell’iter parlamentare per una proposta di legge attesa da molto tempo, che qualora venisse approvata, come noi auspichiamo, assumerebbe una portata storica nel processo effettivo di inclusione per gli alunni che vivono una condizione di disabilità che necessitano dell’apporto imprescindibile delle citate figure professionali.
La FIRST ringrazia i gruppi parlamentari che hanno sottoscritto la citata proposta di legge, che l’ hanno fatta propria depositandola in parlamento e lavorato affinché la stessa fosse incardinata nel più breve tempo possibile.
Un ringraziamento particolare va alla prima firmataria della proposta di legge l’ On. Carmela Ella Bucalo.
La FIRST, tuttavia, auspica vivamente che tutti i gruppi parlamentari, nessuno escluso, sostengano trasversalmente l’approvazione della citata proposta di legge, perché vi è in gioco la condizione di vita e di inclusione effettiva di migliaia di alunni, delle famiglie e di riflesso di circa sessantamila assistenti specializzati.
Noi auspichiamo in vista dell’inizio dell’iter parlamentare che vi sia una condivisione del progetto da parte di tutte le associazioni e/o Federazioni rappresentative delle persone con disabilità e delle famiglie, alla luce di un obiettivo che non può che essere comune, atteso che, non può sfuggire a nessuno, l’enorme rilevanza che assumerebbe un processo di internalizzazione della citata figura professionale nell’ organico del MIUR.
Per quanto ci concerne sosterremo la detta proposta di legge, come abbiamo sempre fatto fino ad oggi, con la massima determinazione possibile.”

Minori Stranieri non accompagnati (Foto: carreteracentral.net)
20 giugno 2021
Giornata Mondiale del Rifugiato, i rischi vissuti dai minori stranieri non accompagnati – Invisibili e per questo esposti a pericoli, tra cui lo sfruttamento e le violenze. I minori stranieri non accompagnati arrivati alle frontiere orientali del nord Italia solo nel mese di aprile sono stati 107. Minori in viaggio dalla rotta balcanica che vengono intercettati all’arrivo in Italia. Viaggi da una frontiera all’altra dell’Italia, per raggiungere altre zone del’Europa, che Save The Children ha raccontato nel suo ultimo rapporto “Nascosti in piena vista”. “Una volta arrivati in Italia, minori e famiglie continuano a essere vittime di respingimenti alle frontiere interne, che in particolare per i minori soli sono illegali”, si legge nel comunicato di presentazione del rapporto. Sul confine italo-francese approdano ogni giorno 3/4 minori, la maggior parte sono maschi ma tra di loro ci sono anche ragazze minorenni. Il rischio è quello di sfruttamento e tratta, “in mancanza di vie legali e sicure gli e le adolescenti sono esposti a grandi rischi, ad attraversare pericolosi sentieri di montagna di notte, a vivere di stenti, a fidarsi dei passeur e di chiunque prometta loro un aiuto per l’attraversamento dei confini” spiega l’organizzazione Save the Children. Tra frontiere chiuse e continui respingimenti, i pericoli sono concreti, e le istituzioni sono consapevoli dei rischi. E i minori non accompagnati restano i più fragili ed esposti.
Il comunicato completo di Save the Children:
“Si spostano a piedi, nascosti sotto i camion o sui treni, trasportati in macchina in autostrada dai passeur, attraversano boschi e montagne pericolose come il Passo della morte tra Italia e Francia, spesso di notte, per superare confini blindati, vengono respinti una, due, dieci, venti volte, in modo spesso brutale e illegale, nonostante abbiano meno di 18 anni, anche tra Paesi Membri dell’Ue. Ma non si arrendono. Sono tanti i racconti dei minori stranieri non accompagnati, a volte poco più che bambini, che parlano delle atrocità subite o a cui hanno dovuto assistere, soprattutto lungo la rotta balcanica: ragazzi che raccontano di essere stati derubati, picchiati, denudati in Croazia, detenuti e sottoposti a violenze in Bulgaria.
Queste testimonianze sono state raccolte da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – nel suo nuovo rapporto “Nascosti in piena vista. Minori migranti in viaggio (attra)verso l’Europa”, a cura del giornalista Daniele Biella, accompagnato sul campo dal fotoreporter Alessio Romenzi. In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, il Rapporto lancia un allarme sui moltissimi minori soli che si muovono come fossero fantasmi. “Ogni giorno e ogni notte attraversano i confini degli stati membri dell’Unione Europea, Premio Nobel per la pace, che continua a chiudere gli occhi di fronte alle violenze che i migranti sono costretti a subire” afferma Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
Minorenni invisibili che sono continuamente esposti al rischio di incidenti, traffico di esseri umani, violenze psicologiche e fisiche, anche per mano istituzionale. Una volta arrivati in Italia, minori e famiglie continuano a essere vittime di respingimenti alle frontiere interne, che in particolare per i minori soli sono illegali. Solo nel mese di aprile sono stati 107 i minori stranieri non accompagnati che hanno fatto ingresso in Italia dalla rotta balcanica intercettati e accolti nel sistema di protezione italiano. La punta di un iceberg ben più consistente. Sempre ad aprile, 24 di loro hanno invece lasciato volontariamente le strutture di accoglienza del Friuli Venezia Giulia per raggiungere la frontiera ovest italiana, al confine con la Francia, a Ventimiglia o a Oulx. E ancora 24 sono le segnalazioni di respingimenti da parte della polizia di frontiera francese.
La voce di questi ragazzi coraggiosi ma ‘invisibili’ è stata raccolta da un team di ricerca di Save the Children per fare luce su una rotta delicata e complessa, due mesi trascorsi tra Oulx, Ventimiglia, Udine e Trieste, ripercorrendo le tracce di minori e famiglie nei luoghi di passaggio formali e informali, lungo i sentieri di montagna in entrata dalla Slovenia e in uscita verso la Francia, ascoltando le loro voci, così come quelle delle persone e organizzazioni della società civile che li stanno aiutando, oltre alle istituzioni territoriali che hanno competenza lungo quelle frontiere.
Il rapporto “Nascosti in piena vista. Minori migranti in viaggio (attra)verso l’Europa” sintetizza un lavoro sul campo che vuole gettare luce su ciò che quotidianamente accade alla Frontiera Nord d’Italia, interessata da un passaggio continuo di minorenni stranieri non accompagnati, che entrano ogni giorno in Friuli-Venezia Giulia, tra Trieste e Udine, dove arrivano a piedi dalle montagne carsiche o lasciati nelle strade di provincia da passeur senza scrupoli. Da qui o dalle regioni meridionali dove sbarcano, una decina di minori non accompagnati raggiungono inoltre ogni giorno Ventimiglia, in Liguria.
A Oulx, sempre sul confine italo-francese, ogni giorno sono almeno tre/quattro i minori soli ad approdare a un rifugio che li accoglie dopo i traumi e le fatiche del loro viaggio. I minorenni non accompagnati sono in gran parte maschi, ma non mancano i casi di ragazze in viaggio da sole, in particolare da Paesi dell’Africa Occidentale. Il rischio di tratta e sfruttamento è concreto: in mancanza di vie legali e sicure gli e le adolescenti sono esposti a grandi rischi, ad attraversare pericolosi sentieri di montagna di notte, a vivere di stenti, a fidarsi dei passeur e di chiunque prometta loro un aiuto per l’attraversamento dei confini.
Tutto questo avviene quasi alla luce del sole. Ma solo per chi lo vuole vedere. Le frontiere sono ancora più chiuse dallo scoppio della pandemia e la libera circolazione del trattato di Schengen sembra il ricordo di un passato lontano. In Francia, a Mentone, i minori soli – come riferiscono gli attori locali e gli stessi minori intervistati – oltre a venire rinchiusi in container alla stregua degli adulti, si vedono la propria data di nascita cambiata per risultare maggiorenni e quindi respingibili verso Ventimiglia, mentre tra la cittadina italiana di Claviere e la francese Monginevro, come denunciano gli operatori, se trovi il “poliziotto buono” sei accolto e tutelato, altrimenti vieni considerato maggiorenne e devi tornare da dove sei partito qualche ora prima. A Trieste, fino a pochi mesi fa le forze di polizia italiane seguivano una prassi non meno preoccupante verso chi arrivava dalla Slovenia, la quale prevedeva che, in assenza di dubbi della polizia sull’età adulta, si potesse prescindere dall’eventuale dichiarazione di minore età – non applicando quindi le garanzie, anche giurisdizionali, previste per l’accertamento dell’età dalla L.47/2017 (Legge Zampa) – con il risultato che l’Accordo italo-sloveno che prevede la possibilità di riammettere i migranti sul territorio sloveno in maniera informale rischiava di essere applicato anche ai minorenni. Oggi le riammissioni verso questo Paese sono sospese, ma durante una recente audizione in Parlamento, il Prefetto di Trieste ha annunciato che potrebbero riprendere.
“Non si può più dire “non sapevamo”. E soprattutto è necessario cambiare rotta subito: gli Stati membri dell’Unione Europea potrebbero gestire virtuosamente questi flussi di minori vulnerabili. Non solo in nome della solidarietà, che è un valore fondante, ma anche per cogliere l’opportunità di rendere parte attiva della società tutti questi ragazzi determinati a costruirsi un futuro. La Commissione europea si deve impegnare per arrivare a una Raccomandazione agli Stati Membri o ad altro atto di rango europeo che richieda di adottare e applicare politiche volte ad assicurare la piena protezione dei minori non accompagnati ai confini esterni e interni dell’Europa e sui territori interni e a promuovere il loro benessere e sviluppo, anche mediante strategie tese all’inclusione scolastica e formativa. Inoltre, a livello italiano, è necessario emanare i decreti attuativi della L. 47, che tutelano i minori stranieri non accompagnati, e gli stanziamenti destinati dalla Legge di Bilancio ai Comuni transfrontalieri dovrebbero essere in parte vincolati all’attivazione di progetti di assistenza umanitaria” aggiunge Raffaela Milano.
A fine aprile 2021 erano 6.633 le ragazze e i ragazzi stranieri non accompagnati censiti sul territorio italiano; nello stesso mese in 302 si sono allontanati dalle strutture di accoglienza.
Sempre ad aprile 2021 gli ingressi registrati in Italia sono stati 453, di cui 149 da sbarchi. Gli altri 304 sono invece stati rintracciati sul territorio, probabilmente passati dalla Rotta Balcanica a piedi o con i camion. Questo i dati ufficiali anche se, secondo stime degli operatori, il numero complessivo potrebbe essere molto più alto.
Nel 2020 sono state effettuate verso la Slovenia 301 riammissioni dalla provincia di Gorizia e 1000 dalla provincia di Trieste. Tra queste, potrebbero esserci diversi minori, considerato che in quel periodo erano in vigore due direttive della Procura che lasciavano all’agente di polizia in frontiera la possibilità di considerare il ragazzo maggiorenne senza applicare gli accertamenti e le garanzie anche giurisdizionali previsti dalla legge Zampa.
Tali riammissioni, che avvenivano se la persona veniva trovata in un raggio di 10 chilometri dal confine o comunque nelle 24 ore seguenti all’arrivo, hanno determinato, a cominciare dalla primavera-estate 2020, un cambiamento del flusso in entrata in Friuli Venezia Giulia: i passeur hanno iniziato a portare gruppi di persone migranti più a nord e nell’entroterra, nei dintorni di Udine. Da allora quella zona è molto coinvolta negli arrivi. Il 19 maggio 2021 il team di Save the Children ha constatato l’arrivo di più di 100 persone solo nella notte precedente. In tutto il Friuli Venezia Giulia gli arrivi sono in crescita, nei primi quattro mesi del 2021 si registra un aumento dei flussi già del 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Spesso però i minorenni soli, in particolare gli afghani e i pakistani, si allontanano dalle strutture per proseguire il loro viaggio, quasi tutti dopo poco tempo.
Negli ultimi tempi si registra un aumento dei traumi psicologici di alcuni minori, in prevalenza pakistani. Che questi traumi possano essere legati alle esperienze subite lungo la rotta balcanica, lo dimostrano diversi racconti tra cui quello di Abdel, neomaggiorenne arrivato l’anno scorso in Italia, ora in prosieguo amministrativo in comunità: “Sogno spesso le violenze della polizia nei boschi della Croazia. Una volta ci hanno fatto camminare senza sosta in salita per ore, continuando a darci percosse, un poliziotto si divertiva a farlo, gli altri gli dicevano di smetterla ma lui andava avanti. Un’altra volta ci hanno denudato e gettato in un fiume gelido, con le rocce che spuntavano dall’acqua. Una volta invece la polizia è arrivata, i piedi erano feriti e non siamo riusciti a scappare, avevano i cani. Uno di noi è stato bastonato dalla polizia alla testa ed è morto sul colpo. È morto e l’hanno preso e buttato nel fiume, il suo corpo non l’abbiamo ritrovato”.
Abdel, superato l’incubo della rotta, ha scelto di restare in Italia e ora ha il sogno di aprire un ristorante. Lui ha un tutore volontario che lo segue, ma è uno dei pochi. In Friuli Venezia Giulia, seconda regione per presenza di minori stranieri accolti dopo la Sicilia, è infatti molto bassa la presenza di tutori volontari.
Abdel è uno dei tanti che parla del game, come i ragazzi lo chiamano, il crudele “gioco” degli attraversamenti tra le frontiere balcaniche, le settimane di cammino e mesi di attesa, preoccupazione, paura fino a quando sbucano dai boschi della Slovenia a Trieste, nel paesino di Dolina, lungo la ciclabile della Val Rosarno, a Basovizza, o nella miriade di altri luoghi del Carso lungo i 232 chilometri di confine con l’Italia.
Spesso sono respinti più volte ai confini esterni dell’Unione Europea, come quello croato-bosniaco, anche più di 20 volte brutalmente, oppure con respingimenti a catena su più confini: solo ad aprile 2021, ci sono stati 1.216 respingimenti tra Croazia e Bosnia, di cui 170 a catena dalla Slovenia, 5 a catena tra Italia, Slovenia e Croazia e 1 tra Austria, Slovenia e Croazia. Per quanto riguarda i minorenni soli, l’ufficio locale Save The Children dei Balcani Nord Occidentali ha raccolto le testimonianze di ben 84 di loro (quasi tutti afgani e pakistani), in tre zone al confine bosniaco. Il quadro che ne emerge è drammatico: almeno 7 a testa (ma alcuni di loro erano arrivati a quota 15) i respingimenti da parte delle autorità croate, per un totale di 451 tentativi di attraversamento della frontiera.
“Dall’inizio della crisi migratoria del 2015 abbiamo garantito un supporto urgente ai più vulnerabili, in particolare famiglie con bambini e minori non accompagnati, soprattutto in Grecia e Serbia” spiega Dubravka Vranjanac, Emergency Response Team Leader di Save the Children per la Bosnia Erzegovina. “Ma dal 2018, con il deterioramento della situazione umanitaria, abbiamo avviato una presenza anche in Bosnia Erzegovina: ogni giorno ci sono da mettere in campo servizi di assistenza, di protezione dei minori, di formazione degli operatori coinvolti e di attività educative. Allo stesso tempo, svolgiamo un’intensa attività di advocacy per assicurarci che i bisogni dei minori siano la priorità nell’emergenza”. Dato che il flusso lungo la rotta balcanica non accennava a diminuire, Save the Children ha attivato nel 2017 anche il Balkans Migration and Displacement Hub (BMDH) che monitora la situazione delle persone lungo il cammino, raccogliendo testimonianze e dati utili per affrontare il fenomeno su larga scala. L’Hub si occupa di monitorare e analizzare le dinamiche e i flussi in Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Kosovo, Albania e Romania.
Gyasi ha 17 anni, è nato in Ciad e ha una gamba ferita da una pallottola sparatagli da un poliziotto libico quando è scappato dal centro di detenzione. Un mese prima era sopravvissuto dopo tre giorni in mare su un gommone con il motore in panne, era stato recuperato dalla Guardia costiera libica e ricondotto nel centro di detenzione in cui aveva passato i successivi 20 mesi. Una volta ripartito, è arrivato in Sicilia e dopo la quarantena a Ventimiglia. Il team di Save the Children lo incontra dopo una notte passata in un container, con decine di persone migranti, adulti e bambini, al posto di polizia di frontiera francese di Mentone, al confine con l’Italia, dove era stato chiuso dopo il respingimento alla frontiera, assieme al suo compagno di viaggio del Sudan anch’esso minorenne: “Ho dichiarato la mia data di nascita, 2004, quella con cui sono stato registrato allo sbarco in Sicilia. Ma non mi hanno creduto e mi hanno riportato in Italia scrivendo sul refus d’entrée una data che mi fa risultare maggiorenne”. Altri minori denunciano la stessa prassi, respinti come maggiorenni oppure per la mancanza di tampone molecolare anti-Covid o del possesso dell’importo minimo di soldi per soggiornare in Francia. Dal 2015 la Francia ha ristabilito i controlli alle frontiere dell’UE, giustificandoli con il rischio di infiltrazioni terroristiche. E da allora i numeri dei respingimenti sono esplosi: i 50mila respinti del 2017 sono il dato peggiore, mentre dal confronto tra i 15mila del 2019 e i 22mila del 2020 emerge che il Covid-19 non ha fermato l’esodo. Nel solo aprile 2021 sono state 18 le segnalazioni di minori non accompagnati respinti. Ma sono dati parziali, perché non riguardano tutti i passaggi di frontiera.
Le nazionalità più diffuse nel primo semestre del 2021 sono Costa d’Avorio, Eritrea, Sudan, Mali, Nigeria e altri Stati dell’Africa Occidentale per quanto riguarda gli arrivi di singoli e famiglie dalla Frontiera Sud e, in minor misura, pakistani, afghani e iraniani che non sono riusciti a passare in Francia dalla frontiera piemontese di Oulx/Claviere, o che hanno scelto la via della costa considerando le montagne troppo pericolose. Da Costa d’Avorio ed Eritrea si segnala il passaggio di ragazze sole o con accompagnatori molto più grandi, sintomo di una probabile tratta.
Save the Children, che a Ventimiglia ha attivato un Child Friendly Space in partenariato con la Caritas Intemelia, ha approntato in collaborazione con Diaconia Valdese anche uno spazio emergenziale per i minori soli che chiedono un ricovero notturno, un luogo dove ridurre il rischio di una notte trascorsa in strada e dove poter approfondire informazioni e dettagli circa i pericoli di un attraversamento del confine e sulle opportunità che il sistema di protezione italiano garantisce loro. Inoltre, nell’ambito dell’intervento di protezione in loco, Save the Children e UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, hanno unito le proprie forze per dare una risposta immediata ai bisogni essenziali di bambini e adolescenti, delle loro famiglie e delle donne sole in arrivo e in transito. Tra gli interventi: primo soccorso psicologico, informazioni sui loro diritti, nonché sui servizi e sulle opportunità disponibili, una valutazione tempestiva delle potenziali vulnerabilità e problemi di protezione specifici, tra cui quelli connessi alla violenza di genere, e con la distribuzione di kit contenenti materiali utili per il viaggio e l’igiene personale. Nel 2020 sono stati 45 i minori rintracciati, 21 nei primi 3 mesi del 2021, tutti collocati in accoglienza. Molti anche i nuclei familiari che passano arrivando sia dalla Rotta balcanica sia dall’Africa Occidentale e quindi dal Sud Italia.
Ancora respingimenti, anche di famiglie intere. È il caso di quella incontrata al rifugio Massi, nei pressi della stazione di Oulx, alta Valle di Susa. Una famiglia irachena con un bimbo di due anni e una di 10 anni, cardiopatica, è stata respinta dalla polizia francese la notte precedente mentre stava provando a passare il confine sulle montagne. La sera dopo si è rimessa in viaggio, di nuovo verso le montagne attorno al colle del Monginevro. A due anni dalla partenza dall’Iraq, dopo avere attraversato a piedi tutti i boschi dei Balcani.
Vengono dall’Iraq ma anche dall’Iran, Afghanistan, Pakistan, addirittura qualcuna dal Nepal. Sono determinatissime, non tornano indietro, né si fermano, vogliono arrivare alla meta prescelta. Fino a poco più di un anno fa non era così, si vedevano molti meno bambini. Spesso vengono rimandati indietro dalla Paf, la polizia di frontiera francese. Dal rifugio al buio si mettono in cammino per provare a passare il confine senza essere bloccati, più in alto si va sulla montagna, minore è il rischio di essere intercettati dalla polizia francese, ma aumenta quello dell’ipotermia.
Tra aprile e maggio, nei due mesi di monitoraggio di questa ricerca, sono state almeno due al giorno le famiglie passate dal rifugio, quasi tutte con almeno due figli, per un totale minimo di 60 nuclei al mese, ovvero almeno 240 persone. In passato poteva accadere che la polizia francese scaricasse le persone sul bordo della strada. Un episodio legato all’abbandono di minori non accompagnati fece scalpore e dopo le proteste del governo italiano la prassi è cambiata . Ora la polizia francese quando intercetta le persone sui sentieri chiama il Commissariato di Bardonecchia senza rilasciare alcun documento, con il risultato che il respingimento non può essere impugnato dagli avvocati francesi, in particolare quando a essere respinto è chi invece avrebbe diritto all’accoglienza, come un minore non accompagnato.
Le proposte di riforma del sistema di asilo e migrazione europeo non riescono ad affrontare le peggiori, e molto diffuse, conseguenze delle attuali norme, compresa la creazione di strozzature in prossimità delle frontiere esterne dell’UE e i movimenti secondari, che coinvolgono anche i minori. “Le istituzioni europee hanno ora l’occasione di cambiare questa situazione, basandosi sul lavoro svolto in modo efficiente dal Parlamento europeo e dalla Commissione durante la scorsa legislatura, per evitare sofferenze ai minori e rischi di tratta e sfruttamento all’interno dell’UE e in particolare ai suoi confini interni” dice Raffaela Milano.
Sono molteplici le storie raccolte, la maggior parte di coraggio e sofferenze, e molti soprusi rimangono impuniti: “Hanno preso i soldi da ogni famiglia. Hanno picchiato anche noi. Tenevano dei bastoni di plastica. Ci hanno colpito con quelli”, ci racconta Zalmai, che viene dall’Afghanistan, da dove è venuto via con la moglie tagika Jamila, sua coetanea e due figlie che ora hanno 6 e 4 anni. Dopo l’esperienza nel campo di Moria sull’isola di Lesbo, Jamila prende i tranquillanti e anche le bambine, soprattutto la più piccola, manifestano problemi psicologici: “A volte urla e si dimena per diversi minuti, incontrollabile, senza un apparente motivo scatenante” afferma la mamma. “Sapete che gioco fanno ogni tanto? Quello del poliziotto che picchia il migrante. Purtroppo hanno visto quando la polizia croata ci ha malmenato, e non se lo dimenticano”, spiega a voce bassa il padre. Le indegne esperienze traumatiche vissute dai bambini in questi viaggi si affiancano a un altro aspetto rilevato dal team: la forza di questi ragazzi e bambini e il ruolo di portavoce della famiglia. Parlano più lingue, usano smartphone e tecnologia, si orientano bene e capiscono al volo chi può essere più utile.
“Le testimonianze dei tanti minori soli incontrati ai confini Nord del Paese impongono un immediato intervento per garantire protezione e accoglienza nel rispetto dei fondamentali diritti di ogni minore in Europa. E’ altrettanto urgente attivare un monitoraggio efficace e indipendente delle frontiere, anche al fine di garantire una presa in carico delle persone più vulnerabili da parte delle organizzazioni di tutela. Questo anche per contrastare i gravissimi fenomeni di sfruttamento e di traffico di esseri umani. Chiediamo con forza che il Consiglio europeo del 24 e 25 giugno, che ha già la crisi migratoria tra i temi all’ordine del giorno, affronti con determinazione questo tema, mettendo al centro la tutela dei diritti dei minori” conclude Raffaela Milano.

Persone senza dimora (Foto: web)
14 maggio 2021
Persone senza dimora e vaccini – Dopo quasi cinque mesi dalla partenza del Piano vaccinale, sono ancora migliaia le persone invisibili alla lista degli aventi diritto al vaccino. Sono le migliaia di senza dimora, tra cui italiani, comunitari irregolari ed extracomunitari, privi di residenza e senza accesso al servizio sanitario nazionale. Una esclusione che, come ricorda l’Associazione Avvocato di strada onlus, “comporta una evidente lesione dei diritti fondamentali e di assistenza da parte dello Stato e che va a discapito della salute dell’intera collettività”. E con loro anche il personale dei centri cheli assite, come ricorda la Federazione Fio.PSD : “Tante di queste persone vivono o trascorrono il loro tempo in centri di accoglienza o in case famiglia e si rivolgono ai servizi di bassa soglia, supportati da operatori e volontari che ancora, nonostante molte petizioni e richieste formali, non sono stati equiparati agli operatori socio-sanitari di ospedali ed RSA, vaccinati – giustamente – tra i primi”. Una recente ordinanza del Commissario straordinario per l’emergenza Covid, la 7/2021, estende l’accesso al vaccino ad alcune categorie senza tessera sanitaria ma che vivono momentaneamente in Italia, tra cui dipendenti delle istituzioni UE e agenti diplomatici. Un documento che esclude altri cittadini, privi di tessera sanitaria, come le persone senza dimora. Una comunità invisibile che rimane esclusa dall’accesso automatico, per età o per fragilità, ai vaccini. “Quando ci si occuperà di chi vive in strada?” chiede l’Associazione Avvocato di strada Onlus in un appello al Commissario straordinario per l’emergenza Covid, ribadendo la necessità di vaccinare queste persone, maggiormente esposte al rischio contagio. #Aspettoilmioturno, è l’hashtag lanciato dalla campagna promossa dalla Fio.PSD per i senza dimora, a cui hanno aderito vari gruppi tra cui Binario 95 e Caritas, perchè anche chi vive ai margini possa mettrsi in fila e ricevere il vaccino.
Di seguito, l’appello dell’Associazione Avvocato di strada al Commissario Straordinario per l’Emergenza COVID
“Bene occuparsi dei non iscritti al Sistema Sanitario Nazionale. Ma quando ci si occuperà di chi vive in strada?” Commenta così l’Associazione Avvocato di strada l’ordinanza 7/2021 del Commissario straordinario per l’emergenza COVID che da istruzioni operative su come vaccinare alcune persone che non hanno la tessera sanitaria ma si dimentica di persone senza dimora, extracomunitari e comunitari irregolari, che non hanno residenza, non hanno accesso al sistema sanitario nazionale e sono esclusi dalle vaccinazioni.
Con ordinanza n.7/2021 il Commissario straordinario per l’emergenza COVID affronta un tema molto importante: assicurare una tempestiva somministrazione del vaccino ad alcune categorie di individui non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale ma che vivono temporaneamente in Italia: tra questi i cittadini italiani iscritti all’A.I.R.E.; i dipendenti delle Istituzioni dell’UE; gli agenti diplomatici e il personale tecnico-amministrativo delle missioni diplomatiche; il personale di enti e organizzazioni internazionali sul territorio nazionale.
“In questa importante ordinanza, però, – sottolineano dall’Associazione Avocato di strada, non vengono menzionati i cittadini italiani senza dimora, i cittadini extracomunitari e i comunitari irregolari: tutte persone che, al pari delle altre, presentano fragilità, possono ammalarsi e sono in contatto con il resto della popolazione, con ogni conseguente implicazione in termini di pandemia”.
“Prendere atto con questa Ordinanza della necessità di includere nel programma vaccinale le persone non iscritte al SSN è giusto e doveroso. Nel momento in cui si riconosce questa necessità, tuttavia, non si può pensare di escludere migliaia di persone fragili e vulnerabili: una decisione che comporta una evidente lesione dei diritti fondamentali e di assistenza da parte dello Stato e che va a discapito della salute dell’intera collettività”.
“L’Associazione Avvocato di strada, da anni al fianco delle persone che vivono in strada, lancia un appello al Commissario straordinario per l’emergenza COVID perché rettifichi o integri l’ordinanza in questione: è indispensabile prevedere che anche i cittadini italiani senza dimora, gli extracomunitari e i comunitari irregolari presenti sul territorio italiano, ma privi della tessera sanitaria, possano fare al più presto richiesta di essere vaccinati. Solo così si sanerebbe un grave lacuna e si farebbero davvero gli interessi di tutti”. “
Il comunicato di Fio.PSD, Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora:
“La campagna vaccinale procede e tutti ci siamo messi idealmente in fila, aspettando il nostro turno. Insieme a noi, però, ci sono tante persone fragili, che aspettano senza essere sicure di riuscire ad ottenere un risultato concreto. Si tratta di chi è senza dimora, di chi ha solo una residenza fittizia, di chi non ha una tessera sanitaria, di chi è straniero in attesa di regolarizzare la sua posizione, di chi non sa o non è capace di prenotarsi on line, di chi è talmente fragile da avere perso tutti i legami formali con il sistema sanitario, tanto da non comparire nelle liste di chi avrà, quando sarà il suo turno, diritto ad essere vaccinato.
Il diritto a mettersi in fila
Tante di queste persone vivono o trascorrono il loro tempo in centri di accoglienza o in case famiglia e si rivolgono ai servizi di bassa soglia, supportati da operatori e volontari che ancora, nonostante molte petizioni e richieste formali, non sono stati equiparati agli operatori socio-sanitari di ospedali ed RSA, vaccinati – giustamente – tra i primi. Tuttavia sono obbligati a sottoporsi regolarmente al tampone, perché sono a rischio. Anche i nostri operatori aspettano il loro turno, ma è probabile che non si possano vaccinare prima di molti mesi, nonostante il livello di rischio del loro lavoro, perché sono in gran parte giovani.
Qualcuno ha detto – mostrando di ignorare ancora, come si fa dall’inizio della pandemia, l’universo della fragilità sociale – che uno psicologo di 35 anni non può passare davanti nella vaccinazione ad un ottantenne, che rischia di più di non uscirne vivo. Ma se lo psicologo è ogni giorno a contatto con trenta persone senza dimora in un centro di accoglienza, con fragilità sanitarie importanti come ad esempio HIV, diabete, cardiopatie, impossibili da isolare in caso di contagio, vaccinarlo non significherebbe rubare la dose all’ottantenne, ma prevenire che quel centro si trasformi in un cluster e quindi salvaguardare le stesse persone fragili che vi risiedono e gli altri ottantenni del quartiere e della città.
#aspettoilmioturno è il contrario di #saltolafila. Ma è un dovere di tutti noi assicurarci che le persone che vivono ai margini della società possano almeno prendere il numero e mettersi in fila, come tutti gli altri, verso una vita più serena. Loro e coloro che li assistono.”

Caporalato e lavoratori migranti (Foto: Consumatori Coop)
11 maggio 2021
Braccianti e caporalato – Sfruttamento e lavoratori migranti al tempo dei Covid-19. Il caso del campo di Cassibile, avviato lo scorso aprile. Un campo “costato 242 mila euro e che sarà gestito dalla Cooperativa Passwork e dalla Croce Rossa” raccontano gli attivisti del gruppo Borderline Sicilia in una loro testimonianza tra i campi, in provincia di Siracusa. Un luogo nato per ospitare i lavoratori migranti, ma che rischia di diventare oggetto di contestazioni di alcuni cittadini del luogo. “Quei migranti che ogni giorno alle cinque del mattino – che vengano dal campo istituzionale, dalle case affittate o dalle grotte dove si rifugiano – si recheranno sulla via principale del paese e verranno reclutati e caricati sui furgoncini dei caporali, nell’invisibilità, fuori dall’occhio dei riflettori”, dicono i volontari del gruppo siciliano. “Dai racconti dei lavoratori abbiamo ricostruito che i ritmi del loro lavoro prevedono il carico quotidiano di circa 100 cassette da 20 kg ciascuna, con salari che oscillano tra i 30 e i 40 euro al giorno per circa 9/10 ore lavorative. Ciò avviene spesso con la retribuzione di paghe fittizie a fronte di orari di lavoro non corrispondenti al vero, per cui i soldi percepiti dai braccianti sono sempre meno di quelli dovuti”. Manca ancora una presa in carico di questi lavoratori da parte della politica, che li integri fattivamente nel tessuto sociale. E non li renda lavoratori di serie B.
La testimonianza completa degli attivisti e volontari di Borderline Sicilia:
“Siamo stati a Cassibile (SR) giornate intere – nei campi e nelle vie della città – ascoltando le voci dei lavoratori migranti per riportare l’attenzione sullo sfruttamento lavorativo che imperversa nelle terre siciliane.
Venerdì 30 aprile, con un mese di ritardo sui tempi annunciati, il campo istituzionale di Cassibile – le “casette”, il “villaggio”, l’ostello” per migranti, nelle varie formulazioni utilizzate da stampa e politica – ha finalmente iniziato ad accogliere i lavoratori. Non tutti, ovviamente, ma solo quelli che hanno un contratto di lavoro, un documento d’identità e un permesso di soggiorno. Non tutti, poi, perché, come già abbiamo raccontato, i posti non sono neanche lontanamente sufficienti ad ospitare tutti i lavoratori arrivati a Cassibile in questi due mesi: dovevano essere 120, già troppo pochi; sono diventati 68 (17 container da quattro posti l’uno), per rispettare le normative anti-contagio.
Per comprendere la posta in gioco a Cassibile bisogna ascoltare le parole che nell’ultimo mese, e in particolare negli ultimi giorni, si sono fatte sempre più fitte. E bisogna poi confrontarle con i fatti, con la materialità della vita quotidiana delle persone che lavorano la terra in Sicilia orientale. La stampa ha dato risalto alle parole dei politici e delle istituzioni, e alla rabbia dei Cassibilesi. Noi abbiamo osservato tutto questo stando a Cassibile giornate intere e lo abbiamo fatto ascoltando le voci dei lavoratori.
Il giorno che di tutta questa vicenda verrà ricordato, e che già ha fatto il giro della stampa locale e nazionale, è giovedì 29 aprile, data dell’inaugurazione del campo. “Un esempio anti-caporalato”, “Cassibile è una realtà di integrazione”, “lo meritavano i residenti di Cassibile e i lavoratori stagionali”, si complimentano a vicenda il Comune e la Prefettura di Siracusa, nonché la Regione, durante la conferenza stampa di inaugurazione del campo, alla presenza del Capo del Dipartimento delle Libertà Civili del Ministero degli Interni, Michele Di Bari, il braccio destro della Ministra Lamorgese, incaricato di gestire l’accoglienza – che nei fatti si traduce più che altro in contenimento e repressione – dei migranti che arrivano in Italia.
Il campo è costato 242 mila euro e sarà gestito dalla Cooperativa Passwork e dalla Croce Rossa, anch’essi presenti all’inaugurazione. Chi vivrà all’interno non potrà cucinare in maniera indipendente, ma saranno serviti pasti una volta al giorno. Verrà anche fornito un servizio di navette per portare i lavoratori nei campi, ma il contratto con la ditta operatrice del servizio non è stato ancora firmato. “Così si sconfigge il caporalato”, dicono all’inaugurazione, ma siamo ormai a stagione inoltrata e le organizzazioni gestiranno il campo soltanto per due mesi, una prospettiva come minimo limitata.
Le alte cariche delle istituzioni hanno però presentato il campo come la risoluzione ai problemi di tutti: i lavoratori e gli abitanti di Cassibile. E invece, a contrada Palazzo, dove sorge il campo, una cinquantina di residenti ha dato vita ad un presidio di protesta, sfilando con maglie e cartelli “#NoVillaggio”, “Meno ghetto, più integrazione”, “Più servizi per i cittadini”, mentre alle loro spalle campeggiava uno striscione “Vergogna Italia di merda”. Lo striscione, almeno inizialmente, poteva anche suscitare qualche ironia visto che alla testa del presidio c’erano un esponente politico della destra nazionalista e un rappresentate del comitato “Giovani Cassibilesi”, con tanto di maschera e bandiera italiana, delle stesse idee politiche. Ma l’umorismo finisce ascoltando le parole di rabbia di questi abitanti, che se la prendono con uno stato che non ha mai asfaltato le strade della contrada, in cui da cinquant’anni vengono fatte promesse senza che poi vengano mantenute.
Il disagio è reale, ma la politica, in ogni caso, lo strumentalizza. E così gli aitanti politicanti locali hanno iniziato a soffiare il fuoco dell’odio razzista, “prima si risolvano i problemi dei residenti”, “noi qui non li vogliamo”, la protesta contro il campo è diventato un pretesto per prendersela con i lavoratori migranti che ormai da vent’anni sono i lavoratori essenziali di grossa parte del comparto agricolo siciliano. Hanno preso un disagio reale – l’abbandono delle periferie e del Sud da parte delle istituzioni – e lo hanno trasformato con piroette retoriche in un comizio pieno di sciovinismo e di apologia verso i padroni, a danno tanto dei lavoratori in generale quanto dei lavoratori stranieri.
Ed è così che si è arrivati a momenti di alta tensione. Mentre la polizia sbarrava l’ingresso al campo, impedendo ai contestatori di rovinare l’inaugurazione, una rappresentanza della CGIL è arrivata con una bandiera è stata aggredita dalla folla per poi essere allontanata dalla Digos presente sul posto. Il lavoro dunque è rimasto senza rappresentanza a questa inaugurazione.
A farsi largo è invece la tensione e presto, ne siamo tristemente abbastanza sicuri, la paura.
Il campo è infatti collocato alla fine di contrada Palazzo: lo si può raggiungere soltanto attraversando la strada principale del quartiere dove abitano i contestatori. I lavoratori si troveranno dunque costretti ad attraversare un luogo ostile diverse volte al giorno. E una prima dimostrazione di come questa struttura possa diventare ostaggio della rabbia è già arrivata la notte prima dell’inaugurazione: i tubi fognari che collegano la contrada, e il campo, al resto della città sono stati sabotati, provocando sversamenti di liquami nei pressi del luogo dove in poche ore avrebbero sfilato le istituzioni.
La vigilanza h24 della struttura, che è stata presentata come un diritto dei lavoratori, è dunque in realtà il risultato delle crescenti tensioni in quartiere e dell’infelice collocamento del campo. Il risultato, già abbastanza evidente, è che si sta venendo a creare una situazione dove l’intervento umanitario si mischia con pratiche di sorveglianza ai limiti del detentivo, così come succede dovunque si adottino soluzioni emergenziali a problemi strutturali.
“Diamo dignità ai lavoratori”, dicono. Eppure, sembra sempre più che questi vengano trattati come corpi docili da controllare in ogni singolo momento della giornata: dal letto fino ai campi, senza però prevedere controlli a tappeto sul rispetto delle normative contrattuali dove lavoreranno. Non sorprende, dunque, che a questo approccio i lavoratori abbiano risposto finora con diffidenza, nonostante le condizioni abitative totalmente disastrate con cui si sono dovuti confrontare nell’ultimo mese.
“Noi stiamo facendo il Ramadan, vogliamo poter cucinare e mangiare insieme, e al campo non si può”, dicono alcuni lavoratori che di esser trattati come bambini non hanno voglia; “Ma che è una prigione?”, si chiedono. Si confrontano con lucidità e un pizzico di amarezza per questa apertura rispetto alla quale non sono stati né interpellati, né invitati, né spesso neanche avvisati, “a Cassibile non ci sono leggi per il lavoratori”. Alcuni di loro hanno provato ad avvicinarsi al campo durante l’inaugurazione, non per celebrare ma per iscriversi alle liste per il campo, ma sono stati allontanati dalla polizia “per il vostro bene”.
Dietro lo spettacolo di questo palcoscenico dove hanno sfilato istituzioni e capipopolo, dietro il finto ordine di un villaggio ghetto dove trovano spazio tanto le retoriche della sicurezza e della legalità quanto gli slogan razzisti e xenofobi, continuano ad esistere i lavoratori migranti che ogni giorno, da due mesi – nel bel mezzo della propaganda regionale e nazionale sul dormitorio di contrada Palazzo – permettono che la stagione di raccolta agricola vada avanti.
Quei migranti che raccolgono patate, finocchi e carote nei campi della Sicilia orientale. Quei migranti che ogni giorno alle cinque del mattino – che vengano dal campo istituzionale, dalle case affittate o dalle grotte dove si rifugiano – si recheranno sulla via principale del paese e verranno reclutati e caricati sui furgoncini dei caporali, nell’invisibilità, fuori dall’occhio dei riflettori.
Che siano dentro le maglie del sistema umanitario-detentivo del campo o che siano negli interstizi informali dell’autorganizzazione, i migranti vanno incontro al lavoro sfruttato.
Dai racconti dei lavoratori abbiamo ricostruito che i ritmi del loro lavoro prevedono il carico quotidiano di circa 100 cassette da 20 kg ciascuna, con salari che oscillano tra i 30 e i 40 euro al giorno per circa 9/10 ore lavorative. Ciò avviene spesso con la retribuzione di paghe fittizie a fronte di orari di lavoro non corrispondenti al vero, per cui i soldi percepiti dai braccianti sono sempre meno di quelli dovuti.
È il cosiddetto lavoro grigio – diverso dal lavoro informale vero e proprio – quello che imperversa nel siracusano: un sistema consolidato tra le aziende locali, con poche eccezioni, che evita il lavoro in nero e senza contratto, ma si fonda comunque sull’abuso e sulla violazione dei diritti.
Possedere il contratto lavorativo, infatti, non è sinonimo di regolarità e di giusto salario. Tant’è che i braccianti “regolari” sono ulteriormente sfruttati con ennesimi tagli sulla loro paga: ovvero i soldi dovuti ai caporali per il costo dei servizi di trasporto (dai 3 ai 7 euro), i soldi da loro decurtati sul lavoro a cottimo, per ogni cassetta riempita.
“Veloci, veloci!”, dicono i caporali ai braccianti che riempiono cassette nei campi. Se non si mantiene il ritmo dello sfruttamento si è fuori: veloci a lavorare, veloci ad abbandonare il campo informale sgomberato, veloci a rincorrere un posto per dormire nel villaggio, veloci a ripartire per un’altra tappa stagionale, veloci a dimenticare le violazioni che sulla loro pelle si consumano. Ai migranti è richiesta obbedienza immediata, come bestie da soma.
Il campo istituzionale non cambierà queste condizioni strutturali. In questo sistema assodato da anni, le ingiustizie legate allo sfruttamento lavorativo si compiranno indisturbate, poiché non c’è nessun interesse a colpirlo. Se mai, l’intenzione è di controllarlo e gestirlo.
Esclusi o inclusi nel campo, i migranti continuano ad essere vittime di un sistema criminale: perché il “villaggio” di Cassibile non è pensato per combattere il caporalato, ma per disciplinare e controllare i suoi abitanti sfruttati, per ordinare i braccianti che ogni anno transitano per la città dentro una struttura istituzionale legittima e normata, per nascondere ancora una volta l’umanità migrante agli occhi di chi non vuol vederla.
In questo modo, il campo sarà tutt’altro che “esempio di integrazione” e non garantirà alcuna legalità: favorirà invece la marginalizzazione dei migranti, i quali saranno strumentalizzati dalle istituzioni e dai razzisti, sfruttati da caporali e dai padroni, gestiti in quanto manodopera da disciplinare, esclusi dalla presa di decisioni che li riguardano, privati della dignità e delle tutele.
Tra meno di un mese sarà l’anniversario della morte di Siddique Adnane, 32enne pachistano ucciso l’anno scorso a Caltanissetta con cinque coltellate, dopo aver denunciato i caporali che sfruttavano dei braccianti agricoli suoi connazionali. Non è stato il primo né sarà l’ultimo a rischiare la vita nelle campagne del Meridione. E per lui la giustizia ancora non è arrivata.
Dalla morte di Siddique in Sicilia la situazione non è cambiata affatto: lo sfruttamento lavorativo dei migranti continua ad essere un fenomeno strutturale, una disfunzione criminale del sistema produttivo che cresce mentre lo Stato, complice, continua a lasciare gli stranieri nell’irregolarità giuridica e nel lavoro sommerso, alimentando vessazioni e abusi da parte dei più forti.
Invece di costruire muri e ghetti che escludono i migranti, basterebbe controllare le aziende che beneficiano della selezione di manodopera svolta per loro dai caporali, smettere di lucrare sui migranti criminalizzati che non hanno il permesso di soggiorno, sanzionare le ditte che evadono i contributi ed ingrassano i caporali. Si potrebbe poi sostenere le filiere corte, etiche e sostenibili, come già è stato proposto – con progetti validi e concreti – da realtà virtuose di lotta al caporalato.
Invece, retoriche e passerelle – che ancora una volta hanno escluso i migranti – hanno finito per emergere a livello mediatico, silenziando le voci in grado di restituire la gravità di questa realtà normalizzata ed accettata.
Ma al buio dei riflettori del palcoscenico – nella periferia dei campi di raccolta siciliani dove gli slogan non arrivano – i diritti continuano a marcire come frutta al sole.
A Cassibile e in Sicilia, ancora una volta, è andato in scena lo spettacolo di uno Stato debole con i forti che si accanisce contro gli sfruttati.”

Sos minori pedofilia (Foto: Moige)
6 maggio 2021
Minori e pedofilia – Ieri era la Giornata Mondiale contro la pedofilia, un fenomeno che nell’ultimo anno è cresciuto, complice l’isolamento in casa dei più piccoli. Vittime sono spesso bambini sempre più fragili per età. E il cyberbullismo non è da meno. Aumentano i casi nei primi 4 mesi del 2021: “77 le denunce che riguardano bambini sotto i 13 anni contro i 34 casi del primo quadrimestre del 2020”, come riportano i dati raccolti dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni. I mesi trascorsi in casa, e la solitudine in cui vengono lasciati i bambini e ragazzi, hanno favorito l’avvicinamento del pedofilo che “si serve proprio della solitudine presente nella vita del bambino per colmarla, per divenire amico, per diventare una figura di riferimento, per farlo cadere in una trappola emotiva”, spiega l’Associazione Meter, guidata da don Fortunato Di Noto, nel suo ultimo Report annuale sulla pedofilia e pedopornografia. Per questa ragione don Fortunato Di Noto nel Report dell’Associazione ricorda che “un bambino amato non sarà mai abusato”.
Il Rapporto completo della Polizia Postale e delle Comunicazioni. Di seguito, un estratto del Rapporto 2020 dell’Associazione Meter:
“Nel 2020, la Polizia Postale e delle Comunicazioni ha potuto rilevare un complessivo incremento pari al 77% dei casi in cui sono stati compiuti reati online in danno di bambini e ragazzi: pedopornografia, adescamento online e cyberbullismo ma sorprendemente anche estorsioni sessuali, revenge porn e truffe sono fra i tipi di aggressioni rivolte ai più piccoli in rete.
Il Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online ha potuto rilevare che sono i reati di sfruttamento sessuale dei minori realizzati tramite socialnetwork, circuiti di file sharing, darknet a conoscere gli incrementi più gravi: per i più giovani socializzare, innamorarsi, litigare, partecipare alle lezioni passa, per un lungo anno, soprattutto attraverso smartphone, tablet e pc. Questo attrae l’attenzione di adulti interessati ad interazioni sessuali in rete con bambini e adolescenti ed aumenta la circolazione di immagini pedopornografiche: nell’anno del covid (2020) i casi trattati sono aumentati del 132% e gli abusanti indagati del 90%.
Nel 2021, il trend in crescita non accenna a dare tregua e travolge bambini sempre più fragili per età: solo nel primo quadrimestre del 2021, si verificano incrementi pari al 70% dei casi trattati per reati connessi con la pedopornografia e l’adescamento online rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Bambini piccolissimi di età compresa tra 0 e 9 anni vengono agganciati sui social, sulle app di gioco e condotti in relazioni tecnomediate di tipo abusante da adulti senza scrupoli; solo nei primi 4 mesi di quest’anno 52 casi a fronte dei 41 dell’intero anno precedente.
La noia, la mancanza di prospettive, l’isolamento sociale, la monotonia trovano in rete il modo di esplodere in casi di diffamazioni e dispetti in rete tra coetanei. Anche il cyberbullismo subisce l’effetto di innesco della pandemia e registra un incremento dei casi di denunce pari al 96%. E si riconferma, anche per i casi di cyberbullismo, il coinvolgimento di bambini sempre più piccoli. Sempre nei primi 4 mesi dell’anno sono già 77 le denunce che riguardano bambini sotto i 13 anni contro i 34 casi del primo quadrimestre del 2020.
Ma i dati inquietanti non finiscono qui. L’influenza esercitata da un approccio sempre più precoce e massiccio alle nuove tecnologie, ai social, alla messaggistica rivela il suo lato oscuro anche in riferimento al rischio che i minori stessi siano autori di condotte gravi e lesive. Negli ultimi 5 anni il numero complessivo dei minori denunciati per aver commesso reati online è cresciuto ad un ritmo vertiginoso, con un incremento pari al 213%. Ragazzi sempre più giovani che sono accusati di reati sempre più infamanti: adolescenti che fanno circolare immagini sessuali di ex-fidanzatine, si scambiano file pornografici e immagini di abusi sessuali di minori, insultano e denigrano compagni e conoscenti. Negli ultimi 5 anni, l’età media dei ragazzi accusati di reati gravi come la pedopornografia si è abbassata di un punto, passando dai 16 ai 15 anni del 2020 ed è in crescita l’interessamento di ragazzi anche non ancora imputabili. Nel 91% dei casi sono maschi che contribuiscono a far circolare materiale pedopornografico e che entrano nel circuito penale minorile con un’etichetta grave ma di difficile inquadramento rispetto a livelli di consapevolezza spesso labili e condizionati dall’impulsività del gesto cibernetico.”
Rapporto Meter 2020
“Meter nel 2020 ha segnalato 692 cartelle compresse RAR. Dunque ai numeri descritti in precedenza si aggiungono le cartelle compresse, che possono contenere enormi quantità di file. È facile immaginare quanto sfuggente e incalcolabile sia il fenomeno e soprattutto quante vittime miete. Ricordiamo che dietro ai numeri ci sono bambini in carne ed ossa non degli attori, le scene riprodotte non sono finzione filmica ma reportage di una realtà dilagante, in crescita esponenziale e con guadagni da capogiro. La criminalità che sta dietro al fenomeno, produce e vende il materiale pedopornografico con un ingente riscontro economico, prova ne è il fatto che esistono categorie di interesse, gallery appositamente create per stuzzicare l’interesse dell’utente perverso. Attraverso vere e proprie “strategie di mercato” viene sondato il reale interesse degli utenti al fine di produrre materiale coerente alla richiesta, per ottenere maggiore profitto. Gli utenti possono liberamente esprimere le loro preferenze votando la loro categoria preferita. Un orrore senza fine.
Esistono diverse tipologie di pedofili che utilizzano la rete:
- closet collector (collezionista armadio): conserva gelosamente la sua collezione pedopornografica e non è mai coinvolto, in prima persona, in abusi sui minori;
- isolated collector (collezionista isolato): colleziona pedopornografia, scegliendo una categoria in particolare, ed è coinvolto direttamente nell’abuso sui minori;
- cottage collector: condivide la sua collezione e le sue attività sessuali con altri, ma non ne trae profitto;
- commercial collector (collezionista commerciale): è coinvolto personalmente nello sfruttamento sessuale dei minori e produce, copia, vende materiale pedopornografico.
- pedo-crime (organizzato): struttura complessa e gerarchica, che con il consenso forzato dei genitori, aggancia le piccole vittime per metterle a disposizione per scopi meramente di violenza sessuale, al fine di trarne business eco-nomico, con incontri reali o virtuali.
La rete non è esclusivamente uno strumento di diffusione di foto e di video che i pedofili e i pedopornografi utilizzano per arricchirsi, ma serve anche a “difendere” la pedofilia e a tentare un’opera di normalizzazione. Una vera e propria lobby strutturata e ben organizzata (raccolta fondi e giornata internazionale pro-pedofilia) che fornisce consigli su come adescare i bambini e indica siti online dove è possibile trovare foto e video con contenuti pedo-pornografici. Innumerevoli sono i gruppi, “le stanze”, dove si raccontano le storie di incontri sessuali con minori e dove si somministrano test per “misurare” l’attrazione sessuale verso i bambini. Per contrastare l’ideologia pedofila la Convenzione di Lanzarote del 25 ottobre 2007, ratificata dall’Italia nel 2012 con la legge n.172, ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 414 bis del Codice Penale.
I bambini vittima di pedofilia hanno una caratteristica che li accomuna: LA SOLITUDINE. Il pedofilo si serve proprio della solitudine presente nella sua vita per colmarla, per divenire amico, per diventare una figura di riferimento, per farlo cadere in una trappola emotiva. Viene definita trappola emotiva perché il bambino, in teoria, se volesse potrebbe chiedere aiuto, potrebbe rivolgersi ai genitori, agli insegnanti, ai catechisti, a chiunque gli stia vicino; ma in realtà i suoi sensi di colpa (instillati dal pedofilo), lo portano a non raccontare nulla, a mantenere il segreto, a continuare a subire. il bambino, solo se spinto dalla speranza di essere compreso e aiutato, riuscirà a raccontare e a ritornare libero.”

Globe Theatre Occupato (Foto: Rete lavorat* dello spettacolo e della cultura)
19 aprile 2021
#GlobeTheatreOccupato e riapertura teatri – Dopo cinque giorni di dibattiti, tavoli tematici e occupazione, ieri la Rete dei lavorat* dello spettacolo e della cultura ha riconsegnato lo spazio al Comune di Roma. In attesa del 22 aprile, in cui è previsto il tavolo interministeriale con il ministero della Cultura e il ministero del Lavoro, prosegue a distanza il dibattito che ha coinvolto lavoratori e individualità che sono intervenuti in questo spazio di autorganizzazione. L’autorganizzazione ha portato all’attenzione delle istituzioni una categoria che fino ad un anno fa era rimasta completamente invisibile, “attivando nuove forme di relazione con le istituzioni e lasciando così emergere l’inadeguatezza delle vecchie forme sindacali in un settore fortemente frammentato e precarizzato”, spiega in un comunicato conclusivo la Rete dei lavorat* dello spettacolo e della cultura. L’attesa per il tavolo interministeriale punta all’ottenimento di condizioni di lavoro sicure per tutti, senza fermarsi all’ “annuncio della nuova falsa ripartenza del 26 aprile. (…) La salute per noi non è un diritto negoziabile.” “È questo il tempo in cui cospirare per disfare e rifare il mondo”, conclude la rete di lavoratrici e lavoratori.
Il comunicato conclusivo della Rete dei lavorat* dello spettacolo e della cultura:
“Ieri domenica 18 aprile, al termine dell’ultima agorà cittadina, la Rete dei Lavorator* dello spettacolo e della cultura che per cinque giorni ha occupato il Globe Theatre di Roma, ha lasciato lo spazio riconsegnando in ottime condizioni all’amministrazione comunale e al Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
Una temporalità che ha sancito l’efficacia dell’azione e delle attività che vi si sono svolte all’interno, proponendo un modello di lotta radicale e incisiva, oltre che inclusiva, accurata e sostenibile.
“Usciamo, stavolta, perché tutto questo possa entrare ovunque: nei luoghi di lavoro, negli spazi della città, nelle vite delle oltre 3000 persone che in questi giorni hanno attraversato il Globe Theatre Occupato, e anche quelle di tutti* gli/le altri/e. Questo è solo il primo dei tanti prossimi passi che dobbiamo continuare a fare insieme.”
Non è che l’inizio: il 22 aprile porteremo le nostre proposte al tavolo interministeriale con il Ministro della Cultura e il Ministro del Lavoro, tavolo che immaginiamo come tappa di un percorso aperto e inclusivo che vada ben oltre la data dell’ennesima “falsa ripartenza” del 26 aprile.
Senza garanzie del prolungamento dei sussidi, tutele sociali e protocolli sicuri per tornare a lavorare saranno poch*, pochissim*, sia i singoli lavorator* che spazi teatrali e di produzione.
Questa occupazione ha dimostrato quanto, attraverso l’autorganizzazione e la pratica collettiva, sia possibile dar vita a uno spazio di socialità sicuro e inclusivo.
Il Globe Theatre Occupato in questi giorni è stato un luogo attraversato da più di 3000 corpi, in cui declinare il concetto di sicurezza non solo in termini esclusivamente sanitari grazie ai presìdi di medici solidali ma anche e soprattutto relazionali, dando vita ad una dimensione in cui fosse davvero possibile prendere parola e mettersi in ascolto.
Permeabilità e cura sono alcune delle parole che descrivono la qualità di questa esperienza, che si è configurata come un laboratorio di complessità, in cui hanno trovato casa le specificità e le diversità che caratterizzano la Rete, senza correre il rischio dell’omologazione e né dell’isolamento identitario.
Nella volontà di tenere insieme il pensiero e la pratica, il singolo e il collettivo, queste giornate hanno offerto alla città la possibilità di ritrovarsi in un’Agorà pubblica, momento essenziale della partecipazione materiale ai processi politici e alla costruzione di una visione comune. Il lavoro dei tavoli tematici ha poi permesso di approfondire e intrecciare tutti gli aspetti che riguardano lo spettro complesso delle nostre vite, elaborando proposte e modelli concreti di ripensamento del sistema cultura che possano essere replicati anche altrove.
Reddito universale, formazione, precarietà, contratti nazionali, redistribuzione dei fondi pubblici, sessismo, violenza, razzismo: questi i temi attorno ai quali abbiamo ragionato, oltre qualsiasi prospettiva di settore, e che crediamo debbano al più presto diventare le priorità dell’agire politico.
Oggi usciamo da questo luogo con diversi risultati, tanto sul piano del consolidamento del nostro processo politico, quanto su quello del riconoscimento istituzionale. Già nel primo giorno di occupazione, infatti, il Ministro Franceschini ha raggiunto il Globe Theatre Occupato, indicando il 22 aprile come data di quel tavolo interministeriale che la Rete richiede ormai con forza da un anno. Un fatto che dimostra come la spinta dell’autorganizzazione sia capace di portare a risultati concreti, attivando nuove forme di relazione con le istituzioni e lasciando così emergere l’inadeguatezza delle vecchie forme sindacali in un settore fortemente frammentato e precarizzato.
Cinque giorni di occupazione; cinque giorni di assemblee pubbliche, dibattiti, tavoli tematici, talk online. Cinque giorni in cui la Rete di lavorat* dello spettacolo e della cultura si è riappropriata di uno spazio tanto materiale quanto simbolico per generare nuove forme e pratiche collettive del fare politica. Un movimento che ha consolidato una dimensione nazionale e diffusa, dalle occupazioni di Milano e Napoli ai nodi territoriali arrivati da tutta Italia, e che si apre alle lotte europee di lavorat* dell’arte e della cultura per un’espansione del diritto al reddito di continuità per tutt* e per un’equa redistribuzione delle risorse sia nazionali che europee che arriveranno con il Recovery Plan.
Ieri 18 aprile lasciavamo il Globe Theatre di Roma, dopo averlo abitato con l’obiettivo preciso di continuare a disfare e rifare il mondo, rimettendo in circolo un’aria finalmente diversa: fresca, stratificata, in movimento.
Dopo un anno di chiusure, di limitazioni, di normative contraddittorie e sostegni insufficienti oltre che escludenti, non ci accontentiamo però di tornare semplicemente a respirare. Noi pretendiamo di poter determinare e trasformare la qualità di quella stessa aria che respiriamo, tossica da ben prima della pandemia.
E sappiamo che per farlo è necessario dar vita ad un processo di combustione che cominci a bruciare ciò che opprime.
Se ieri eravamo sol* a respirare, da oggi noi cospiriamo: un respiro collettivo che nutre e dà forma a un fare collettivo, comune.
Le diseguaglianze che segnano il settore dell’arte, dello spettacolo e della cultura sono diventate ancora più critiche nella pandemia, e servono trasformazioni profonde del sistema, non misure d’emergenza – dalla riscrittura dei contratti nazionali in scadenza, a forme di reddito inclusivo e senza condizioni, alla revisione dei criteri di distribuzione delle risorse pubbliche.
Questa occupazione è stata perciò un atto necessario, costruito a partire da più di un anno di lotte in cui le/gli lavorat* della cultura e dello spettacolo hanno preso parola su ciò che non può più essere rimandato: il riconoscimento di diritti sociali, tutele e spazi di agibilità indispensabili per le nostre vite.
Un’azione determinata, radicale, praticata con consapevolezza e cura, che ci ha permesso di creare uno spazio in cui mettere in moto le intelligenze collettive, focalizzare le esigenze di un settore in continua stratificazione e leggerle alla luce di un contesto più ampio, generale e intersezionale. Il Globe Theatre Occupato è divenuto il luogo di un innesco, una combustione in movimento, fatta di reazioni, propagazioni, interazioni, radiazioni luminose.
Siamo ben consapevoli che questa data strappata al Ministro dalla Rete non è che l’inizio di un dialogo reale sui temi che ci riguardano, di cui andranno verificati di volta in volta i contenuti. L’annuncio della nuova falsa ripartenza del 26 aprile e il relativo protocollo di sicurezza ci dimostrano nuovamente l’incapacità di comprendere l’effettiva situazione in cui vive il sistema dello spettacolo, assomigliando più a un goffo tentativo di aggirare la presa in carico delle proprie responsabilità.
Dal Globe Theatre Occupato abbiamo ribadito con forza quanto la ripartenza non sia la soluzione, se non sarà possibile tornare a lavoro per tutt* e in sicurezza; quanto ragionare in termini di rivendicazioni categoriali sia del tutto insufficiente e inefficace; quanto oggi sia indispensabile tornare a mettere in campo i nostri corpi, la nostra forza e le nostre competenze per trasformare ciò che ci riguarda. La salute per noi non è un diritto negoziabile.
È questo il tempo in cui rimettere la felicità e i desideri al centro del nostro agire politico, è questo il tempo di rivendicare la gioia che emerge dallo stare insieme come pratica fondante del nostro cospirare per disfare e rifare il mondo.”

Morbo di Alzheimer (Foto: ItaliaSalute)
16 aprile 2021
Covid-19 e oltre – La situazione dei malati di malattie neurodegenerative, tra cui l’Alzheimer, in questi mesi di pandemia è spesso complicata dal silenzio e dai mancati interventi a tutela dei malati e dei familiari caregivers. L’appello e la petizione lanciati sulla piattaforma Change da Carmela Sorvillo per chiedere più attenzione a quanti assistono un genitore o un parente malato di Alzheimer. “I centri diurni sono chiusi da oltre un anno – si legge nella lettera/petizione – ed i permessi parentali non sono sufficienti per un figlio che debba seguire un genitore malato di Alzheimer, laddove non sono addirittura osteggiati.”
Il link per firmare la petizione http://chng.it/csckBzF2
Il testo della petizione/lettera:
“Caro presidente Mattarella, caro presidente Draghi, caro Ministro del lavoro e delle politiche produttive, caro Ministro della sanità e carissimo Papa Francesco, scrivo a nome di tutti coloro che assistono familiari con disabilità che non sono solo o esclusivamente genitori, ma anche figli o fratelli di ANZIANI MALATI di ALZHEIMER o di altre malattie neurodegenerative.
In questo periodo, pur comprendendo l’importanza della figura genitoriale e la necessità di supporto per le famiglie con figli giovani, ancora da crescere, realtà quotidiana che per anni ho vissuto e capisco a pieno, sento che manca una speciale attenzione a tutti coloro che assistono gli ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI che, per alcuni versi, sono gestibili con maggiori difficoltà connesse peraltro a situazioni deficitarie e di malattia.
Quotidianamente i media ci parlano delle iniziative e dei supporti del governo in termini di bonus babysitter, congedi e quant’altro ma non viene mai trattato il tema dei supporti alle famiglie con anziani disabili.
Sono figli, fratelli, conviventi o quant’altro e sono ancora inseriti in un contesto produttivo in cui faticano per rimanere a galla!
Sono quelli della porta accanto che rimangono svegli la notte insieme alla mamma e che di giorno attraversano la città per guadagnarsi da vivere… Tornando infine la sera stanchi, con figli e mariti o mogli che reclamano un po’ di attenzione.
Non ho mai assistito ad interventi di politici o di figure istituzionali che abbiano messo a fuoco questa problematica, a tutt’oggi silente.
I CENTRI DIURNI SONO CHIUSI ORMAI DA UN ANNO ed i permessi parentali non sono sufficienti per un figlio che debba seguire un genitore malato di ALZHEIMER, laddove non sono addirittura osteggiati.
Purtroppo si tratta di una realtà che oltre ad imporci una continua presenza, sia attraverso strutture sia grazie al nostro intervento, comporta altresì risvolti altamente stressanti e destrutturanti che richiedono sempre più un aiuto:
- Fate riaprire i CENTRI DIURNI
- Garantite la vaccinazione per tutti coloro che supportano un malato di Alzheimer
- Ampliate il numero di PERMESSI fruibili per i detentori della LEGGE 104
- Potenziate il network esistente a supporto delle famiglie e L’ASSISTENZA DOMICILIARE
Mi auguro leggiate questa mia e che vogliate considerare concretamente il problema che molti di noi vivono quotidianamente in termini di tutele e servizi.
NON LASCIATECI SOLI!
Grazie”

Occupazione Globe Theatre, Roma (Foto: Rete lavoratori spettacolo e cultura)
15 aprile 2021
Teatri e chiusure – Da ieri la rete composta da collettivi di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo e della cultura occupa il Globe Theatre a Roma. Le richieste della categoria, fatte già un anno fa, mancano ancora di un tavolo interministeriale che discuta e porti avanti le proposte dei movimenti di lavoratori. Ieri, in modo imprevisto, il Ministro della cultura Dario Franceschini si è recato al Globe Theatre durante l’assemblea e ha garantito l’impegno in favore della categoria. “E’ una grande operazione che dobbiamo fare con il ministero del Lavoro, ascoltando le associazioni di categoria”, ha dichiarato. Prosegue intanto la manifestazione di artisti e singole individualità cittadine per chiedere tutele lanciata dalla frase “A noi gli occhi, please”. Dai collettivi di lavoratrici e lavoratori fanno sapere che “Non è possibile rimandare ancora la convocazione di un tavolo interministeriale con Mic, Mef e Mips: c’è bisogno di parlare del nostro lavoro, delle nostre vite e delle nostre economie necessarie per riformare il settore. Un tavolo in cui è imprescindibile la rappresentanza diretta dei movimenti delle lavoratrice e dei lavoratori, perché non siamo più disposti/e a delegare.”
Il comunicato della Rete delle/gli lavoratrici/tori dello spettacolo:
“Questa assemblea cittadina, che da più di un anno si organizza dal basso, si mobilita, si interroga e si confronta, oggi sente la necessità di un tempo e di uno spazio per allargare la discussione e includere le altre forme di precarietà.
Noi siamo qui per chiedere la riapertura dei teatri: troppi spazi piccoli e medi non riuscirebbero ad riaprire in queste condizioni, tropp* lavorator* continuerebbero a rimanere a casa senza reddito. La falsa ripartenza della scorsa estate ce lo ha dimostrato.
Crediamo sia arrivato il momento però che uno di questi grandi teatri ri-accolga la collettività che anima e sostiene l’enorme ecosistema dei luoghi di cultura.
Abbiamo dunque deciso di abitare questo luogo la cui struttura architettonica rimanda ad una tradizione di teatro popolare e inclusivo, uno spazio aperto che ci permetta di incontrarci nel rispetto e nella cura di tutti i corpi, anche quelli più fragili e più esposti.
Abbiamo bisogno di una riforma strutturale del settore che parta dalla necessità dei/delle lavoratori/trici: dobbiamo rimettere al centro la nostra sicurezza, fisica e contrattuale.
È indispensabile dei CCNL per superare la disparità contrattuali e la confusione burocratica che governa le nostre relazioni lavorative. È necessario un riconoscimento giuridico delle nostre categorie e delle nostre attività differenziate. È urgente inserire alcune categorie nella lista dei lavori usuranti e rivedere completamente il sistema previdenziale .
Chiediamo che vengano assunt* e internalizzat* tutti e tutte i/le lavoratori/trici a tempo determinato dei grandi Enti, Fondazioni, Teatri e Musei. Non è più tollerabile che ci siano nello stesso luogo di lavoro disparità contrattuali, remunerative e tutelari, spesso causate anche dalla presenza di differenti parti datoriali: ecco perché è fondamentale vietare o ridurre al minimo la pratica degli appalti e subappalti.
In quanto lavoratori/trici dell’arte della cultura abbiamo tutti i giorni a che fare con l’invisibile e l’immateriale componenti essenziali per costruire collettività, fare cittadinanza e garantire zone di agibilità per tutt*.
La nostra sopravvivenza non può essere determinata dal produrre, così come la creazione di valore immateriale non può sottostare alla logica del profitto. Questi meccanismi quantitativi, basati su parametri astratti e standardizzati, negano alla cultura la sua funzione essenziale di costruzione e cura della collettività, e producono sfruttamento privilegio , invisibilità.
Rivendichiamo il diritto a una formazione retribuita e permanente, a un tempo di ricerca e non-produzione. Servono nuove forme di tutela per i nuovi diritti sociali che stanno prendendo forma. Occorrono strumenti contro le discriminazioni, gli abusi e le disuguaglianze tra soggetti, per salvaguardare l’accesso all’arte e alla cultura per tutti/e.
Vogliamo che venga difesa l’informalità degli spazi di produzione artistica e culturale attualmente esclusi dai circuiti di finanziamento, e ribadiamo la necessità di una revisione dei criteri di accesso ai fondi pubblici.
Le manovre delle istituzioni, in questo anno di crisi, ci sono apparse del tutto inefficaci. Dai bonus elemosina con criteri di accesso inappropriati, ai proclami sulle riaperture, risulta evidente come la politica – anche chi ha degli incarichi specifici – non conosca le dinamiche, i tempi e le normative del mondo dello spettacolo, della cultura e dell’audiovisivo. Non a caso un’enorme fetta di fondi pubblici è stata utilizzata per l’extra fus (a esclusivo vantaggio delle parti datoriali) e per la piattaforma digitale ITsART (ad oggi inutilizzata): misure fortemente volute dal Ministro Franceschini.
Non è possibile rimandare ancora la convocazione di un tavolo interministeriale con Mic, Mef e Mips: c’è bisogno di parlare del nostro lavoro, delle nostre vite e delle nostre economie necessarie per riformare il settore. Un tavolo in cui è imprescindibile la rappresentanza diretta dei movimenti delle lavoratrice e dei lavoratori, perché non siamo più disposti/e a delegare.
Da questo teatro, che vive di uno strano binomio tra pubblico e privato, oggi prendiamo parola, contaminiamo le lotte, e invitiamo tutta la città a farlo con noi per costruire un discorso collettivo che dia spazio a tutti/e, per immaginare insieme modelli nuovi, per “rifare il mondo”.”

Cartelli ristoratori (Lazio, dicembre 2021)
7 aprile 2021
Chiusure e attività commerciali – E’ in programma per oggi la mobilitazione nazionale delle imprese commerciali, organizzata da Confesercenti. Un protesta collettiva “a distanza di sicurezza” che si svolge in tutta Italia. Le chiusure che si protraggono da ormai un anno hanno drasticamente ridotto il fatturato delle imprese, con il rischio di chiusura delle attività. Lanciata in questa occasione una petizione per chiedere sostegni fiscali e un piano per ripartire in sicurezza. La Presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise, si rivolge in una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendo “Un decreto imprese che preveda contributi a fondo perduto adeguati alle perdite subite, estendere l’intervento del Fondo di Garanzia a favore delle PMI e prorogare le moratorie per prevenire infiltrazioni della criminalità organizzata nelle imprese in difficoltà”. La richiesta è “Portiamo le imprese fuori dalla pandemia”.
Le proposte di Confesercenti per le imprese:
“Previsione di un “Contributo una tantum automatico” calcolato percentualmente
sulla base del contributo già previsto dal Decreto Sostegni al fine di garantire un
immediato sostegno in termini di liquidità alle imprese e professionisti in profonda crisi
finanziaria (parametrazione almeno prevista su 3 mensilità di media di fatturato
rispetto all’anno).
– Un sostegno reale e trasversale per la ripresa e la continuità prospettica aziendale
di tutte le imprese italiane danneggiate dalla crisi con la previsione di un ulteriore
Contributo a fondo perduto che abbia le seguenti regole d’accesso: scostamento del
fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 di almeno il 30% rispetto al fatturato ed i
corrispettivi dell’anno 2019; l’ammontare del contributo dovuto si calcola sulla base
di una quota dei costi effettivamente sostenuti dall’imprenditore nell’anno 2020 e
strettamente inerenti all’attività d’impresa. Il calcolo per il 2021 è calcolata per una
quota pari almeno al 25% dei costi inerenti ed effettivamente sostenuti
nell’esercizio 2020 da tutti i soggetti economici che rispettino il requisito d’accesso.
Il contributo è erogato in quote mensili di pari importo fino al termine dello stato
d’emergenza.
– Sospendere la richiesta del possesso del DURC come requisito d’accesso per tutte
le agevolazioni e contributi nazionali e regionali per gli anni 2020 e 2021.
PROPOSTE SULLA FISCALITA’
– Reintroduzione del “Tax credit locazioni” secondo le medesime regole previste per
tale disciplina nei periodi di applicazione. Tale previsione dovrebbe essere concretizzata
almeno dal mese di gennaio 2021 al mese di aprile 2021 stante il fatto che nel primo
quadrimestre dell’anno la maggior parte delle imprese commerciali è stato sottoposta a
misure restrittive
– Fiscalità di vantaggio per imprese e lavoratori autonomi di minori dimensioni:
previsione di un “Tax Credit per i contribuenti di minori dimensioni” che abbiano
un volume d’affari non superiore a 2 Mln di Euro. Il beneficio fiscale consiste nel
riconoscimento di un credito d’imposta, cedibile anche a terzi, pari al 60% dei costi
sostenuti nell’anno 2020 per l’esercizio dell’attività d’impresa o di lavoro autonomo
(costi inerenti all’attività d’impresa e professionale effettivamente sostenuti ed
adeguatamente certificati). Il credito è riconosciuto alla generalità dei soggetti
individuati indipendentemente dalle condizioni di “incapienza fiscale” o “perdita
fiscale”.
– Ampliamento della disciplina “Super bonus 110%” agli immobili strumentali o
comunque utilizzati nell’esercizio dell’attività d’impresa al fine di rendere ancor più
appetibile uno strumento giudicato positivo. Tale previsione avrebbe effetti positivi e
propulsivi su vari settori economici coinvolti.
– Reale semplificazione nella “circolazione dei crediti fiscali” con relativa
razionalizzazione delle procedure attualmente previste e della mole documentale
richiesta. Tale previsione porterebbe ad un reale vantaggio economico circolare con
conseguente costituzione di una vera e propria “moneta fiscale”.
PROPOSTE SUL CREDITO ALLE IMPRESE
– Temporary Framework: allungamento delle durate dei finanziamenti garantiti dal
Fondo di Garanzia per le PMI (di cui alla L. n. 662/96) fino a 15 anni. Risulta
necessario ottimizzare l’operatività del Fondo di Garanzia introducendo i seguenti
elementi: allungamento della durata massima dei finanziamenti fino a 15 anni;
percentuale di garanzia pari al 90% fino a 10 anni e dell’80% oltre 10 anni; importi
massimi che dovranno rispettare i limiti attualmente in vigore.
– Esclusione “temporanea” dalle misure di “concessione” delle nuove operazioni
oggetto di rinegoziazione / consolidamento garantite dal Fondo di Garanzia per le
imprese che hanno avuto un calo del fatturato nell’esercizio 2020 rispetto all’esercizio
2019 prevedendo su tali operazioni un incremento del 25% di liquidità aggiuntiva del
debito da rinegoziare/consolidare.
– Estendere ed ampliare la portata dell’intervento del Fondo di Garanzia almeno
fino al 31.12.2021. Tale previsione, per le imprese aventi un organico con un massimo
di 249 dipendenti e sede in Italia, è da ritenersi quale intervento “straordinario” del
Fondo Centrale di Garanzia per le PMI con garanzia concessa gratuitamente e copertura
all’80% su qualsiasi operazione (non ricompresa nel Temporary Framework). Da
prevedere, altresì, l’accesso garantito senza utilizzo del modello di valutazione del
Fondo e importo massimo totale per azienda di 5 milioni di euro (superato tale limite le
PMI potranno utilizzare plafond di garanzie SACE).
– Prorogare le moratorie ex art. 56 fino al 31/12/2021
– Modificare l’art. 111 del TUB sul tema del “Microcredito” prevendo l’aumento delle
soglie oggi previste, l’eliminazione delle limitazioni attuali tramite l’ampliamento della
platea dei soggetti beneficiari e dei coefficienti economici e patrimoniali richiesti e,
infine, l’allungamento delle durate attualmente disciplinate
PROPOSTE SULLE RIAPERTURE
– Per il comparto della Ristorazione in zona gialla prevedere: somministrazione
consentita fino alle 22 (dalle 18 servizio esclusivamente al tavolo), asporto consentito
fino alle 22, delivery libero.
– Per il comparto dei Bar in zona gialla prevedere: somministrazione consentita fino alle
20 (dalle 18 servizio esclusivamente al tavolo), asporto consentito fino alle 22, delivery
libero
– Per il comparto della Ristorazione e dei Bar in zona arancione prevedere:
somministrazione consentita fino alle 18, asporto consentito fino alle 22, delivery libero
– Per le attività presenti nei Mercati, nei Centri e gallerie commerciali ed altre
strutture assimilabili in zona gialla e arancione prevedere: nessuna preclusione
nelle giornate festive e prefestive nel rispetto dei protocolli e delle linee guida regionali.
– Per il comparto del Commercio ambulante in zona rossa la previsione di sospendere
i mercati ad eccezione delle attività dirette alla vendita di generi alimentari, prodotti
agricoli e florovivaistici, nonché dei generi di prima necessità individuati nell’allegato
23.
– Per il comparto dei Servizi di barbiere e parrucchiere prevedere l’apertura nel
rispetto dei protocolli e delle linee guida regionali.”

Presidio Baobab, Roma (Foto: Baobab Experience)
5 aprile 2021
Minori stranieri non accompagnati – Il racconto dei volontari e attivisti del presidio Baobab Experience, a Roma, del viaggio di Abdel un ragazzo di 15 anni arrivato a Piazzale Spadolini dopo mesi di fame e violenze, subite lungo il tragitto che lo portava in Italia. Storie di persone migranti in fuga verso un nuovo, legittimo, futuro. Tra loro molti sono minori, e soli. Persone, che in Italia spesso non ricevono tutela. “Quando si rivolge ai nostri volontari, Abdel è fuggito dal CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Bari, dove è stato collocato nonostante la sua minore età. Non solo non avrebbe mai dovuto trovarsi lì, perché i minori non accompagnati devono, per legge, essere collocati in strutture dedicate, ma durante i tre mesi di accoglienza nel centro non è mai riuscito a ottenere una visita medica”, spiegano nella testimonianza i volontari di Baobab.
Il racconto completo:
“Abdel è giunto al presidio Baobab pochi giorni fa. Ha 15 anni. La pelle devastata dalla scabbia, bruciori in tutto il corpo e dolori tali che siamo costretti a chiamare un’ambulanza.
Strappato ai banchi di scuola dalla violenza endemica del Darfur Abdel ha intrapreso la truck route che da Tina – cittadina al confine tra Ciad e Sudan – raggiunge la Libia.
Tina è uno dei tanti luoghi di confine, un hub del traffico di migranti, abbandonati da qualunque dio e popolati di smugglers, violenza e sfruttamento.
Abdel sale su un land cruiser, ammassato assieme ad altre trenta persone, alla volta di Bengasi per scoprire, a destinazione, che ai trafficanti non dovrà pagare soltanto il passaggio ma anche il riscatto per la sua libertà.
La Libia continua a essere la grande piazza del mercato di esseri umani, delle aste di schiavi, dei sequestri a fini estorsivi.
A ogni modo, l’Italia continua a definire la Libia un porto sicuro.
Abdel ha bisogno di restare in Libia per il tempo necessario per mettere da parte, lavorando, i soldi per pagare l’imbarco verso l’Italia, l’ultimo tratto del viaggio.
Ci riesce per quasi un anno, fino a quando viene intercettato da alcuni miliziani e rinchiuso in un centro di detenzione controllato da gruppi armati locali. E qui la storia è sempre la stessa, quella che siamo stati costretti ad ascoltare, impotenti, migliaia di volte: Abdel è stato, per mesi, picchiato, ridotto alla fame e costretto ai lavori forzati per riscattare, ancora una volta, la sua libertà. E mentre noi continuiamo ad ascoltare testimonianze l’Italia continua a definire la Libia un porto sicuro.
Ma anche l’Italia non sembra propriamente all’altezza di soccorrere e tutelare un bambino in fuga da anni di violenze.
Quando si rivolge ai nostri volontari, Abdel è fuggito dal CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Bari, dove è stato collocato nonostante la sua minore età. Non solo non avrebbe mai dovuto trovarsi lì, perché i minori non accompagnati devono, per legge, essere collocati in strutture dedicate, ma durante i tre mesi di accoglienza nel centro – arcinoto per la fatiscenza e le pessime condizioni igieniche – non è mai riuscito a ottenere una visita medica.
Solo in ospedale, attraverso una non facile attività di advocacy, è stata possibile la presa in carico da parte della polizia di Stato e l’accoglienza nel Centro per Minori di Sora.
15 anni e un sorriso contagioso, nonostante tutto, un “tutto” che sarebbe troppo anche per un adulto.
Speriamo che questo mondo provi da oggi in poi ad essere alla sua altezza.”

Vaccino Covid-19
20 febbraio 2021
Vaccino Covid-19 e caregivers – Partita la vaccinazione delle persone più fragili, in base all’età e ai rischi legati al lavoro, restano escluse categorie ad alta fragilità. Tra questi i caregivers che assistono persone con disabilità, che per età o patologia non possono ricevere il vaccino. Una tutela al momento non prevista nel piano di vaccinazione delle prossime settimane, e chiesta dalla FIRST, Federazione Italiana Rete Sostegno e Tutela dei diritti delle persone con disabilità, a tutela soprattutto dei bambini disabili. “Benché infatti il contagio da Covid abbia esiti più lievi nella popolazione infantile, per i bambini con disabilità grave non è cosi: per questo devono essere tutelati, rientrare tra le categorie con più alta fragilità e protetti proprio con la vaccinazione dei conviventi”, spiega la FIRST in un comunicato chiedendo “opportune rivalutazioni del Piano Vaccinale”.
Il comunicato completo:
“La FIRST – Federazione Italiana Rete Sostegno e Tutela dei diritti delle persone con disabilità – chiede opportune rivalutazioni sulla applicazione del Piano Vaccinale e in particolare sulle Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione anti-SARS-CoV-2/ COVID-19 pubblicate l’08/02/2021 che definiscono le categorie prioritarie per l’accesso al vaccino per il Covid.
Purtroppo la disabilità non ha, a nostro parere, avuto la giusta attenzione nella determinazione delle categorie prioritarie e non si è tenuto conto affatto della disabilità infantile. I bambini di età minore dei 16 anni, come previsto in altri paesi europei, avrebbero dovuto essere tutelati dal rischio di infezione assicurando la vaccinazione ai loro caregivers. Benché infatti il contagio da Covid abbia esiti più lievi nella popolazione infantile, per i bambini con disabilità grave non è cosi: per questo devono essere tutelati, rientrare tra le categorie con più alta fragilità e protetti proprio con la vaccinazione dei conviventi.
Pur comprendendo e condividendo le misure rigide imposte dalla carenza di vaccini, il Governo Italiano e il Ministero della Salute non possono esimersi dal garantire direttamente e indirettamente ai propri cittadini più fragili la vaccinazione anti covid. Essi infatti molto più di altri sopporterebbero la malattia, comunicherebbero i propri bisogni, accetterebbero la privazione della propria libertà personale o vivrebbero l’allontanamento dai propri cari. Si sottolinea come eventi traumatici di questo tipo potrebbero compromettere, al di là degli esiti della malattia, ulteriormente il quadro diagnostico dei minori, a causa delle regressioni irreversibili a cui potrebbero andare incontro.
Siamo consapevoli delle difficoltà che può comportare tale rivalutazione ma anche fiduciosi della volontà del Governo Italiano di garantire l’equità di trattamento fra i cittadini, tutelando la salute delle persone con disabilità ed in particolare dei bambini e dei ragazzi più fragili, perché essi non vedano irrimediabilmente aggravata la loro condizione di vita già compromessa. Per tale motivo chiediamo che venga data priorità di vaccinazione ai caregivers delle persone con disabilità che per età o per patologia non possono ricevere il vaccino.”

Petizione #NoEsonero (Foto: Petizione change.org)
10 febbraio 2021
Disabilità e scuola – Esonero da alcune discipline di studio e allontanamento dalla classe per gli alunni con disabilità. Questo prevede il nuovo PEI, Piano Educativo Individualizzato, in fase di avvio con un Decreto Interministeriale del dicembre 2020. Le associazioni a tutela delle persone disabili hanno avviato una petizione per dire no all’esonero. E chiedono con urgenza la convocazione di un tavolo di confronto con le istituzioni. “Si tratta di segnali che lasciano trasparire una nuova impostazione culturale e che segnano un’inversione di rotta nel processo inclusivo, da sempre fiore all’occhiello del nostro Paese” spiegano le associazioni firmatarie nella petizione online. Intanto sabato 13 febbraio la mobilitazione diventa flash mob social, con un’onda arancione di immagini e richieste unite dall’hashtag #NoEsonero.
Il testo della petizione:
“Il Decreto Interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182, emanato dal Ministero dell’Istruzione e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, dà il via all’adozione del nuovo modello di PEI (Piano Educativo Individualizzato) e stabilisce le modalità di assegnazione delle misure di sostegno.
Il CoorDown (Coordinamento Nazionale delle Associazioni delle persone con sindrome di Down), il CIIS (Coordinamento Italiano Insegnanti di Sostegno), Uniti per l’autismo, il Gruppo Facebook “Non c’è PEI senza condivisione” e le Associazioni che sottoscrivono questa petizione ritengono che il provvedimento emanato presenti troppi punti critici, che mettono a repentaglio i progressi raggiunti in oltre quarant’anni di storia di inclusione scolastica e che rischiano di vanificare gli sforzi volti a garantire il diritto allo studio degli alunni con disabilità. Si tratta di segnali che lasciano trasparire una nuova impostazione culturale e che segnano un’inversione di rotta nel processo inclusivo, da sempre fiore all’occhiello del nostro Paese.
I principali punti critici che riteniamo lesivi del diritto all’istruzione degli alunni con disabilità sono quelli che legittimano le cattive prassi, da sempre stigmatizzate, e più precisamente:
- l’esonero da alcune discipline di studio, con allontanamento dell’alunno con disabilità dal gruppo classe e dai suoi docenti,
- la conseguente riapertura di “spazi laboratoriali” o di “aule riservate” piuttosto che attività individuali che ricreano, di fatto, le “classi differenziali”,
- la riduzione dell’orario di frequenza.
A ciò si aggiungano:
- la proposta, mediante tabelle prestabilite e standardizzate, delle ore di sostegno,
- la elaborazione e l’approvazione del PEI da parte del GLO, che è validamente costituito anche nel caso in cui le componenti non dovessero esprimere la loro rappresentanza,
- il ruolo marginale della famiglia. Il nuovo GLO, Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione, è infatti costituito dal Team docente o dal Consiglio di classe presieduto dal Dirigente Scolastico, che ne definisce la configurazione (art. 3 c. 1 del D.I. 182/2020); in questo nuovo gruppo di lavoro la famiglia è uno dei soggetti chiamati a partecipare “ai lavori del GLO”: appare evidente come il suo ruolo nel processo decisionale a favore del figlio risulti marginale.
I firmatari chiedono con la massima urgenza la convocazione di un tavolo di confronto con le Istituzioni competenti per poter rappresentare le criticità evidenziate e le necessarie proposte di modifica.”
In programma sabato 13 febbraio alle 12 un flash mob social, organizzato dal gruppo #NoEsonero costituito in rappresentanza delle associazioni firmatarie della petizione. Nell’immagine la modalità per aderire.
Link alla petizione: http://chng.it/rJJghzY5
Link al flash mob: https://www.facebook.com/events/163729142009106/

Flash mob #NoEsonero

Lipa, Bosnia. Gennaio 2021 (Foto: Michele Lapini e Valerio Muscella)
5 febbraio 2021
Bosnia e Minori Stranieri non Accompagnati – Tra le persone migranti sospese nel limbo dei campi della Bosnia-Erzegovina ci sono anche minori non accompagnati. Si tratta di almeno 50 minori migranti, secondo le stime dell’organizzazione internazionale Save the Children, adolescenti che vivono “in ripari di fortuna” o “all’aperto, esposti alle intemperie e al rischio di abusi e violenze”. Dall’inizio dell’estate alla fine dello scorso anno, 250 bambini sono stati evacuati dal campo di Vucjak , ex sito di smaltimento rifiuti, circondato da campi minati in una foresta, e trasformato in un campo profughi nel 2019. Un esempio di luogo di rifugio inadeguato al riparo delle persone migranti, e anche dei minori. “Ho dormito per due mesi in un edificio occupato, mangiando cibo che ho ricevuto dalle organizzazioni umanitarie o da qualche cittadino del posto. Fa troppo freddo per stare in edifici come questo. Accendiamo fuochi per scaldarci ma poi non si respira a causa del fumo”, ha detto a Save the Children un ragazzo di 17 anni nella città di Bihać.
Il comunicato di Save te Children:
“Almeno 50 minori migranti non accompagnati stanno dormendo all’addiaccio o in ripari di fortuna in Bosnia-Erzegovina senza alcun supporto e protezione, con gravi rischi per la loro salute e la loro sicurezza, denuncia Save the Children, l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro. Questi minori stanno fuori al freddo gelido o in edifici già occupati abusivamente o abbandonati, in campi improvvisati o in residenze private senza la supervisione di un adulto.
I minori che stanno affrontando da soli il tentativo di raggiungere l’Europa sono parte dei 2.500 migranti che secondo le stime sono sparse sul territorio del paese senza un alloggio adeguato. Con le temperature scese sotto lo zero durante la notte, e le infezioni da COVID-19 che continuano a salire, questi adolescenti trascorrono i loro giorni e le loro notti all’aperto, esposti alle intemperie e al rischio di abusi e violenze. Hanno accesso limitato a cibo, acqua, servizi igienici e nessun accesso a servizi di protezione, salute, asilo come rifugiati o istruzione. Come sottolinea Save the Children, i minori che non sono nei centri di accoglienza ufficiali hanno urgente bisogno di un luogo sicuro e caldo dove stare e di essere protetti.
“Ho dormito per due mesi in un edificio occupato, mangiando cibo che ho ricevuto dalle organizzazioni umanitarie o da qualche cittadino del posto. Fa troppo freddo per stare in edifici come questo. Accendiamo fuochi per scaldarci ma poi non si respira a causa del fumo”, ha detto a Save the Children un ragazzo di 17 anni nella città di Bihać.
Secondo i dati ufficiali, ci sono circa 500 minori non accompagnati in vari centri di accoglienza nel paese, insieme a circa 450 bambini con le loro famiglie. Dopo la chiusura di due grandi campi l’anno scorso, il numero di posti disponibili per rifugiati e migranti in Bosnia-Erzegovina è drasticamente diminuito.
Rifugiati e migranti, compresi i bambini, possono essere registrati solo nel momento in cui accedono a strutture di accoglienza ufficiali. Senza registrazione, i minori non accompagnati non possono avere accesso all’assegnazione di un tutore legale e rimangono invisibili al sistema di protezione, in condizioni di grave vulnerabilità.
Molti minori non accompagnati sono riluttanti a lasciare la regione del cantone di Una-Sana per entrare in una struttura di accoglienza, poiché vogliono restare vicino al confine con l’UE e non vogliono staccarsi dai gruppi con cui viaggiano. La mancanza di un sistema adeguato di inserimento in strutture di accoglienza adatte per i minori li costringe a badare a se stessi all’addiaccio.
“Dormiamo da un mese in città in edifici occupati. Abbiamo cercato di attraversare il confine e ora non ci è permesso di tornare ai campi. Ogni volta che torniamo al campo, dicono che non c’è posto per noi. La gente qui ha freddo, mentre lì al campo si sta meglio”, ha detto un ragazzo afghano di 15 anni, che vive in una fabbrica abbandonata con un coetaneo del suo villaggio di origine.
Save the Children chiede con forza che i minori migranti non accompagnati che vivono in strada in Bosnia-Erzegovina possano essere registrati e protetti. La regione nord-occidentale, che si trova al confine del paese con l’Europa occidentale, è diventata un grande hot spot per i migranti. A causa della loro situazione disperata e della mancanza di percorsi legali e soluzioni per i minori e le famiglie, continuano a tentare di attraversare il confine per entrare nell’UE in Croazia, nonostante le notizie di violenti respingimenti. Gli operatori di Save the Children in Bosnia-Erzegovina possono testimoniare il gravissimo impatto di questa situazione stressante sui minori e sui bambini, in particolare tra quelli non accompagnati, compresi alcuni casi di autolesionismo.
“Questi bambini e adolescenti non dovrebbero affrontare l’inverno senza un tetto sopra la testa. Non dovrebbero rischiare la vita e la salute bevendo acqua dai fiumi, ritrovandosi congelati per le basse temperature o accendere fuochi con i rifiuti per potersi riscaldare. È fondamentale garantire il loro accesso alla protezione, alla salute e agli altri servizi fondamentali. È prima di tutto un loro diritto ma, alla luce dell’epidemia di COVID-19, è anche un problema di salute pubblica,” ha dichiarato Andrea Zeravcic, Direttrice di Save the Children in Bosnia-Erzegovina.
“Abbiamo bisogno urgentemente di strutture di accoglienza prima che i bambini possano morire congelati o subiscano altri gravi danni per la loro salute. In particolare, i minori non accompagnati devono poter essere al sicuro, come anche le famiglie e gli altri gruppi vulnerabili. Ciò significa che bisogna rendere disponibili altre strutture di accoglienza, che siano adeguati per minori e famiglie, in tutto il paese e lungo la rotta migratoria.”
“Le autorità devono garantire la registrazione ufficiale immediata e l’invio in strutture di accoglienza per tutti i bambini, compresi i minori non accompagnati. La registrazione è un primo passo essenziale per fornire protezione ai più vulnerabili e non può dipendere dalle capacità di accoglienza disponibili. Tutti i bambini, compresi quelli senza adulti di riferimento, hanno il diritto di essere al sicuro e di essere protetti”.
“La rotta balcanica vede il suo naturale prolungamento in Italia, da Trieste lungo la parte settentrionale del nostro paese fino a Ventimiglia ed è percorsa da decine di minori non accompagnati ogni anno” dichiara Daniela Fatarella, Direttrice di Save the Children Italia. “I numerosi respingimenti di migranti e richiedenti asilo denunciati dalle organizzazioni della società civile ai confini con la Slovenia sono un elemento di particolare allarme, in quanto delineano possibili situazioni di violazione della Legge Zampa in merito alla non identificazione di minori non accompagnati come tali e al conseguente loro respingimento, vietato da tale normativa. È urgente assicurare l’applicazione di un metodo multidisciplinare di accertamento dell’età alla frontiera con tutte le garanzie procedurali previste dalla legge”.
“L’UE e gli Stati membri hanno il dovere di fornire risposte adeguate a porre fine a questa tragedia e ad evitare che questa si riproponga in futuro a quel confine o ad un altro dei confini esterni dell’Unione. La creazione di vie sicure e regolari di accesso alla protezione internazionale e il superamento del sistema Dublino devono essere la priorità, così come la garanzia di accesso ad un sistema di protezione per i minori non accompagnati”. “

Persone senza dimora (Foto: Getty images, iStock)
31 gennaio 2021
Lockdown e persone senza dimora – Gli avvocati volontari dell’Associazione onlus Avvocato di strada hanno ottenuto l’annullamento di quattro multe che durante il primo lockdown, di marzo dell’anno scorso, erano state fatte ad alcune persone senza dimora in Italia. In quei giorni, in cui le città si svuotavano alla richiesta di “restiamo a casa”, tanti uomini e donne senzatetto non avevano una casa dove rifugiarsi. “Noi continueremo nel nostro lavoro e ci auguriamo che, nella malaugurata ipotesi di un nuovo lockdown, gli ultimi non vengano dimenticati ancora una volta”, ha affermato Antonio Mumolo presidente dell’Associazione Avvocato di strada.
Il comunicato dell’associazione:
“Come faceva a restare in casa chi una casa non ce l’aveva? Un’altra multa ingiusta, l’ennesima, è stata annullata e siamo molto felici per il nostro assistito”. Antonio Mumolo, Presidente dell’Associazione Avvocato di strada, e l’avvocato Paola Pizzi commentano così la decisione della Prefettura di Bologna, che ha accolto la richiesta dell’associazione e ha annullato la multa che lo scorso marzo era stata comminata ad un uomo senza dimora trovato in strada durante il primo lockdown.
“Molte persone – dice ancora Mumolo – in genere minimizzano queste cose. ‘Una multa ad un senzatetto? che problema c’è, tanto non la pagherà mai!’. Invece non è assolutamente così. Le multe rimangono, si accumulano e, se non le si può pagare perché si è nullatenenti, gli importi negli anni si moltiplicano fino a raggiungere cifre considerevoli”.
“Il DPCM del marzo 2020 che stabiliva il lockdown totale e multe e denunce per chi veniva trovato in strada – dice ancora il Presidente – è stato pubblicato in un periodo di gravissima emergenza e le misure rigide erano senz’altro giustificate. Come abbiamo fatto subito notare con una nostra campagna, tuttavia, il DPCM dimenticava quelle migliaia di persone che in quei mesi erano senza una casa e, per via di tutte le chiusure dei servizi e delle associazioni, prive di qualsiasi supporto”.
“Negli ultimi mesi siamo riusciti ad annullare già 4 multe che risalgono al primo lockdown, ma chissà quante sono le persone senza dimora multate in quel periodo che non si sono rivolte a noi e che continueranno ad essere gravate da quel debito. Noi – conclude Mumolo – continueremo nel nostro lavoro e ci auguriamo che nella malaugurata ipotesi di un nuovo lockdown gli ultimi non vengano dimenticati ancora una volta”.
![Bosnia, campi migranti [Foto: Baobab]](https://annagiuffrida.files.wordpress.com/2021/01/baobab_bosnia.jpg?w=300)
Bosnia, campi migranti [Foto: Baobab]
28 gennaio 2021
Bosnia e migranti – La testimonianza degli attivisti dell’organizzazione no-profit Baobab Experience che da cinque giorni sono in missione in Bosnia, tra i campi che accolgono le persone in fuga. Una voce per raccontare anche le politiche migratorie che, tra basse temperature, strutture sovraffollate e vite di stenti, sta scrivendo una nuova pagina sulla condizione di migliaia di persone migranti bloccate in un limbo. “Impossibile incontrare le persone all’interno, difficile anche parlarci fuori dal campo. I controlli all’ingresso e in uscita sono ferrei: il timore di fuga di informazioni – e sopratutto di immagini che ritraggano le condizioni di vita nelle stanze sovraffollate, nei container privi di riscaldamento e nelle tende allestite nello spazio esterno – passa per il controllo dei telefonini degli ospiti”, raccontano gli attivisti di Baobab.
Il racconto degli ultimi due giorni di missione:
“Giorno 5 – Sarajevo
Difficile, se non impossibile per un’associazione indipendente ottenere l’autorizzazione per accedere ai campi OIM.
L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – agenzia collegata dell’ONU – è l’ente che riceve i consistenti finanziamenti Ue per la gestione dei centri di accoglienza in Bosnia Erzegovina. 89 milioni di euro per 10mila persone: 8,900 euro a persona.
Blazuj è uno dei campi formali di Sarajevo, che oggi ospita circa 3500 persone, tre volte la capienza massima per cui è stato progettato.
Impossibile incontrare le persone all’interno, difficile anche parlarci fuori dal campo. I controlli all’ingresso e in uscita sono ferrei: il timore di fuga di informazioni – e sopratutto di immagini che ritraggano le condizioni di vita nelle stanze sovraffollate, nei container privi di riscaldamento e nelle tende allestite nello spazio esterno – passa per il controllo dei telefonini degli ospiti.
Conosciamo V. in un grande supermercato a qualche chilometro da Blazuj.
Mentre attende di “andare al game”, dopo 17 tentativi falliti, si guadagna qualche marco bosniaco cucinando chapati per gli altri ospiti del campo.
“La vita nel campo è scandita dalle file. 4 ore di fila solo per ricevere la colazione. Mettersi in coda troppo tardi spesso significa restare senza cibo. Anche per la doccia bisogna attendere diverse ore: purtroppo ci sono solo sei bagni con acqua calda”.
Sei bagni per 3500 persone.
Non è una catastrofe umanitaria.
È la politica sulla migrazione, bellezza.”
“Giorno 4 – Zenica
C’è bisogno di ironia, dentro a questo caos, dentro a tanta incongruenza e miopia.
La nostra terza missione in Bosnia è al suo quarto giorno. Qui c’è bisogno di tutto.
E la cosa di cui più si avverte l’urgenza è la necessità di ogni migrante di raccontare e raccontarsi, di offrire una testimonianza.
Grazie alle donazioni ricevute e a quelle che arriveranno, giorno dopo giorno, stiamo portando il nostro supporto alle migliaia di migranti bloccati per mesi o anni in una dimensione sospesa, di tentativi falliti e speranze sempre più fievoli.
Sacchi a pelo, torce e materiale di isolamento termico per Amed e i suoi compagni di viaggio, costretti a rifigiarsi in edifici cadenti, senza elettricità e servizi igienici.
Rasoi elettrici per Mohamed e il suo gruppo perché a Zenica i migranti non sono benvenuti dai barbieri locali.
Abiti e biancheria intima nello squat di Yusuf, Abdul, Ibrahim e Safet per avere un cambio dignitoso, almeno uno.
Prodotti per l’igiene e una grande pentola dove far scaldare l’acqua per la doccia di Murat, Mehdi, Yassin, Hassan e Karim.
Scorte alimentare e farmaci per riempire il magazzino dei solidali locali.
E tante giacche e paia di scarpe per fare fronte a ogni game-over, da cui si fa ritorno denudati, nel corpo e nell’anima.
Baobab Experience
Iban: IT60I0501803200000016788945
BIC/SWIFT: CCRTIT2TXXX
Causale: Baobab 4 Bosnia
https://baobabexperience.org/supporta/”

Covid e scuole (Foto: web)
21 dicembre 2020
Scuola al tempo della Covid-19 – Con le vacanze di Natale alle porte e la sospensione delle attività didattiche nelle scuole, resta l’esigenza di riorganizzare la didattica, riportando in presenza le lezioni quanto più possibile. Lo ha chiesto anche l’Associazione 21 Luglio, che segue da vicino la condizione dei bambini più ai margini. Tra gli appelli alle varie istituzioni, quella ai Dirigenti scolastici di “sforzarsi ad utilizzare tutti gli spazi concessi dalla normativa per permettere agli studenti di rimanere in presenza; di lavorare per creare e rafforzare legami con i territori, le associazioni e il terzo settore alla realizzazione di una comunità educante territoriale che ponga particolare attenzione ai minori che, per qualunque condizione socio-economica, culturale o di difficoltà di apprendimento, rischiano di vedere aumentato il proprio gap educativo e di andare incontro al fenomeno dell’abbandono scolastico precoce.”
Il comunicato integrale dell’Associazione:
“Durante il primo lock-down la scuola si è trovata a dover inventare nuovi modi per restare in contatto con i propri alunni, e gli istituti scolastici, sotto la spinta del Ministero dell’Istruzione, hanno avviato la Didattica a Distanza. Nata come un modo per non disperdere la socialità, essa si è presto trasformata in una brutta copia della scuola – già molto trasmissiva – a cui siamo abituati. Era soltanto aprile quando già si guardava con l’amaro in bocca alla trasformazione dei processi educativi relazionali: un’insegnante attenta, una parola particolare detta al momento giusto, la presenza dei compagni, in un attimo “sono stati sfrondati o addirittura eliminati, come se fossero un surplus“. La quantità ha assunto valore predominante: mentre molti alunni si sono trovati a subire passivamente lezioni unidirezionali e a rincorrere consegne da eseguire entro scadenze incalzanti, di altri bambini e ragazzi sono rimasti solo i silenzi e le assenze.
Dai dati Istat e dalle indagini Censis, sono emerse infatti drammatiche disuguaglianze: tra il 12 e il 20% degli alunni (a seconda dell’area geografica) non avevano accesso alle lezioni per mancanza di un device; il gap educativo tra gli studenti con più mezzi e i più poveri è aumentato del 75%; la dispersione scolastica è stata superiore al 5% nel 40% delle scuole.
Lo scoppio della pandemia ha messo in luce la fragilità e forse anche l’insufficienza del quotidiano lavoro di inclusione delle fasce di popolazione scolastica più a rischio di insuccesso. Il primo elemento di fragilità è costituito dallo status socio-economico di provenienza: nel 2018 in Italia erano più di 3 milioni i minori a rischio di povertà o esclusione sociale e 1,6 milioni quelli che vivevano in condizioni di povertà assoluta. La povertà materiale è significativamente correlata alla povertà educativa, testimoniata sia da più basse performance cognitive, sia da un minore accesso all’offerta culturale.
Anche l’origine straniera determina un chiaro svantaggio: gli alunni stranieri hanno tassi di scolarità nelle scuole superiori sensibilmente minori a quelli dei loro coetanei italiani (il 65,8% contro il 79,7%). I ragazzi più a rischio fanno parte delle prime generazioni (circa il 47% del totale) e trovano maggiori difficoltà per ragioni linguistiche e culturali nel raggiungere livelli minimi di apprendimento.
Essi a fronte dell’interruzione della didattica in presenza, sono potenzialmente più a rischio dispersione. Un’ultima condizione che richiede particolare attenzione e cura, è quella degli alunni con disabilità o con disturbi specifici dell’apprendimento, per i quali ancora di più la presenza del docente e la socialità che si instaura nelle aule scolastiche sono insostituibili. Per fronteggiare l’impatto della crisi, occorre avviare un piano straordinario per l’infanzia e l’adolescenza, per il rafforzamento delle infrastrutture sociali ed educative territoriali, puntando sulla resilienza delle comunità locali e tenendo ben presente la necessità di misure rivolte ai minori più vulnerabili. Pensiamo che dovrebbe essere seriamente colta l’opportunità che era stata avanzata nei “patti educativi di comunità”, in cui scuola e agenzie educative extrascolastiche dovrebbero essere a supporto dei bambini e degli adolescenti, in un’ottica di collaborazione e implementazione dei reciproci ruoli.
Chiediamo al Governo di predisporre al più presto, in maniera simile a quanto stabilito da molti altri paesi europei, la riapertura delle scuole di ogni ordine e grado, e comunque di non prevedere in futuro alcuna chiusura per i gradi che sono rimasti in presenza, poiché in base a diversi studi effettuati sia in Inghilterra che in Germania si è documentato che non esiste un ruolo della riapertura delle scuole nell’aumento dei casi di COVID-19.
Invitiamo il Ministro della Pubblica Istruzione a studiare soluzioni che consentano il rientro nelle classi in sicurezza, a fornire gli strumenti economici e di personale docente per affrontare la crisi generale in cui versa la scuola, a sviluppare una rete informatica con connessioni rapide e funzionanti, a prevedere che i libri scolastici e i device informatici siano forniti gratuitamente o in comodato d’uso ai ragazzi che ne abbiano bisogno in ogni ordine e grado di scuola, a lavorare per la promozione di strumenti educativi innovativi per rendere la scuola veramente inclusiva ed attiva, e a monitorare gli effetti che le politiche educative e le scelte didattiche hanno sull’esclusione e la dispersione scolastica.
Chiediamo alle Regioni di investire sul potenziamento e la capillarizzazione dei trasporti pubblici, soprattutto nelle fasce orarie di maggiore utilizzo da parte degli studenti, in modo che essi non rappresentino un pericolo per gli assembramenti e non favoriscano la diffusione dei contagi durante la pandemia, e che prevedano un uso gratuito o a costi calmierati degli stessi servizi per gli studenti e le fasce deboli, anche in considerazione della necessità di riduzione del traffico veicolare privato in vista dell’urgente sfida climatica.
Ai Dirigenti e ai Docenti chiediamo di sforzarsi ad utilizzare tutti gli spazi concessi dalla normativa per permettere agli studenti di rimanere in presenza; di lavorare per creare e rafforzare legami con i territori, le associazioni e il terzo settore alla realizzazione di una comunità educante territoriale che ponga particolare attenzione ai minori che, per qualunque condizione socio-economica, culturale o di difficoltà di apprendimento, rischiano di vedere aumentato il proprio gap educativo e di andare incontro al fenomeno dell’abbandono scolastico precoce.
Invitiamo anche la scuola tutta a riflettere sui propri tempi, su cosa vuol dire coinvolgere i ragazzi, comprendere una volta per tutte che la socializzazione è l’unico modo di apprendere. La comunità scolastica a nostro parere dovrebbe approfittare dell’emergenza in cui siamo incappati per cambiare radicalmente i modi della didattica: riformulare i tempi, gli spazi, i contenuti, i rapporti tra i ragazzi e la didattica, tenendo presenti i più fragili, e usando la fantasia per reinventare gli ambienti e i modi di apprendimento, al fine di affrontare quelle criticità che il Coronavirus non ha fatto che acuire.
REYN Italia
Associazione 21 luglio, Associazione Articolo 34, Università Tor Vergata, Circolo culturale Popilia, Casa della Comunità Speranza, Asai”

Ventimiglia, 12 dicembre 2020 (Foto: Baobab Experience)
17 dicembre 2020
Migranti, le storie alla frontiera – Il racconto di alcuni attivisti e volontari del gruppo Baobab Experience, che si sono recati alla frontiera italiana di Ventimiglia. Lì tra persone respinte dalla Francia, uomini donne e bambini, tra cui minori non accompagnati, il fenomeno del respingimento prosegue. Ad eccezione di alcuni presidi di attivisti, impegnati nell’accoglienza che offrono soluzioni a queste persone in transito, per il resto “a Ventimiglia l’accoglienza è negata. Dopo lo sgombero del campo informale lungo il fiume e la chiusura del presidio della Croce Rossa, le soluzioni abitative sono scomparse, a confermare che i migranti non devono esistere e dunque non esistono”, spiegano i volontari del Baobab.
La testimonianza completa:

Ecomafia 2020 (Foto: web)
14 dicembre 2020
Ecomafia, i dati del rapporto 2020 – Pubblicato il Rapporto sulle ecomafie di Legambiente. In aumento i reati contro l’ambiente nel 2019. Il business criminale è stimato in 19,9 miliardi di euro, solo per l’anno 2019. In cima alla classifica c’è la Campania, seguita da Puglia Sicilia e Calabria, che è prima tra le regioni del sud per arresti. La Lombardia, con 88 ordinanze di custodia cautelare, ha più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme. “I dati e le storie presentati in questa nuova edizione del rapporto Ecomafia 2020 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – raccontano un quadro preoccupante sulle illegalità ambientali e sul ruolo che ricoprono le organizzazioni criminali, anche al Centro-Nord, nell’era pre-Covid”.
La sintesi del Rapporto Ecomafie 2020:
“Il “virus” dell’ecomafia non si arresta né conosce crisi. Nel 2019 aumentano i reati contro l’ambiente: sono ben 34.648 quelli accertati, alla media di 4 ogni ora, con un incremento del +23.1% rispetto al 2018. In particolare preoccupa il boom degli illeciti nel ciclo del cemento, al primo posto della graduatoria per tipologia di attività ecocriminali, con ben 11.484 (+74,6% rispetto al 2018), che superano nel 2019 quelli contestati nel ciclo di rifiuti che ammontano a 9.527 (+10,9% rispetto al 2018). Da segnalare anche l’impennata dei reati contro la fauna, 8.088, (+10,9% rispetto al 2018) e quelli connessi agli incendi boschivi con 3.916 illeciti (+92,5% rispetto al 2018). La Campania è, come sempre, in testa alle classifiche, con 5.549 reati contro l’ambiente, seguita nel 2019 da Puglia, Sicilia e Calabria (prima regione del Sud come numero di arresti). E, come ogni anno, in queste quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa si concentra quasi la metà di tutti gli illeciti penali accertati grazie alle indagini, esattamente il 44,4%. La Lombardia, da sola, con 88 ordinanze di custodia cautelare, colleziona più arresti per reati ambientali di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia messe insieme, che si fermano a 86. Da capogiro il business potenziale complessivo dell’ecomafia, stimato in 19,9 mld di euro per il solo 2019, e che dal 1995 a oggi ha toccato quota 419,2 mld. A spartirsi la torta, insieme ad imprenditori, funzionari e amministratori pubblici collusi, sono stati 371 clan (3 in più rispetto all’anno prima), attivi in tutte le filiere: dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dai traffici di animali fino allo sfruttamento delle energie rinnovabili e alla distorsione dell’economia circolare.
“I dati e le storie presentati in questa nuova edizione del rapporto Ecomafia 2020 – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – raccontano un quadro preoccupante sulle illegalità ambientali e sul ruolo che ricoprono le organizzazioni criminali, anche al Centro-Nord, nell’era pre-Covid. Se da un lato aumentato i reati ambientali, dall’altra parte la pressione dello Stato, fortunatamente, non si è arrestata. Anzi. I nuovi strumenti di repressione garantiti dalla legge 68 del 2015, che siamo riusciti a far approvare dal Parlamento dopo 21 anni di lavoro, stanno mostrando tutta la loro validità sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione. Non bisogna però abbassare la guardia, perché le mafie in questo periodo di pandemia si stanno muovendo e sfruttano proprio la crisi economica e sociale per estendere ancora di più la loro presenza”. “Per questo – continua Ciafani – è fondamentale completare il quadro normativo: servono nuove e più adeguate sanzioni penali contro la gestione illecita dei rifiuti, i decreti attuativi della legge che ha istituito il Sistema nazionale protezione ambiente, l’approvazione delle leggi contro agromafie e saccheggio del patrimonio culturale, archeologico e artistico, una forte e continua attività di demolizione degli immobili costruiti illegalmente per contrastare la piaga dell’abusivismo, l’introduzione di sanzioni penali efficaci a tutela degli animali e l’accesso gratuito alla giustizia per le associazioni che tutelano l’ambiente. Noi non faremo mancare il nostro contributo per arrivare entro la fine della legislatura all’approvazione di queste riforme fondamentali”.
Oltre alle denunce dei cittadini, alle attività svolte da forze dell’ordine, Capitanerie di porto e magistratura, si conferma la validità di provvedimenti legislativi, spesso faticosamente approvati, come la legge sugli ecoreati (68/2015) e quella contro il caporalato, la 199/2016.
Anche nel 2019 il ciclo dei rifiuti resta il settore maggiormente interessato dai fenomeni più gravi di criminalità ambientale: sono ben 198 gli arresti (+112,9% rispetto al 2018) e 3.552 i sequestri con un incremento del 14,9%. A guidare la classifica per numero di reati è la Campania, con 1.930 reati, seguita a grande distanza dalla Puglia (835) e dal Lazio, che con 770 reati sale al terzo posto di questa classifica, scavalcando la Calabria. Per quanto riguarda le inchieste sui traffici illeciti di rifiuti: dal primo gennaio 2019 al 15 ottobre del 2020 ne sono state messe a segno 44, con 807 persone denunciate, 335 arresti e 168 imprese coinvolte. Quasi 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti sono finiti sotto sequestro (la stima tiene conto soltanto dei numeri disponibili per 27 inchieste), pari a una colonna di 95.000 tir lunga 1.293 chilometri, poco più della distanza tra Palermo e Bologna.
Oltre ai reati legati al ciclo del cemento, resta diffusa la piaga dell’abusivismo edilizio con 20 mila nuove costruzioni (ampliamenti compresi). “La causa di questa persistenza dell’abusivismo edilizio in Italia – spiega Enrico Fontana, responsabile Osservatorio nazionale ambiente e legalità Legambiente – è duplice: le mancate demolizioni da parte dei Comuni e i continui tentativi di riproporre condoni edilizi da parte di Regioni, ultima in ordine di tempo la Sicilia, leader e forze politiche. Per questo diventa indispensabile, oggi più che mai, lanciare una grande stagione di lotta all’abusivismo edilizio, prevedendo in particolare un adeguato supporto alle Prefetture nelle attività di demolizione, in caso di inerzia dei Comuni, previste dalla legge 120/2020; la chiusura delle pratiche di condono ancora giacenti presso i Comuni; l’emersione degli immobili non accatastati, censiti dall’Agenzia delle entrate, per avviare la verifica della loro regolarità edilizia e sottoporre quelli abusivi all’iter di demolizione”.
A crescere è, non a caso, anche il numero di inchieste sulla corruzione ambientale, quelle rilevate da Legambiente dal primo giugno 2019 al 16 ottobre 2020 sono state 134, con 1.081 persone denunciate e 780 arresti (nel precedente Rapporto le inchieste avevano toccato quota 100, con 597 persone denunciate e 395 arresti). Il 44% delle inchieste ha riguardato le quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso, con la Sicilia in testa alla classifica (27 indagini). Da segnalare, anche in questo caso, il secondo posto della Lombardia, con 22 procedimenti penali, seguita dal Lazio (21).
Nella Terra dei Fuochi, nel 2019 sono tornati a crescere di circa il 30% rispetto al 2018 i roghi censiti sulla base degli interventi dei Vigili del fuoco, arrivati quasi a quota 2.000.
Preoccupanti anche i dati sugli incendi boschivi scoppiati nella Penisola: nel 2019 sono andati in fumo 52.916 ettari tra superfici boscate e non, con un incremento del 261,3% rispetto al 2018. I reati accertati sono stati 3.916, con una crescita del 92,5% sull’anno precedente. Il 50,3% dei reati si concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, dove è andato in fumo il 76% del territorio percorso dal fuoco a livello nazionale, con la Calabria (548 reati) in cima alla classifica.
Tra le altre piaghe da sanare, anche quella dei reati contro gli animali. Parliamo di 8.088 reati, più di 22 al giorno, con 7.046 persone denunciate, 2.629 sequestri effettuati e 39 arresti. Legambiente stima che i fatturati illegali legati a queste attività ammontino a 3,2 mld di euro l’anno.
Sul fronte agromafie, nel 2019 aumentano del 54,9% i reati penali e gli illeciti amministrativi in questo settore. Crescono gli arresti (193 quelli eseguiti lo scorso anno, +22,2%), i sequestri (+12,3%, a quota 11.975), le sanzioni, sia penali che amministrative (59.036, con un incremento del 24,6% rispetto al 2018).
Per quanto riguarda le archeomafie, nel 2019 sono significativamente in crescita le denunce (1.730 contro le 1.526 del precedente Rapporto), le persone arrestate (73, più del doppio del 2018), i sequestri, 640, con un aumento del 238,6% rispetto a quelli del 2018.
Secondo l’Osservatorio di Assobioplastiche, nel nostro paese vengono commercializzate circa 23.000 tonnellate di buste usa e getta fuori legge, per un valore complessivo di 200 milioni di euro. In media, su 100 buste in circolazione 30 sarebbero completamente fuori norma. Non si tratta soltanto di quelle di plastica ma anche di buste “pseudo-compostabili”: nel corso degli ultimi 5 anni il tasso di non conformità verificato dai laboratori Arpa si è attestato intorno al 60%.
Infine, il mercato parallelo e illegale di gas HFC ammonterebbe nel 2019 in Europa ad almeno 3.000 tonnellate. In termini di impatto ambientale, questo commercio illecito può essere valutato in circa 4,7 milioni di tonnellate equivalenti di CO2, pari alle emissioni generate dall’utilizzo medio annuale di 3,5 milioni di automobili di ultima generazione. Secondo l’EFCTC si tratta, con ogni probabilità, soltanto della punta dell’iceberg.”

Mascherine da donare (Foto: fonte web)
2 dicembre 2020
Mascherine sospese – Si chiama ‘Una mascherina sospesa per i senza fissa dimora’, l’iniziativa dell’Associazione Avvocato di strada Onlus che ispirandosi alla nota tradizione del caffè sospeso propone dal 10 dicembre al 31 gennaio ai cittadini di acquistare mascherine e disinfettanti nelle attività che aderiscono, e lasciarli ‘sospesi’. Un’iniziativa in favore dei più invisibili e fragili, in questa emergenza sanitaria che impone a tutti di usare dispositivi di sicurezza. “I cittadini potranno acquistare mascherine e gel disinfettanti e lasciarli sospesi. I nostri volontari di varie città provvederanno a raccoglierli e verranno subito distribuiti alle persone senza dimora che non hanno una casa dove ripararsi”, ha detto Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada.
Il comunicato completo dell’associazione:
“Un’iniziativa per fare qualcosa di semplice e concreto per le persone senza dimora che nell’epoca del Covid hanno subito terribili conseguenze. L’Associazione Avvocato di strada lancia l’idea delle mascherine, e dei gel disinfettanti, ‘sospesi’.
“L’idea – spiega il presidente dell’Associazione Avvocato di strada Antonio Mumolo – già realizzata in alcune città, nasce dalla tradizione napoletana del “caffè sospeso”, l’usanza di lasciare una tazzina di caffè già pagata al bar a chi non può permettersela. Dal 10 dicembre al 31 gennaio nelle attività che aderiranno alla nostra iniziativa, farmacie, tabaccherie ma non solo, i cittadini potranno acquistare mascherine e gel disinfettanti e lasciarli “sospesi”. I nostri volontari di varie città provvederanno a raccoglierli e verranno subito distribuiti alle persone senza dimora che non hanno una casa dove ripararsi”. “Sui social si scrive #RestiamoAcasa. Ok, ma chi una casa non ce l’ha? Durante i mesi del lockdown e in questa seconda ondata – spiega ancora Mumolo – la vita per chi è senza dimora si è complicata molto. La chiusura di tantissimi servizi, delle mense e dei dormitori, ha significato la perdita di fondamentali punti di riferimento e di sostegno. Noi stessi, in quasi tutte le oltre 50 città italiane dove siamo presenti, abbiamo dovuto ridurre o sospendere del tutto i ricevimenti. Tutto questo mentre centinaia di persone senza dimora venivano denunciate e multate perché erano in strada e non potevano restare in una casa che non hanno”.
“Chiediamo a tante attività di darci la propria disponibilità alla raccolta scrivendo a emergenza@avvocatodistrada.it e a tanti cittadini di raccogliere il nostro appello a donare. In questo modo – conclude Mumolo – aiuteranno anche l’Associazione Avvocato di strada a proseguire l’attività di assistenza legale gratuita, proteggendo gli assistiti dentro e fuori dai nostri sportelli”.”

COVID-19 supporto psicologico (Fondazione Soleterre)
27 novembre 2020
Salute psicologica e Covid-19 – 6 europei su 10 colpiti dalla ‘pandemic fatigue’, secondo i dati dell’OMS. Dopo le recenti richieste del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi al Governo di favorire l’accesso alla prevenzione e cura dei problemi psicologici per chi ne avesse bisogno, la Fondazione Soleterre ha lanciato un servizio gratuito di supporto psicologico in favore di chi ne avesse bisogno in tutta Italia. “Il servizio è gratuito e prevede un ciclo di 8 incontri telefonici/online o in presenza (quando possibile). Occorre che il governo si dia una mossa e ingrani finalmente una marcia sportiva per fare fronte a una situazione che oramai ha superato il limite”, spiega in un comunicato la Fondazione impegnata in progetti a tutela della salute.
Di seguito il comunicato.
“Con l’aumento dei contagi e l’incertezza sul futuro cresce inevitabilmente anche il bisogno di sostegno psicologico: se nella prima ondata gli stati d’animo più diffusi erano paura ma anche eccitamento dovuto al dover affrontare un nuovo e imminente pericolo, oggi con la seconda ondata i sentimenti tipici sono angoscia, ansia e irrequietezza. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) 6 europei su 10 sono colpiti dalla cosiddetta ‘pandemic fatigue’, una fatica mentale dovuta alla mancanza di energie non fisiche ma psichiche che ha l’effetto di immobilizzarci.
Fondazione Soleterre già da maggio 2020 ha attivato un servizio nazionale di supporto psicologico Covid-19 per tutta la popolazione che si trova in difficoltà a causa della pandemia. Il servizio, che è partito nelle province più colpite di Milano, Bergamo, Pavia e Lodi e oggi si appresta a partire in tutta Italia, è rivolto non solo a coloro che sono stati colpiti direttamente dall’emergenza (pazienti Covid-19, personale sanitario, familiari delle vittime), ma anche a tutti coloro che stanno affrontando un disagio, uno stato d’animo difficile, da chi non riesce a dormire la notte a chi ha sviluppato attacchi di panico, depressione e ansia.
Il servizio è gratuito e prevede un ciclo di 8 incontri telefonici/online o in presenza (quando possibile). Sono 578 gli psicologi che da tutta Italia si sono candidati per partecipare al progetto e che una volta coinvolti riceveranno da Fondazione Soleterre un kit di intervento composto dal modello terapeutico elaborato dai propri psicologi attivi nei reparti Covid-19 e utilizzato per tracciare lo stress psicologico, oltre all’accesso a un sistema condiviso di reportistica. Sono stati anche formati per individuare e intervenire tempestivamente in casi particolarmente gravi dal punto di vista psicologico e/o della fragilità economica. Chiamando il numero di centralino +39 335 7711805 attivo su tutto il territorio nazionale un operatore metterà l’utente direttamente in contatto con il primo psicologo disponibile e più vicino al suo domicilio per fissare l’appuntamento.
“A fronte di un disagio psicologico allarmante indotto dalla pandemia (fra i 27 Paesi censiti dall’Agenzia Europea EUROFOUND l’Italia è risultata terzultima quanto a benessere mentale, davanti solo a Grecia e Polonia) mancano attività concrete e gratuite in aiuto alla popolazione. Risulta più che mai necessaria l’istituzione di uno psicologo di base, una figura che possa essere di aiuto alla popolazione italiana nei diversi territori – avverte Damiano Rizzi, Presidente di Fondazione Soleterre e psicologo impegnato nella prima linea Covid-19. “In attesa che tutto ciò accada, Fondazione Soleterre non resta a guardare. Già da marzo abbiamo istituito un Fondo Nazionale per il Supporto Psicologico a cui hanno fatto richiesta di adesione oltre 500 psicologi. Dopo una prima fase di valutazione sintomatologica i pazienti saranno presi in carico da psicoterapeuti che risiedono nei loro territori con diversi anni di esperienza a seconda della gravità dei sintomi. Senza la salute mentale diviene secondario ogni altro ragionamento. Occorre che il governo si dia una mossa e ingrani finalmente una marcia sportiva per fare fronte a una situazione che oramai ha superato il limite”.”
![Campo Sinti, quartiere San Basilio (Roma) [Foto: Centro Popolare San Basilio]](https://annagiuffrida.files.wordpress.com/2020/11/127265772_2534393256685410_476151703598480114_o.jpg?w=300)
Campo Sinti, quartiere San Basilio (Roma) [Foto: Centro Popolare San Basilio]
24 novembre 2020
Diritto alla casa e Covid-19 – Continua il programma di sgomberi nelle periferie di Roma. Nonostante l’emergenza sanitaria e la necessità per tutti di avere una casa dove rifugiarsi per contenere la diffusione del virus, è stato annunciato lo sgombero di alcune famiglie di un campo Sinti nel quartiere popolare San Basilio, nella periferia est della Capitale. La solidarietà dei comitati e delle associazioni di quartiere: “Annunciare uno sgombero in piena pandemia sanitaria è un atto irresponsabile e pericoloso, che contribuirebbe a peggiorare un clima di precarietà e insicurezza diffusa dovuta alla crisi sociale ed economica che stiamo vivendo in una periferia come San Basilio.”
La lettera delle associazioni di San Basilio.

Scuola, Assistenti alla comunicazione (Foto: web)
18 novembre 2020
Scuola in presenza e Disabilità, la condizione dei lavoratori AEC, assistenti alla comunicazione – Due municipi di Roma hanno chiesto di inserire la possibilità nei PEI per gli alunni disabili di ricorrere all’istruzione domiciliare e ad altri interventi didattico-educativi non specificati. “È un atto gravissimo quello compiuto dai municipi XIII e IV poiché con esso si tenta di eliminare la frequenza scolastica in presenza degli alunni con disabilità da svolgere con il coinvolgimento delle figure di supporto. I municipi vanno contro una legge nazionale, contro lo Stato, contro l’integrità della comunità educante e discente!”, fanno sapere dal Comitato Romano AEC.
Di seguito il comunicato del gruppo di lavoratori.

Tamponi effettuati a Roma Termini (Foto: Binario 95)
11 novembre 2020
Covid-19 e tutele agli invisibili – Tamponi gratuiti per le persone senza fissa dimora al Polo Sociale Roma Termini. Una tutela per i più invisibili delle città e per gli operatori che li assistono, necessario in questa seconda ondata di emergenza sanitaria. Questa azione permetterà inoltre a operatori e volontari dei servizi, oggi colonna portante della nostra città, di continuare a svolgere il loro prezioso e insostituibile lavoro in sicurezza”, afferma Alessandro Radicchi, fondatore di Binario 95 e direttore dell’Osservatorio Nazionale Della Solidarietà nelle stazioni italiane.
Il comunicato del centro di accoglienza Binario 95:
“L’attenzione alla salute delle persone senza dimora non può prescindere in queste settimane dai possibili effetti della pandemia. Per questo sono ripresi da metà ottobre, presso il Polo Sociale Roma Termini, cui fanno capo l’Help Center e il centro di accoglienza Binario 95, i tamponi gratuiti per le persone senza dimora, estesi anche ad operatori e volontari dei servizi di supporto ed accoglienza della Capitale, fino ad esaurimento della disponibilità.
L’attività, che ha avuto una sua prima fase nei mesi di giugno e luglio, si svolge all’interno dello “Studio osservazionale per la presenza del SARS-COV-2 nei servizi di supporto e accoglienza per persone senza dimora di Roma” realizzato dall’Istituto San Gallicano con il coordinamento del prof. Aldo Morrone, in partenariato con Roma Capitale e Binario 95, nei locali concessi in comodato d’uso gratuito da Ferrovie dello Stato Italiane. Durante la fase autunnale, sono stati già eseguiti quasi 400 tamponi molecolari, i cui risultati rappresentano la garanzia per un’accoglienza sicura delle persone senza dimora nei servizi di stazione e della città.
“Abbiamo recentemente avviato i test con tamponi antigenici in modo da poter offrire alle persone costrette a vivere in strada un risultato immediato che, se negativo, fungerà da nullaosta per l’accesso alle strutture di accoglienza di Roma Capitale”, dichiara il direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano (IRCCS) Aldo Morrone. “In caso di risultato positivo, invece, sarà eseguito subito sul posto un tampone molecolare per verificare l’effettiva presenza del Sars-Cov-2 nel paziente che, se senza casa, nel frattempo sarà orientato alle strutture di isolamento predisposte da Roma Capitale”.
In un momento di forte stress per il Sistema Sanitario Nazionale, questa azione diventa fondamentale per monitorare la salute di chi vive in strada e degli operatori sociali che li assistono, evitando che si ripeta il paradosso vissuto in primavera, quando molti centri di accoglienza sono stati chiusi o ridotti nella loro capienza per l’impossibilità di verificare lo stato di salute delle persone senza dimora che chiedevano di accedervi.
“Finalmente siamo riusciti a chiudere il cerchio. In questi mesi abbiamo lavorato sodo e insieme, con passione e determinazione: istituzioni locali, regionali, sanitarie, privati e Terzo Settore, per cercare di garantire alle persone che vivono in strada la possibilità di essere accolte anche in vista dell’arrivo del freddo intenso. Questa azione permetterà inoltre a operatori e volontari dei servizi, oggi colonna portante della nostra città, di continuare a svolgere il loro prezioso e insostituibile lavoro in sicurezza”, afferma Alessandro Radicchi, fondatore di Binario 95 e direttore dell’Osservatorio Nazionale Della Solidarietà nelle stazioni italiane.

Migranti e integrazione (Foto: Avvenire)
10 novembre 2020
Diritto alla casa e senza fissa dimora – Ripartito il progetto Bahaus, del gruppo Baobab Experience di Roma, che riconosce il diritto all’abitare attivando percorsi di autodeterminazione. “Non abbandoneremo la nostra azione di protesta e rivendicazione del diritto all’accoglienza e all’intergrazione, ma di fronte ad un’amministrazione che si ostina a disconoscerlo, proviamo a costruire noi scenari di realizzazione personale”, fa sapere la Onlus di attivisti.
Di seguito il comunicato dell’associazione.
“Un ragazzo somalo, un iracheno, un maliano, un burkinabè, un guineense e un nigerino…
…ma non è una barzelletta; è un nuovo e bellissimo capitolo della nostra storia.
Sono i nuovi beneficiari di Baohaus, il progetto Baobab che riconosce il diritto all’abitare come conditio sine qua non affinché la persona possa identificare e attivare percorsi di autoderminazione.
L’appartamento in Via Napoleone III è diventato un melting pot di culture ed esperienze, un crocevia di persone e storie. Accanto a Baohaus, Baobab ha finanziato – anche in collaborazione con CiancArìa – progetti di cohausing, sempre nell’intento di favorire processi di emancipazione e autodecisione, con il pieno supporto del team legale di Baobab Experience e di Baobab 4 jobs. Uguaglianza significa pari opportunità, equità in partenza.
Ma chi arriva nel nostro Paese non solo è costretto a ripartire da zero, ma spesso è costretto a una condizione di permanente privazione, ostacolato in ogni azione diretta ad affrancarsi dalla vita di strada e dalla dimensione solidale o caritatevole per la soddisfazione dei bisogni primari. Dall’identificazione di un alloggio, al riconoscimento dei documenti di soggiorno, all’ottenimento di un regolare contratto di lavoro, tutto è una strenua battaglia, una prova di resistenza fisica e psicologica. Non abbandoneremo la nostra azione di protesta e rivendicazione del diritto all’accoglienza e all’integrazione, ma di fronte a un’amministrazione che si ostina a disconoscerlo, proviamo a costruire noi scenari di realizzazione personale. In fondo è quello che abbiamo sempre fatto: colmare con la responsabilità sociale e la solidarietà dal basso i vuoti istituzionali. E forse dimostrare a un apparato pubblico inerte e indifferente cosa sia possibile fare con la sola forza dell’attivismo e della solidarietà dal basso è la protesta più grande.”

Minori stranieri non accompagnati (Foto: credits Save the Children)
30 ottobre 2020
Minori stranieri non accompagnati al tempo della Covid-19 – Il Rapporto dell’associazione di volontari e attivisti Borderline Sicilia sull’arrivo di MSNA, minori stranieri non accompagnati, in Sicilia. Un fenomeno che nell’ultimo periodo ha assunto una rilevanza crescente soprattutto “rispetto alle sfide che hanno posto al sistema accoglienza”, si legge nel documento. “I MSNA che arrivano in Italia in questo periodo vengono ristretti in strutture emergenziali utilizzate per il periodo di quarantena, in promiscuità con gli adulti e con tempi di permanenza che superano quelli previsti dai protocolli sanitari.”
Di seguito, un estratto del Rapporto del gruppo Borderline Sicilia ONLUS.
“Il presente Rapporto – realizzato da Borderline Sicilia sulla base di dati raccolti nel 2019 – fornisce una fotografia della situazione dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) in Sicilia, regione che continua a registrare la loro maggiore presenza e il maggior numero di strutture ad essi dedicate, nonostante gli arrivi di migranti sul territorio nazionale sia in diminuzione dal 2017. Nel corso di quest’ultimo periodo, i MSNA hanno assunto una rilevanza crescente all’interno dei flussi in arrivo in Italia, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche rispetto alle sfide che hanno posto al sistema di accoglienza. Nonostante la diminuzione degli arrivi e la ridotta presenza di MSNA sul territorio siciliano rispetto al passato, la qualità dei servizi offerti da parte dei comuni e dei centri di accoglienza non risulta essere migliorata, in quanto si continuano a riscontrare ritardi, carenze, violazioni e prassi illegittime.
Il presente lavoro fa riferimento alla situazione rilevata prima che scoppiasse la pandemia da Covid-19, la quale ha travolto ogni settore delle nostre vite, comprese quelle dei migranti presenti in Italia. Relativamente alla situazione dei MSNA, durante il periodo di lockdown fino a quello attuale, abbiamo rilevato che tutte le criticità descritte nel Rapporto, si sono acutizzate ed amplificate. I MSNA che arrivano in Italia in questo periodo vengono ristretti in strutture emergenziali utilizzate per il periodo di quarantena, in promiscuità con gli adulti e con tempi di permanenza che superano quelli previsti dai protocolli sanitari. Ciò accade perché tali strutture non sono idonee a questo tipo di profilassi e il sovraffollamento non permette che l’isolamento sanitario venga attuato in maniera corretta. Inoltre, il clima all’interno di queste strutture è stato – e nel momento in cui si scrive continua ad essere – caratterizzato da forti tensioni che sfociano anche in proteste, allontanamenti ed interventi delle forze dell’ordine incaricate di presidiare le strutture. Ma le criticità rilevate in questi ultimi mesi riguardano anche la quotidianità nei centri per MSNA, in cui i precari equilibri descritti nel presente Rapporto sono del tutto saltati: procedure amministrative e processi di inserimento socio lavorativo risultano interrotti ed in molti casi cessati, i percorsi scolastici sono stati annullati, si sono registrati trasferimenti repentini e conseguenti sradicamenti. In molte strutture si è proceduto ad un confinamento che non è stato accompagnato dalla presenza costante di operatori, in assenza di spiegazioni chiare su quanto stava accadendo e sulle misure adottate e da adottare, con un crescente disagio tra i minori. Un altro rilevante dato riscontrato riguarda le difficoltà che i neomaggiorenni in uscita dai centri incontrano nella ricerca di un idoneo inserimento abitativo e socio lavorativo.
Il presente Rapporto mostra come il complesso di criticità rilevato impedisce il pieno esercizio dei diritti dei minori, nonché la loro partecipazione alla vita pubblica come cittadini. In linea con numerosi studi e monitoraggi condotti negli ultimi anni, dal Rapporto emerge come attualmente persiste un sistema di accoglienza che trascura diritti, bisogni e prospettive dei MSNA che abbandonano i paesi di origine per fuggire da deprivazioni economiche, sociali e culturali, e che, giunti in Italia, corrono il rischio di imbattersi in analoghe mancanze.
Borderline Sicilia, pertanto, raccomanda alle autorità competenti:
- di aggiornare le procedure in atto presso le Pubbliche Amministrazioni in ottemperanza alle linee guida della legge Zampa, con particolare riferimento all’affido familiare, e di facilitare lo svolgimento delle funzioni dei tutori volontari, attraverso la previsione di una formazione continua;
- il ricorso al prosieguo amministrativo in tutti i casi in cui il minore è stato avviato all’inserimento scolastico o lavorativo dopo il compimento di 16 anni;
- una centralizzazione della cabina di regia del sistema di accoglienza dei MSNA che uniformi le responsabilità istituzionali, con riferimento a qualsiasi tipologia di centro di accoglienza, e il potenziamento delle funzioni del Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, al quale dovrebbe essere affidato il monitoraggio delle misure di accoglienza e di tutela adottate nell’interesse del minore;
- la previsione di criteri più selettivi nell’affidamento della gestione dell’accoglienza;
- l’apertura dei centri di accoglienza presso località in cui siano fruibili i servizi essenziali ai MSNA per facilitare la costruzione di percorsi integrati di formazione e inserimento lavorativo, necessari per accompagnare i minori verso l’autonomia;
- il rafforzamento dell’organico dei Servizi Sociali presso gli enti locali, in rapporto al numero di MSNA che possono essere accolti sul territorio comunale;
- l’adozione di misure di prevenzione volte a sensibilizzare i giovani contro ogni forma di razzismo e discriminazione, nonché la creazione di osservatori locali sull’effettività dell’accesso ai servizi essenziali e ai diritti fondamentali (alloggio, lavoro, scuola, assistenza sanitaria) da parte dei MSNA e dei neomaggiorenni.
Mamadou, 17 anni, Senegal
Mamadou appare come un ragazzo piccolo e timido. Arrivato a Pozzallo nel 2014, si è dichiarato maggiorenne perché totalmente inconsapevole della sua reale età anagrafica (11 anni). Mamadou, in Senegal, non aveva mai frequentato la scuola ed era stato vittima di violenze e abusi domestici che gli avevano provocato dei gravi danni all’udito. Nonostante il suo aspetto fisico palesemente infantile e nonostante la Commissione Territoriale di Siracusa gli avesse chiesto il consenso per procedere all’accertamento dell’età, tale esame non è mai stato espletato. Mamadou, nel frattempo, viene ospitato in un CAS per adulti e poi trasferito in un centro SPRAR, senza che nessun operatore si sia mai posto dubbi sull’effettiva età del ragazzo. Soltanto una persona conosciuta fuori dalla struttura di accoglienza si è interessata, ponendo dubbi sulla sua maggiore età ed aiutandolo a reperire il certificato di nascita, tramite l’ambasciata senegalese, dal quale è emerso che Mamadou era ancora sedicenne. Dopo la segnalazione alla Procura del Tribunale per i minorenni di Catania, adesso Mamadou vive in un centro per minori ed è seguito da un tutore e dai ServiziSociali.
La disamina delle criticità del sistema di tutela del MSNA svolta nel Rapporto mette in luce come l’abbandono dei percorsi di protezione sia una conseguenza diretta delle carenze strutturali del sistema di accoglienza e di protezione. La caduta nei circuiti della criminalità e dello sfruttamento lavorativo e sessuale ne rappresenta spesso il tragico epilogo, contestualmente alla fine delle aspirazioni progettuali del minore che lo avevano determinato ad intraprendere il proprio percorso migratorio.”

Ingresso bar – Agosto 2020 (copyright La Lente di una Cronista)
14 ottobre 2020
Covid-19 e nuove restrizioni – L’ultimo Dpcm del 13 ottobre ha previsto, tra le nuove restrizioni, anche la riduzione dell’orario di apertura di bar e attività di ristoro con la chiusura fissata a mezzanotte e il divieto di sosta davanti ai locali. Una decisione che tocca un settore ancora in crisi dopo il lockdown di tre mesi in primavera. “Tra i nostri imprenditori c’è ancora chi deve pagare i debiti accumulati durante il lockdown di marzo e chi deve ammortizzare gli investimenti fatti per mettere il proprio locale in regola secondo il protocollo siglato a maggio. È impensabile che si possa far fronte a una nuova riduzione dell’attività, mentre nessuno sta muovendo un dito per ridurre le spese cui i gestori dei pubblici esercizi sono tutt’ora costretti. Dagli affitti, al fisco. Se prima non si interviene in maniera decisa su queste due voci, non è possibile accettare nuove limitazioni al nostro lavoro”, ha dichiarato Lino Enrico Stoppani, presidente della Fipe – Confcommercio.
Di seguito il comunicato stampa della federazione.
“Le misure contenute nel nuovo Dpcm approvato dal Consiglio dei ministri rappresentano un colpo mortale per un settore già in gravissima crisi che vede il rischio chiusura per 50.000 imprese e la perdita del lavoro per 350.000 lavoratori. Questo, numeri alla mano, il risultato se si proseguirà sulla strada delle chiusure anticipate, invece di incrementare i controlli per punire chi non rispetta le regole. Bar, ristoranti, stabilimenti balneari, imprese di banqueting e catering, imprese dell’intrattenimento sono state le realtà più colpite dalla crisi economica determinata dal Covid. Ma sono state anche quelle meno supportate. Senza aiuti significativi e concreti, siamo destinati a chiudere per sempre, rinunciando a uno dei fiori all’occhiello dell’offerta turistica nazionale e a un tassello fondamentale della filiera agroalimentare italiana”.
Così il presidente di Fipe – Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, Lino Enrico Stoppani, al termine del Consiglio direttivo, in seguito all’approvazione del nuovo Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri sulle misure di contenimento del Covid-19.
“Tra i nostri imprenditori – prosegue Stoppani – c’è ancora chi deve pagare i debiti accumulati durante il lockdown di marzo e chi deve ammortizzare gli investimenti fatti per mettere il proprio locale in regola secondo il protocollo siglato a maggio. È impensabile che si possa far fronte a una nuova riduzione dell’attività, mentre nessuno sta muovendo un dito per ridurre le spese cui i gestori dei pubblici esercizi sono tutt’ora costretti. Dagli affitti, al fisco. Se prima non si interviene in maniera decisa su queste due voci, non è possibile accettare nuove limitazioni al nostro lavoro”.

Sfratti e Covid (Foto: web)
24 settembre 2020
Covid-19 e povertà – Giovani coppie, famiglie di stranieri integrate sul territorio e immigrati che condividevano appartamenti con i connazionali. Sono queste le categorie degli “sfrattati del Covid”. Persone che, a causa del periodo di pandemia, non riescono a pagare l’affitto e le utenze già da alcuni mesi e che rischiano di finire in strada. È quanto emerge da un’indagine condotta tra gli operatori di Caritas Ambrosiana. “Occorrerà fantasia, coraggio e senso di responsabilità in vista già dei prossimi mesi quando con l’inverno la temperatura scenderà. Quest’anno la cosiddetta “emergenza freddo” non potrà essere affrontata aggiungendo posti in più nelle solite strutture”, ha affermato Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana.
Di seguito il comunicato di Caritas Ambrosiana.
“In cinque mesi oltre 300 persone hanno perso la casa e altre 600 non riescono più a pagare l’affitto e le utenze a causa del Covid. È quanto emerge da un’indagine condotta tra gli operatori della Caritas Ambrosiana impegnati nella gestione del servizio Sai (Servizio di assistenza immigrati), Siloe (Servizio di orientamento lavorativo) e Fondo Diocesano di Assistenza.
Da aprile ad agosto 2020, tra la fase uno e la fase due dell’emergenza sanitaria, sono state 314 le domande di alloggio giunte ai servizi della Caritas Ambrosiana da parte di persone finite in strada. Di queste richieste il 60% è stato espresso da immigrati che non hanno più potuto pagare il posto letto negli appartamenti che condividevano con i propri connazionali o che sono fuoriusciti dal sistema di accoglienza. La restante parte, il 40%, da stranieri ben integrati, comprese anche famiglie arrivate anni fa nella nostra città per ricongiungersi al marito o alla moglie che avevano fatto da apripista.
A costoro si aggiungono altre 611 domande di aiuti per il pagamento dell’affitto, delle utenze domestiche e delle spese condominiali, un numero quattro volte superiore a quello registrato nello stesso periodo nell’anno precedente. Tra costoro anche molti italiani, in genere giovani coppie in condizioni economiche molto precarie, che non hanno retto al contraccolpo dell’improvviso arresto economico.
«Sempre più inesorabilmente la pandemia ci sta costringendo a vedere quei nodi della nostra vita sociale che abbiamo per troppi anni ignorato. Nei primi mesi della crisi sanitaria, durante il lockdown e la parziale riapertura della fase due, è emerso con prepotenza il tema del lavoro, precario e sottopagato. Ora sta venendo alla luce una vecchia questione: la casa – commenta Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana. Mesi senza reddito o con redditi già scarsi falcidiati dalla cassa integrazione (per i fortunati che l’hanno ricevuta in tempi ragionevoli) hanno reso incapaci le famiglie di affrontare la principale voce di costo che specie a Milano è rappresentata dalla casa. Per il primo periodo hanno retto risparmiando sulla spesa alimentare, anche grazie agli aiuti che sono stati distribuiti. Ma ora non ce la fanno più»
Gli “sfrattati dal Covid” si aggiungono a coloro che una casa non ce l’hanno mai avuta. Secondo l’ultimo censimento, realizzato nel 2018 dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti, con la consulenza del servizio grave emarginazione di Caritas Ambrosiana, i senza tetto a Milano erano 2.608, dei quali 2.021 ospiti in strutture di accoglienza notturna, 587 individuati in strada.
Proprio quest’ultima quota presumibilmente continuerà ad aumentare, non da ultimo anche a causa della minore recettività che i dormitori potranno offrire a causa delle limitazioni imposte dalle misure sanitarie per contenere la pandemia. La situazione potrebbe diventare molto difficile nei prossimi mesi con l’arrivo del freddo.
«Occorrerà fantasia, coraggio e senso di responsabilità in vista già dei prossimi mesi quando con l’inverno la temperatura scenderà. Quest’anno la cosiddetta “emergenza freddo” non potrà essere affrontata aggiungendo posti in più nelle solite strutture. Bisognerà che Milano, che si è fatta sino ad ora carico della parte maggiore dell’accoglienza, non sia lasciata sola dagli altri comuni, in primo luogo quelli più vicini. Serve almeno un piano metropolitano», sottolinea Gualzetti.
In questa ottica Caritas Ambrosiana continuerà ad offrire ospitalità al Rifugio sotto la Stazione Centrale, ma nel frattempo sta potenziando l’accoglienza fuori città, puntando su strutture di piccole dimensioni dotate, dove possibile, di spazi individuali. A Gallarate è in corso di progettazione un nuovo centro di accoglienza che affiancherà Casa di Francesco (24 posti letto). Il nuovo centro, voluto come voto dalle 10 parrocchie cittadine e finanziato dai fedeli, sarà dotato di mensa, spazio diurno, 3 camere singole e una collettiva per un totale di 10 posti. A Garbagnate Milanese si sta valutando anche l’ipotesi di una micro-struttura. A Lecco nel rione di Maggianico, proprio nel corso dell’emergenza sanitaria, è stato aperto un ostello diurno e notturno con 24 posti, nell’ex convento delle Suore di Maria Bambina.”

Beni confiscati (Foto: web)
22 settembre 2020
Terzo settore e beni confiscati – Con il bando dell’ANBSC, Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati del 31 luglio, gli enti del Terzo settore possono ottenere l’assegnazione diretta di beni confiscati. Oltre 1000 lotti confiscati con un sostegno finanziario di 1 milione di euro. Un risorsa finanziaria che rischia di essere inadeguata. C’è “il rischio che i beni, una volta assegnati, non possano essere utilizzati per mancanza di adeguate risorse finanziarie per le ristrutturazioni e per le spese di gestione delle attività”, ha sottolineato Fondazione CON IL SUD in un comunicato.
“Lo scorso 31 luglio l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) ha pubblicato il primo bando per assegnare i beni “direttamente” ai soggetti del Terzo settore, ovvero senza passare per gli enti locali. Il bando, che scade il 31 ottobre 2020, invita direttamente gli enti non profit a proporre progetti di riuso con finalità sociale. L’iniziativa mette a disposizione oltre 1.000 lotti e complessivamente 1 milione di euro. Il Consiglio di amministrazione della Fondazione CON IL SUD sottolinea e apprezza l’assoluta novità del bando, in particolare lo sforzo innovativo dell’Agenzia di rompere uno schema che, molto spesso, alla prova dei fatti, ha presentato inefficienze strutturali. Il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie risulta strategico per un efficace contrasto al potere mafioso, sia per la loro portata simbolica ma anche economicamente come occasione di sviluppo della comunità che si riappropria di un bene. Lo dimostrano le tante buone pratiche avviate sul territorio nazionale, molte delle quali selezionate e sostenute dalla Fondazione CON IL SUD nelle regioni meridionali (oltre 100 beni valorizzati), che hanno costruito attorno al riuso dei beni confiscati un processo virtuoso di riscatto sociale, di partecipazione e senso di comunità, di attivazione dell’economia civile. In altri termini, azioni di significativo contrasto alle organizzazioni criminali sul terreno a loro caro del consenso. Anche sulla base dell’esperienza fin qui maturata, la Fondazione CON IL SUD ritiene importante e significativa l’azione dell’Agenzia, ma sottolinea il rischio che i beni, una volta assegnati, non possano essere utilizzati per mancanza di adeguate risorse finanziarie per le ristrutturazioni e per le spese di gestione delle attività. La Fondazione propone al Governo di destinare a questo bando 200 milioni di euro per le attività di gestione e valorizzazione dei beni. I 200 milioni, da assegnare all’Agenzia, possono essere attinti da quelli destinati al FUG – Fondo unico giustizia alimentato da liquidità e titoli sequestrati o confiscati alla criminalità organizzata, secondo quanto previsto dall’art. 48, comma 1, lettera A, del Codice antimafia.”

Psicologi (Fonte: Flickr)
26 agosto 2020
Covid-19 e impatto psicologico – Il lockdown ha cambiato le abitudini di tutti, e continua ad incidere sul nostro modo di viviere. L’Ordine degli Psicologi del Lazio ha realizzato un’indagine sulle abitudini di 1222 soggetti intervistati e su come la quarantena dovuta alla pandemia abbia influito sulle principali attività quotidiane. “Il 57% dei soggetti ritiene che, a conclusione dell’emergenza legata al Covid, le modalità relazionali di contatto fisico subiranno un cambiamento significativo nella loro espressione”, si legge nel documento.
Di seguito, parte dell’indagine COV-Habits.
“COV-Habits è un’indagine esplorativa promossa dall’Ordine degli Psicologi del Lazio e finalizzata a meglio comprendere i cambiamenti sopravvenuti durante il periodo di lockdown causato dalla pandemiaCOVID-19 in alcune aree significative della vita quotidiana (Alimentazione, Affettività e Sessualità, Attività Motoria e Sportiva). L’80% è di genere femminile, il 19,7% di genere maschile, mentre il restante 0,2% si dichiara Non-Binary. Per la maggior parte (provenienti, ndr) dalla Regione Lazio(66,3%), mentre al secondo posto troviamo la Regione Lombardia (4,4%). La popolazione intervistata è occupata (oltre il 70%). Quasi il 10% dei partecipanti risulta disoccupato. Il 5,5% è in cassa integrazione. La maggior parte delle persone che hanno risposto alla presente indagine hanno vissuto l’isolamento in coppia (il 30,3% senza figli, mentre il 26,6% con i figli).
Data la straordinarietà di quanto stiamo vivendo, al momento non è possibile conoscere con certezza quale sarà l’impatto a medio e lungo termine di questo periodo sul benessere individuale e sociale della popolazione italiana, ma circa il 70% dei partecipanti pensa che nel prossimo futuro aumenterà la richiesta di servizi psicologici, a causa del prolungarsi di vissuti legati all’ansia, stress e depressione. Inoltre, il concetto di “distanziamento” ha profondamente influenzato l’incontro con l’Altro al punto che ben il 57% dei soggetti ritiene che, a conclusione dell’emergenza legata al Covid, le modalità relazionali di contatto fisico (es. abbracci,strette di mano, baci, etc) subiranno un cambiamento significativo nella loro espressione.
ALIMENTAZIONE
La quantità di cibo assunta in lockdown è mutata rispetto alle abitudini. E’ aumentata per il 43,3% degli intervistati e solo il 10,4%, al contrario, riferisce di aver assunto meno cibo. Il 23,5% dei rispondenti ritiene di aver assunto cibo per un bisogno più emotivo che fisico.
SESSUALITA’
Solo il 9,7% delle persone ha registrato un aumento dell’attività sessuale, soprattutto tra i 31 e i 40 anni, mentre circa un terzo dei soggetti (32,7%) ne ha riportato una minore intensità se confrontata ai mesi precedenti, in particolare nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 30 anni. Questi dati possono essere ipoteticamente spiegati in base alle condizioni di convivenza. In linea con questo quadro risulta atteso,dunque, come siano stati proprio i più giovani (in particolare nella fascia di età tra i 18 e i 30 anni) ad aver dichiarato un utilizzo più frequente rispetto al solito delle applicazioni di dating (+3%) della pornografia online (+ 8,1%) e del sexting (+7,5%). Per quanto riguarda le coppie conviventi,invece, la creazione improvvisa di nuovi spazi condivisi ha consentito una ridefinizione della quantità e della qualità del tempo a disposizione. Questa nuova condizione può aver contribuito – da una parte – a favorire una più giocosa intimità e vicinanza tra i partner, ma – dall’altra – può aver rafforzato tensioni pregresse a causa del vissuto generale di stress, con conseguente calo della libido, difficoltà di eccitazione, irritabilità e nervosismo. Interessante, infine, la scelta delle emozioni riportate in relazione alla sessualità nel periodo dell’isolamento. I dati evidenziano che alla base della ricerca di spazi di intimità sessuale (individuali e di coppia), non siano stati solo il Piacere e lo Svago ma anche emozioni quali la Noia, il Nervosismo, la Tristezza e l’Ansia.
ATTIVITA’ FISICA
La maggior parte dei rispondenti dichiara di aver compensato il tempo impiegato per i propri spostamenti con altro tipo di attività fisica (59,4%). Il 43,9% dei partecipanti riporta di essere preoccupato di un peggioramento della propria forma fisica dall’inizio dell’isolamento.
Le emozioni che maggiormente hanno dominato questo periodo sono state l’ansia, la paura, la tristezza, la noia e – con il passare del tempo –l’irritazione. Tutte condizioni faticose per la nostra mente che hanno trovato nel cibo, nell’intimità e nello sport un loro spazio di espressione, più o meno funzionale. In alcune occasioni, infatti, si è riusciti a dedicare nuova passione e attenzione alla cura di sé e della propria sfera relazionale, in altri casi, invece, sono emerse fragilità specifiche che hanno favorito la messa in atto di comportamenti rischiosi. Pertanto, potrebbe essere utile:
- allenarsi a riconoscere cosa scatena la nostra fame e cosa davvero ci sta rendendo inquieti;
- imparare a riconoscere le proprie emozioni al fine di poterle gestire al meglio e con i giusti comportamenti. Ciò consentirà di individuare i nostri reali bisogni e a non confondere la fame biologica con quella emotiva;
- creare degli spazi di comunicazione efficace all’interno della coppia e riconoscere che emozioni quali la noia, la tristezza e la rabbia – se adeguatamente accolte – possono rappresentare dei motori di crescita della propria vita relazionale e sessuale
- riconoscere che le nuove tecnologie applicate all’erotismo possono aumentare il livello di intimità e confidenza ma, se non adeguatamente utilizzate, rappresentano anche una fonte di rischio per sé e per l’altro. È fondamentale, quindi, sviluppare una giusta conoscenza e attenzione del mezzo e promuovere un maggior rispetto di sé, della propria intimità e del proprio corpo;
- imparare a utilizzare e gestire il tempo per dedicarsi ad attività positive in grado di far recuperare energia, sfogare frustrazioni e aumentare il benessere (con particolare attenzione all’attività fisica,allo yoga, alla meditazione);
- facilitare lo svolgimento dell’esercizio fisico sfruttando supporti tecnologici come app e social network, preziosi sia per le competenze tecniche di chi li offre sia per l’aspetto di socializzazione a distanza che permettono anche online.”

Scheda Rapporto 2019 Periferie lontane
21 agosto 2020
Diritto alla casa e sgomberi – Nell’agosto di sgomberi programmati da Roma Capitale, che la scorsa settimana ha visto lo smantellamento dell’insediamento di via del Foro Italico abitato da 130 persone e ieri ha visto sospeso lo sgombero del campo della Monachina, il punto sulla realtà degli insediamenti rom e sul relativo Piano Rom. “Diversi insediamenti sono stati chiusi nel 2019, ma ciò non corrisponde necessariamente ad una risoluzione definitiva della problematica”, si legge nel Rapporto annuale 2019 Periferie Lontane dell’Associazione 21 Luglio.
Di seguito parte del Rapporto. Qui il documento completo.
“Malgrado i 119 insediamenti formali monoetnici mappati nel nostro Paese nel 2019, già da un biennio si rileva una debole attitudine verso il superamento degli stessi da parte delle autorità locali. I dati e le osservazioni sembrano far emergere nel 2019 il consolidamento della tendenza. (…) Sempre più amministrazioni comunali, al di là del colore politico, dimostrano consapevolezza sull’ importanza di porre fine sul proprio territorio a questi spazi di segregazione su base etnica che, oltre a non garantire i diritti fondamentali, comportano un esborso economico considerato insostenibile.
In diversi contesti territoriali, come vedremo, è stato l’intervento giudiziario volto a rilevare gravi condizioni igienico sanitarie a dare il là ad interventi di chiusura. In alcune città questi sono stati organizzati e condotti secondo una pianificazione con tempistiche dilatate nel medio-lungo periodo; in altri comuni le azioni di chiusura si sono rivelate particolarmente affrettate perché realizzate anche e soprattutto sulla spinta di promesse elettorali formulate nel passato. Come si leggerà nelle pagine
che seguono, diversi insediamenti sono stati chiusi nel 2019, ma ciò non corrisponde necessariamente ad una risoluzione definitiva della problematica.
Di per sé chiudere un insediamento monoetnico significa semplicemente fare in modo che un’area degradata precedentemente occupata da una
comunità umana risulti libera dalla stessa. Attivarsi per la chiusura può comportare lo sgombero degli abitanti con contestuale abbattimento delle loro abitazioni; può tradursi nell’esercitare un’azione di pressione affinché le persone se ne vadano autonomamente; può rappresentare il tentativo
riuscito, a fronte di un incentivo economico una tantum, di convincere le persone a spostarsi volontariamente in altri luoghi, in altri comuni, in
altre regioni. Malgrado l’apparenza, queste azioni si traducono, come vedremo, nel limitarsi a “nascondere la polvere sotto il tappeto” anche se, nel breve periodo, può pagare in termini di consenso elettorale.
Chiudere un insediamento può anche voler dire superarlo e ciò implica per un’Amministrazione intraprendere un percorso coraggioso, lungo e
articolato che richiede capacità di analisi; ascolto degli stakehokder; mediazione con le comunità rom interessate; dialogo con ogni singola famiglia; individuazione dei migliori percorsi di inclusione avendo davanti gli assi raccomandati dalla Strategia Nazionale quali quello dell’insediamento; accompagnamento nella nuova collocazione; sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Come segnalato lo scorso anno, quando alcune amministrazioni avevano portato a termine con successo e non senza fatica tale percorso, anche per il 2019 è doveroso segnalare azioni virtuose intraprese in tale direzione.
Nel panorama nazionale si segnala, in controtendenza con quanto riportato sopra, un tentativo di organizzare un “centro di raccolta rom” – vale a
dire un insediamento monoetnico all’interno di una struttura abitativa – da parte del Comune di Roma.
Quello del “centro di raccolta rom” rappresenta nella Capitale un dispositivo abitativo ideato per la prima volta nel 2009 e realizzato negli anni successivi in tre diverse strutture della città di Roma, poi chiuse
a seguito dell’inchiesta denominata “Mafia Capitale”.
Come si leggerà più approfonditamente nel capitolo successivo, malgrado il Piano della Giunta Capitolina preveda al suo interno il «graduale superamento delle residenzialità dei campi, dei centri di raccolta
e dei villaggi della solidarietà presenti nel territorio capitolino» il 1° aprile 2019 viene inaugurata nella Capitale una struttura finalizzata all’accoglienza di sole persone identificate come rom in via dei
Codirossoni, nel quartiere di Torre Maura. Dopo le proteste avvenute nei giorni immediatamente successivi l’immobile non è stato più destinato all’uso originario anche se resta, come documentato in un bando per il superamento del “villaggio” di Castel Romano, da parte della Giunta guidata dalla sindaca Virginia Raggi la volontà di continuare a optare per tale opzione segregante e discriminatoria. (…)
L’insediamento La Barbuta, nel Comune di Roma, è nato nel 1996 per l’accoglienza dei rom di origine ex jugoslava e i sinti italiani sgomberati dai “campi” di via Scintu, via Vignali, via Rapolla, via Pelizzi, via Procaccini. Nel 2012, in piena “Emergenza Nomadi” è stato realizzato sulla stessa area un “villaggio attrezzato” per l’accoglienza di 550 persone di
origine ex jugoslava.
L’insediamento della Monachina è invece considerato un “campo tollerato”, collocato nella periferia settentrionale della Capitale e abitato da un
centinaio di persone di origine ex jugoslava.
Il “villaggio” di Castel Romano è nato nel 2005 e negli anni si è ampliato fino a diventare, tra il 2010 e il 2018, il più grande insediamento formale monoetnico italiano. Nel 2019 conta poco più di 500 persone, tutte di origine bosniaca.
Con la Deliberazione n.10577 del 26 maggio 2017 la Giunta Capitolina ha autorizzato per la durata di due anni e in modo sperimentale l’implementazione del Piano di inclusione rom nel “villaggio attrezzato” La Barbuta oltre che in quello “tollerato” della Monachina. L’obiettivo generale previsto per l’ente chiamato a gestire il superamento del “villaggio” «è quello di sostenere percorsi relativi alla fuoriuscita degli ospiti dei campi La Barbuta e Monachina. Tali percorsi prevedono l’implementazione di misure
sistematiche volte al raggiungimento di una progressiva inclusione sociale, economica ed abitativa in vista della chiusura dei campi»78. La data ultima prevista per il superamento de La Barbuta è il 31 dicembre 2020 e il 30 marzo 2021 per la Monachina con un impegno di spesa complessivo di
3.800.000 euro.
L’8 maggio 2019 il Comune di Roma rende pubblica una “Procedura aperta per l’affidamento del Progetto di inclusione sociale per le persone rom, sinti e caminanti e superamento del villaggio attrezzato Castel Romano”79 con l’obiettivo di chiudere l’insediamento entro il 30 novembre 2021 per un impegno di spesa di 1.800.000 euro. Oltre ad essi l’Amministrazione Capitolina intende erogare in tre anni la somma di 1.500.000 euro per contributi economici rivolti alle famiglie coinvolte nelle azioni
di inclusione”.

Accoglienza e sostegno “nuove povertà”. (Foto: web)
27 luglio 2020
Covid-19 e nuova povertà – Crescita della povertà, economica e sociale. Nella seconda rilevazione nazionale, condotta da Caritas Italiana dal 3 al 23 giugno, è emerso un aumento dei problemi legati alla perdita del lavoro. “Le persone accompagnate e sostenute da marzo a maggio risultano quasi 450.000. Di queste il 34% sono “nuovi poveri”, cioè persone che per la prima volta si sono rivolte alla Caritas”, si legge nel comunicato dell’organismo pastorale della Cei.
Di seguito l’estratto del comunicato stampa.
“L’indagine, attraverso un questionario strutturato destinato ai direttori/responsabili Caritas, ha approfondito vari ambiti: come cambiano i bisogni, le fragilità e le richieste intercettate nei Centri d’ascolto e nei servizi Caritas; come mutano gli interventi e le prassi operative delle Caritas alla luce di quanto sta accadendo; qual è l’impatto del Covid19 sulla creazione di nuove categorie di poveri; qual è l’impatto dell’attuale emergenza su volontari e operatori. I dati raccolti si riferiscono a 169 Caritas diocesane, pari al 77,5% del totale. Rispetto alla situazione ordinaria nell’attuale fase il 95,9% delle Caritas partecipanti al monitoraggio segnala unaumento dei problemi legati alla perdita del lavoro e delle fonti di reddito, mentre difficoltà nel pagamento di affitto o mutuo, disagio psicologico-relazionale, difficoltà scolastiche, solitudine, depressione, rinuncia/rinvio di cure e assistenza sanitaria sono problemi evidenziati da oltre la metà delle Caritas.
Nel dettaglio rispetto alle condizioni occupazionali si sono rivolti ai centri Caritas per lo più disoccupati in cerca di nuova occupazione, persone con impiego irregolare fermo a causa della pandemia, lavoratori precari/saltuari che non godono di ammortizzatori sociali, lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione ordinaria/cassa integrazione in deroga, lavoratori autonomi/stagionali in attesa del bonus 600/800 euro, pensionati, inoccupati in cerca di prima occupazione, persone con impiego irregolare, casalinghe.
Altre questioni evidenziate sono: problemi burocratici/amministrativi, difficoltà delle persone in situazione di disabilità/handicap, mancanza di alloggio in particolare per i senza dimora, diffusione dell’usura e dell’indebitamento, violenza/maltrattamenti in famiglia, difficoltà a visitare/mantenere un contatto con parenti/congiunti in carcere, diffusione del gioco d’azzardo/scommesse. Fondamentale accanto all’impegno degli operatori è stato l’apporto di migliaia di volontari tra cui molti giovani che nella fase acuta della pandemia hanno garantito la prosecuzione dei servizi sostituendo molti over 65 che in via precauzionale rimanevano a casa. Tra operatori e volontari sono stati 179 quelli positivi al Covid-19, di cui 95 ricoverati e 20 purtroppo deceduti. Piccoli segnali positivi arrivano dal 28,4% delle Caritas che, dopo il forte incremento dello scorso monitoraggio, con la fine del lockdown hanno registrato un calo delle domande di aiuto. Non tutte le Caritas interpellate hanno quantificato con precisione le persone accompagnate e sostenute da marzo a maggio, che comunque, dalle risposte parziali pervenute, risultano quasi 450.000, di cui il 61,6% italiane. Di queste il 34% sono “nuovi poveri”, cioè persone che per la prima volta si sono rivolte alla Caritas. 92.000 famiglie in difficoltà hanno avuto accesso a fondi diocesani, oltre 3.000 famiglie hanno usufruito di attività di supporto per la didattica a distanza e lo smart working, 537 piccole imprese hanno ricevuto un sostegno. Complessivamente – grazie al fiorire di iniziative di solidarietà e al contributo che la Conferenza Episcopale Italiana ha messo a disposizione dai fondi dell’otto per mille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica – i servizi forniti sono stati molteplici: dispositivi di protezione individuale/fornitura igienizzanti, pasti da asporto/consegne a domicilio, servizi di ascolto e accompagnamento telefonico, acquisto farmaci e prodotti sanitari, ascolti in presenza su appuntamento, supporto/orientamento rispetto alle misure messe in atto dalle amministrazioni/governo, assistenza domiciliare, attività di sostegno per nomadi, giostrai e circensi, servizi di supporto psicologico, rimodulazione dei servizi per senza dimora, accompagnamento alla dimensione del lutto, sportelli medici telefonici, aiuto per lo studio/doposcuola, alloggio per quarantena/isolamento, presenza in ospedale/Rsa, accoglienza infermieri e medici.”

Avvocato di Strada onlus
13 luglio 2020
Diritti e senza fissa dimora – I richiedenti asilo potranno prendere la residenza anagrafica. La battaglia dell’Associazione onlus Avvocato di Strada ha portato ad un risultato da tempo atteso per la tutela dei senza fissa dimora. “Lo stato di diritto non si può stravolgere in nome di un populismo e un razzismo malcelati”, ha dichiarato il presidente dell’associazione Antonio Mumolo.
Il Comunicato dell’associazione:
“Il coronamento di una battaglia che abbiamo portato avanti nei Tribunali di tante città italiane”. Il Presidente dell’Associazione Avvocato di strada Antonio Mumolo commenta così il pronunciamento della Corte Costituzionale che oggi ha dichiarato irragionevole, e incostituzionale, la norma del Decreto sicurezza che preclude l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo.
“Non consentire ai richiedenti asilo di prendere la residenza anagrafica – sottolinea Mumolo – non serviva a nulla se non ad escludere ancora di più persone che vivono già in fortissima difficoltà e che senza residenza non possono cercare lavoro, aprire un conto in banca, ottenere un documento di identità”.
“Dopo aver inutilmente segnalato l’incostituzionalità della norma abbiamo portato la nostra battaglia in Tribunale ottenendo sempre delle vittorie. La decisione della Corte Costituzionale, conclude Mumolo – mette la parola fine su una brutta pagina durata fin troppo. Siamo felici per questa vittoria e per questa conferma: lo stato di diritto non si può stravolgere in nome di un populismo e un razzismo malcelati”.

Beni confiscati alla mafia (Foto: web)
15 giugno 2020
Progetti e Legalità – In arrivo dall’Agenzia Nazionale dei beni confiscati il primo bando per l’assegnazione diretta di beni immobili confiscati al Terzo Settore. Beni immobili che si stima “superiore alle 2-3mila unità immobiliari”, dice il presidente dell’Agenzia Bruno Frattasi.
“Il consiglio direttivo dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) ha approvato i criteri per la predisposizione del primo bando per l’assegnazione diretta al Terzo settore di beni immobili confiscati in via definitiva. Il direttore dell’Anbsc, Bruno Frattasi sottolinea che potrebbe interessare un «consistente numero di beni che si stima, al momento, superiore alle 2-3mila unità immobiliari».
Gli enti e le associazioni interessati potranno presentare ora progetti di funzionalizzazione e di recupero dei beni confiscati in relazione a cinque aree tematiche, che vanno dal sociale, alla ricerca e occupazione, dalla salute e la prevenzione alla cultura e alla sicurezza e legalità.
Un passo importante, quindi, per valorizzare la capacità propositiva dei soggetti appartenenti al Terzo settore, nell’ottica della sussidiarietà e di solidarietà che sono tra i valori ispiratori della normativa sui beni confiscati alle mafie.
Una clausola preferenziale è prevista, in ogni caso, per quelle iniziative progettuali in materia di welfare sociale sostenute da Amministrazioni locali con una partnership che preveda anche la disponibilità ad acquisire la proprietà del bene.
Per quanto riguarda i finanziamenti, il bando prevede che ai progetti maggiormente meritevoli possa essere garantito un contributo fino a cinquantamila euro, a valere sulle risorse dedicate dalla ultima legge di Bilancio che ha stanziato per il triennio 2020-2022 un milione di euro per ciascuna annualità.
«Abbiamo applicato una recente norma del Codice Antimafia- spiega Frattasi – ed è indirizzata a tutti i soggetti del terzo settore che potranno portare i loro progetti per scopi sociali, come consultori, centri per disabili, per il disagio giovanile, ma anche per scopi culturali. Il bando, continua Frattasi, prevede criteri e condizioni di ammissibilità che andranno verificate nel merito, ma anche dal punto di vista della sostenibilità finanziaria.
Il nostro contributo, dice il direttore, oltre al bene immobile messo a disposizione, consisterà anche di somme in denaro già finanziate per questo triennio».”

Indagine sulle riaperture post-Covid – Confcommercio
7 giugno 2020
Covid-19, riaperture e imprese – Dopo il lungo periodo di chiusura, molte imprese e attività commerciali hanno subito anche l’intrusione della criminalità organizzata e dell’usura, come ulteriori ostacoli alla riprese delle attività. “Ancora oggi quasi 1 impresa su 3, di fronte a questi fenomeni criminali, non sa cosa fare”, spiega un’indagine di Confcommercio sul post-Covid.
“Carenza di liquidità e calo dei consumi hanno rappresentato il principale ostacolo all’attività di impresa durante l’emergenza sanitaria mettendo in difficoltà il 60% delle imprese del commercio e della ristorazione; quasi il 30%, invece, tra burocrazia e le necessarie procedure di sanificazione, igienizzazione e altri protocolli di sicurezza, ha visto incrementare i costi; ma c’è anche un 11% di imprese che indica nella criminalità un ulteriore, pericoloso ostacolo allo svolgimento della propria attività; in particolare, circa il 10% degli imprenditori, in questo periodo, risulta esposto all’usura o a tentativi di appropriazione ‘anomala’ dell’azienda, ma la percentuale cresce fino a quasi il 20% per quegli imprenditori che sono molto preoccupati per il verificarsi di questi fenomeni nel proprio quartiere o nella zona della propria attività; i due terzi delle imprese giudicano comunque efficaci le azioni di contrasto delle forze dell’ordine e della magistratura e ritengono fondamentale ricorrere alla denuncia, ma ancora oggi quasi 1 impresa su 3, di fronte a questi fenomeni criminali, non sa cosa fare.
Questi, in sintesi, i principali risultati che emergono da un’indagine sull’infiltrazione della criminalità organizzata nelle imprese del commercio e della ristorazione durante e dopo il lockdown realizzata da Confcommercio in collaborazione con Format research.
Gli aspetti problematici dell’attuale frangente sono ben presenti agli imprenditori. Le questioni strettamente economiche sono le più importanti per l’equilibrio aziendale e quindi per la vitalità dell’attività produttiva:liquidità e calo di domanda.
Il 30% delle risposte punta, invece, al tema dei costi: la solita burocrazia e le pure necessarie procedure di sanificazione, distanziamento, igienizzazione e altri protocolli di sicurezza che comunque costituiscono un incremento dei costi fissi dell’imprenditore.
Completa il quadro degli ostacoli auto-percepiti il tema della criminalità. Che aggreghi l’11% delle risposte è, da una parte, garanzia di affidabilità dei risultati nel senso che le domande sono state ben comprese e che la paura è controllata sul piano macro-settoriale; dall’altra, è piuttosto grave vedere comparire la criminalità tra gli ostacoli all’attività d’impresa
Le domande in relazione all’usura e ai tentativi subdoli di appropriazione dell’azienda da parte di soggetti criminali sono state poste con riferimento all’eventuale conoscenza dei fenomeni sperimentati da altri, distinguendo i diversi canali attraverso cui la notizia è pervenuta.
Naturalmente è la conoscenza personale – “mi è stato raccontato, ne ho sentito parlare” – quella che conta. È un risultato notevole che questa forma di conoscenza sia più diffusa rispetto all’acquisizione della notizia attraverso i mezzi di comunicazione. Anzi, questi ultimi sembrano trattare l’argomento meno di quanto dovrebbero se la stima del 9,8% di soggetti che ne ha conoscenza diretta è verosimile. A nostro avviso lo è, visto che se ne ha riscontro nell’analoga frazione di risposte sulla criminalità come problema nella gestione attuale delle imprese.
Pertanto, il 9,8% può essere acquisito non come stima del tasso di vittimizzazione, ma come indice della potenziale gravità del fenomeno nel senso dell’esposizione all’usura delle micro e piccole imprese del terziario di mercato in questo frangente storico.
A fronte di una media del 9,8% sul totale campione, il 13,1% dei ristoratori e dei proprietari di bar dichiara di avere sentito personalmente notizie di pressioni usuraie su imprese del proprio settore e della propria zona. Anche quest’evidenza è coerente con le attese a priori:più fragile è l’impresa, più elevata è la pressione. E i settori del food away from home sono certamente quelli che più hanno sofferto e più stanno soffrendo perdite di fatturato e di reddito, diventando così più esposti alle pressioni della criminalità.
Una percentuale analoga (8,8%;) a quella registrata per l’usura si rileva rispetto alla notizia acquisita attraverso canali personali per quanto riguarda le imprese che hanno subito dei tentativi di essere acquisite per un prezzo fuori mercato, ossia molto inferiore o molto superiore a quello reale, sempre nella medesima zona dove operano con la propria attività. La notizia di accadimenti del genere è stata appresa in prevalenza, anche in questo caso, attraverso il passaparola tra imprenditori.
Non deve stupire la formulazione della domanda nei termini di “prezzi fuori mercato”. Prezzi troppo bassi o troppo elevati indicano un’anomalia nel libero gioco delle forze imprenditoriali; prezzi troppo elevati, per esempio, tradiscono sovente l’intento acquisitivo di attività reali finalizzato al riciclaggio, un tema, purtroppo, non nuovo nel panorama italiano.
Come nel caso dell’usura, gli imprenditori impegnati nella ristorazione o nella gestione di un bar mostrano un’accentuazione significativa nell’autodichiarazione di conoscenza di notizie di tentativi criminali attraverso canali personali: rispetto alla media del campione dell’8,8%, la conoscenza in questo settore raggiunge il 14,5%. La fragilità dell’impresa ne accresce l’esposizione ad acquisizioni da parte di soggetti criminali.
Sintetizzando le risposte sui due fenomeni, il risultato robusto che si ottiene è che una frazione prossima al 10% degli imprenditori appare esposta a pressioni della criminalità, almeno per quanto riguarda i due specifici temi dell’acquisizione anomala dell’attività e del prestito a usura.
Ma, al di là delle modalità con cui gli imprenditori ne sono venuti a conoscenza, circa il 60% degli imprenditori esprime preoccupazione per questi fenomeni, soprattutto in un momento di gravissima crisi economica come quello attuale. E di questi, quasi 1 su 5 è molto preoccupato per il verificarsi di questi atti criminali nel proprio quartiere o nella zona dove svolge la propria attività.
Il 67,4% delle imprese intervistate ritiene, comunque, “molto” o “abbastanza” efficace l’azione delle Forze dell’ordine e della Magistratura, per contrastare l’azione della criminalità contro le imprese e il 66% del campione ritiene “molto” o “abbastanza” efficaci le diverse forme di collaborazione in atto tra Autorità centrali e locali, Forze dell’Ordine e Magistratura da una parte e Associazioni di categoria degli imprenditori e altre forze della società civile dall’altra per contrastare l’azione della criminalità ai danni delle imprese.
Il 60% circa degli intervistati ritiene che l’imprenditore che si trova alle prese con i fenomeni criminali dell’usura e del tentativo della malavita di impadronirsi delle imprese deve denunciare subito alle Forze dell’Ordine o comunque alla Magistratura il reato del quale è rimasto vittima. Il 33% delle risposte indica un’assenza di strategie rispetto alle pressioni criminali (“non saprei cosa fare”) e solo un’esigua minoranza appare completamente sfiduciata (“non si dovrebbe fare niente poiché è inutile”).”

Caregiver familiari (Foto: web)
27 maggio 2020
Disabilità e Caregiver – La Federazione First torna a chiedere con urgenza una legge che tuteli la figura del caregiver familiare. Nei mesi di lockdown, i familiari nel ruolo di caregiver si sono fatti carico, interamente, dell’assistenza a chi è disabile. Senza tutele, anche economiche. “La spesa sociale non può tenere fuori il vero welfare familiare di chi si prende cura e assistenza di una persona con disabilità grave”, spiega nel suo comunicato la First rivolgendosi alla Commissione del Senato Lavoro pubblico e privato e Previdenza sociale.
“Gentile Presidente Senatrice Maria Assunta Matrisciano, gentili ed egregi Senatori dell’ 11 commissione, il periodo pandemico ha messo a durissima prova i Caregiver che si sono dovuti completamente fare carico da soli dei loro cari in un momento in cui tutti i sostegni, aiuti, assistenze che, a vario titolo sono garantiti alle persone con disabilità, sono state sospese e interrotte.
Le misure di sostegno anche monetarie adottate dal Governo alle varie categorie di persone, imprese, lavoratori dipendenti e autonomi, non hanno riguardato quella categoria di persone che spesso viene definita invisibile e di fatto lo è, che sono i Caregiver.
La spesa sociale non può tenere fuori chi di fatto costituisce il vero welfare familiare di chi si prende cura e assistenza di una persona con disabilità grave.
Queste famiglie hanno retto da sole tutto il carico e la responsabilità gravosa di sostegno nei confronti delle persone con disabilità, in un momento in cui, come detto, tutto è stato sospeso.
Non è stato facile, anzi è stato tremendamente difficile, ma il welfare familiare ha sopperito alla carenza dei detti sostegni come meglio si è potuto.
La mancata approvazione del disegno di legge n. 1461, pendente presso la detta commissione, probabilmente ha impedito che i Caregiver potessero essere destinatari di misure di aiuto economico diretto, in quanto manca, ancora ad oggi, quel percorso di riconoscimento giuridico – amministrativo previsto dalla legge della figura del Caregiver, che avrebbe reso in modo evidente chi e quanti sono i Caregiver che avrebbero diritto ad essere riconosciuti come tali.
E allora, se ciò è vero, si proceda senza più perdere tempo ad adottare la legge; sono stati depositati molti contributi per renderla migliore e più aderente alle vere necessità dei Caregiver.
Non c’è più un solo momento da perdere.
Ricordiamo che neppure i fondi stanziati nel tempo per i Caregiver, seppure largamente insufficienti, possono essere spesi se non viene approvata la legge.
Di conseguenza la FIRST chiede al Presidente della 11 commissione di calendarizzare al più presto il disegno di legge, al fine di procedere alla sua rapida approvazione, accogliendo quegli apporti che non solo la FIRST, ma anche altri hanno fornito per un miglioramento del testo normativo per renderlo più aderente alle effettive condizioni di vita dei Caregiver.”

Classi di scuola elementare (Foto: web)
11 maggio 2020
Covid-19 e scuola – Da due mesi la didattica a distanza (DAD) coinvolge milioni di bambini e ragazzi e migliaia di docenti. Tre maestre di una scuola primaria sarda hanno fatto una petizione chiedendo una “Scuola sicura per tutti”. E guardando alla riapertura delle scuole chiedono che “la Scuola italiana non venga ridotta ad un ‘ufficio virtuale’ dove le dinamiche affettive tra insegnanti, alunni e altro personale siano equiparate a semplici ‘atti formali’.”
La scuola ‘a distanza’, non è per tutti: è per i pochi che possiedono i mezzi e un adeguato supporto famigliare; non raggiunge coloro che, anche tra i banchi, faticano a seguire; è un blando palliativo che consegna solo nozioni e dimentica le relazioni, non contemplando quanto di più educativo ci sia dentro una classe, tra i corridoi, in una palestra o in un cortile scolastico: il rapporto umano.
La privazione, subìta dai bambini, di una socialità indispensabile, del contatto diretto con compagni e docenti, non può, infatti, venir compensata da dei, pur ingegnosi, “tele-docenti”!
Noi insegnanti, assai preoccupati, oggi più di ieri, vogliamo sollevare la mano, come fino a poco tempo fa insegnavamo ai nostri alunni, per dire “NO” a questo scempio di D.a.D. fatto passare per innovazione tecnologica; “NO” alle arbitrarie disposizioni/imposizioni in merito, dei singoli Dirigenti Scolastici!
“NO” alla didattica a distanza come impersonale sostituta di quella in presenza, nel processo d’insegnamento/apprendimento; “NO” a questa (proficua) operazione di mercato, che foraggia sempre più il concetto di Scuola Azienda.
“NO” alla recentissima trovata della didattica ‘mista’ (un po’ a in presenza, un po’ a distanza) per gli stessi motivi sopraelencati!
“NO” ai grandi sindacati che su queste operazioni oggi tacciono, ma già da tempo erano silenti davanti allo smantellamento della Scuola pubblica, in accordo con qualunque governo si sia avvicendato fin’ora.
“Sì”, invece, agli articoli 33 e 34 della Costituzione.
“SÌ” ai maestri e ai professori che lasciano un segno vivo nei loro discenti, all’insegna non della visibilità mediatica o dell’addestramento a taluni quiz ‘oggettivi’ di valutazione, ma della loro professionalità e competenza, nonché onestà intellettuale!
Davvero si vorrebbe far credere all’opinione pubblica che i mali della nostra Scuola derivino dall’arretratezza tecnologica del corpo docente italiano? Davvero si vorrebbe far intendere che quei mali non siano, al contrario, le classi ‘pollaio’, la soppressione di migliaia di plessi in nome del‘fare economia’, le ‘cattedre spezzatino’, il precariato a vita, gli edifici mai del tutto a norma ecc ?
Qui non si tratta solo del problema (serissimo) della pandemia causata dal Coronavirus, anche se è stato quest’ultimo, purtroppo, a evidenziare ulteriormente la situazione in cui versa la Scuola italiana – resa ancor più insostenibile dalle ultime riforme (l. 107/2015, ad esempio) concepite dal legislatore con l’ausilio di commissioni di esperti: ma se gli esperti siamo noi che ci “abitiamo” a scuola, perché non ci si permette di collaborare attivamente alla ricerca di soluzioni concrete per migliorare questo nostro settore?
Invece, da decenni, noi insegnanti, e con noi i nostri alunni e figli, stiamo subendo supinamente questo sfacelo (e senza il supporto delle sigle sindacali che contano)!
Basta, quindi, considerarci fannulloni soltanto perché non produciamo beni di consumo: noi “produciamo”, se così si può dire, menti pensanti, in grado (si spera) di vagliare in maniera critica la realtà circostante.
Basta con l’essere continuamente definiti assenteisti ogni qualvolta ci avvaliamo del diritto di scioperare: quando protestiamo, infatti, non siamo in vacanza (definizione sbrigativa per liquidare la questione) e ci viene decurtata una certa somma dal salario (a proposito … Perché non devolvere tale somma a sostegno della Scuola stessa?).
E ancora … ci spiace che si parli di noi come di eterni lavativi col pretesto del nostro ‘leggero’ orario di lavoro (non così leggero, poi, se confrontato con quello di altre Scuole europee di tutto rispetto).
Solleviamo dunque la mano, ancora una volta, con la ferma volontà di non arrenderci, per chiedere, sostenuti in questo dai Cobas Scuola Sardegna,
che lo Stato garantisca a TUTTI – alunni, docenti, personale ATA – le condizioni più sicure per tornare quanto prima tra i banchi;
che la Scuola italiana non venga ridotta ad un “ufficio virtuale” dove le dinamiche affettive tra insegnanti, alunni e altro personale siano equiparate a semplici “atti formali”.
che si cominci a pensare di poter “utilizzare questa emergenza per […] invertire la rotta rispetto alle devastanti riforme subìte dalla scuola negli ultimi vent’anni e investire seriamente in essa
– ABBATTENDO IL NUMERO DI ALUNNE/I PER CLASSE,
– FORNENDO ADEGUATE RISORSE PER IL PROPRIO FUNZIONAMENTO,
– PREVEDENDO UN PIANO STRAORDINARIO DI EDILIZIA SCOLASTICA,
– GARANTENDO EFFETTIVAMENTE IL DIRITTO ALLO STUDIO (TRASPORTI, CONVITTI, MENSE),
– ASSUMENDO TUTTO IL PERSONALE PRECARIO, DOCENTE E ATA CHE NE HA DIRITTO E, CHE DA ANNI, “TIRA LA CARRETTA” NELLE SCUOLE PUBBLICHE.”
Questo è quanto chiediamo per riappropriarci della nostra dignità d’insegnanti, rendendoci disponibili in qualunque momento ad un leale confronto, con governanti e sindacati, basato sulle reali esigenze della nostra Scuola pubblica.
Torpè, Siniscola, Budoni,
Giovanna Magrini, Lourdes Ledda, Daniela Marra”

Assistenti all’autonomia e comunicazione (Foto: web)
2 maggio 2020
Covid-19, disabilità e scuola – All’indomani della Festa dei lavoratori la richiesta di stabilizzare una figura importante all’interno della scuola, gli assistenti all’autonomia e comunicazione. In un comunicato, la Federazione FIRST chiede che questi lavoratori vengano internalizzati nel MIUR ricordando che “senza il loro supporto il processo e il percorso di inclusione scolastica degli alunni non è effettivamente e pienamente possibile e realizzabile, gli effetti sono sotto gli occhi di tutti”.

Avvocato di Strada Onlus
8 aprile 2020
Covid-19, dormitori e invisibilità – Una “emergenza nell’emergenza”, la situazione attuale dei dormitori che ospitano tanti senza fissa dimora. L’associazione Avvocato di strada Onlus ha rinnovato con una lettera la richiesta di intervenire per salvaguardare la salute di chi non ha una casa. “Speriamo di essere ascoltati e che nell’emergenza gli ultimi non vengano dimenticati” ha affermato Antonio Mumolo, presidente dell’associazione di avvocati volontari.
“Noi volontari dello sportello di Bologna dell’associazione nazionale denominata ‘Avvocato di strada Onlus’, con la presente, intendiamo sottoporre alla Vostra attenzione la grave situazione in cui versano le strutture di bassa soglia (dormitori): una vera e propria “emergenza nell’emergenza”. Per questo chiediamo dei provvedimenti urgenti e indifferibili (oltre che sistematici) poiché, fino ad oggi, non è stata prestata adeguata e tempestiva attenzione ai dormitori e, di conseguenza, ai cittadini che ne fruiscono (i senza fissa dimora), oltre a coloro che, con grande senso di responsabilità nonostante l’oggettivo pericolo, ogni giorno lavorano all’interno e ne permettono il funzionamento (gli operatori del pubblico e privato sociale).
Infatti, ad oggi, molte organizzazioni di terzo settore e i loro operatori, pur avendo adottato misure straordinarie per affrontare questa emergenza sanitaria da Covid-19, non hanno comunque la possibilità, se lasciate sole, di superare la crisi. L’eccezionalità della situazione impone l’adozione di misure, atti e comportamenti ulteriori; come anche è stato ben ricordato dal Capo Dipartimento della Protezione Civile, Angelo Borrelli, dunque, occorre immediatamente rafforzare le misure di tutela sanitaria a favore delle persone senza dimora e garantire adeguati sistemi di sorveglianza sanitaria per gli operatori sociali coinvolti nell’erogazione di servizi ricordando come questo è peraltro già stato previsto dalla Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali del 28 marzo 2020 relativa alla gestione del “Sistema dei Servizi Sociali – Emergenza Coronavirus” che chiarisce, agli enti locali ed alle Regioni, la responsabilità di garantire la tutela dei diritti fondamentali di tutti, anche e soprattutto assicurando e garantendo i servizi per le persone più vulnerabili.
Ad oggi, la situazione all’interno dei servizi rivolti alle persone senza dimora si presenta problematica e densa di difficoltà: mancano indicazioni omogenee rispetto alla gestione del rischio contagio o, peggio ancora, a fronte della positività accertata al virus Covid-19 tra la popolazione senza dimora, con il risultato che la salute di quest’ultimi e degli operatori è compromessa. Di conseguenza, anche l’attività delle strutture, potrebbe collassare: preoccupante risulta parimenti la quantità di nuovi contagi multipli che si stanno registrano nei servizi rivolti alla grave marginalità sia a livello nazionale che locale. A fronte della sopracitata situazione, la nostra richiesta è semplice quanto necessaria: chiediamo la predisposizione di procedure d’intervento in carico alle autorità sanitarie, di concerto con le protezioni civili, gli enti locali e gli enti gestori dei servizi, al fine di affrontare prontamente la diffusione del virus Covid-19 sia all’interno delle strutture di accoglienza sia in strada.
Consapevoli che tutelare il diritto della salute individuale dei senza fissa dimora è tutelare quello pubblico della comunità, si ricorda che ciò permetterebbe di poter concretizzare gli ulteriori e altri sforzi che il Paese, tutto, sta portando avanti in questi giorni difficili.
In conclusione auspichiamo che siano dunque incentivate le soluzioni alloggiative emergenziali, facendo ricorso ad alberghi o altre strutture predisposte ad hoc su disposizione di Sindaci e Prefetti, permettendo quindi di accogliere le persone senza dimora che devono rimanere in quarantena, oppure le persone positive non sintomatiche o in via di negativizzazione; inoltre, si chiede di tracciare ed intervenire tempestivamente con azioni di screening e somministrazione di tamponi per confermare la presenza della malattia alle persone ed ai contatti prossimi, compresi gli operatori delle strutture adottando, in caso di positività, le necessarie misure di isolamento e cura; infine si chiede, a fronte di tutto quanto sopra riportato e argomentato, di avere particolare cautela ed attenzione nel dare indicazione ai preposti organi di accertamento di non sanzionare le persone senza dimora per il solo fatto che sono in strada e non a casa, poiché pare chiaro che esse non siano messe nelle condizioni di obbedire all’ordine legislativo, e ciò anche a causa di da chi ha la responsabilità di creare le opportune e adeguate condizioni.”
“Si dice che di fronte all’emergenza sanitaria del Covid19 siamo tutti uguali – sottolinea Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada Onlus – ma purtroppo non è così. C’è chi ha la possibilità di curarsi, di mangiare con regolarità e di riposarsi e chi no. C’è, più semplicemente, chi può restare a casa per proteggersi dal contagio e chi una casa non ce l’ha.”

Migranti a Piazzale Spadolini, Roma
6 aprile 2020
Covid-19 e senza fissa dimora – Continua la richiesta e l’attesa di spazi che possano ospitare i senza fissa dimora e i migranti, tra cui i 120 ragazzi che vivono a Piazzale Spadolini a Roma gestiti dal gruppo Baobab Experience. L’emergenza sanitaria per chi non ha una casa dove stare è ancora più avvertita da chi vive in stradae da chi soccorre i migranti. “Chiediamo con urgenza di individuare locali presso i quali le 120 persone che vivono e dormono a Piazzale Spadolini e tutti i senza fissa dimora a Roma possano essere accolti” chiede in una lettera al ministro Speranza l’organizzazione Baobab.
“Lettera aperta al Ministro della Salute Roberto Speranza – Individuare urgentemente a Romaripari adeguati per i senza fissa dimora
Scriviamo a Lei, in quanto Ministro della Salute e perché conosciamo la sua sensibilità e attenzione nei confronti dei più deboli.
In cinque anni di vita di Baobab Experience, non c’è stato modo di far comprendere alle Istituzioni la necessità di proteggere e supportare migranti e transitanti, con le ragioni della dignità della persona, invocando l’inviolabilità dei diritti umani, del diritto alla vita e alla felicità, il principio della libertà di movimento, quello di sopravvivenza.
In cinque anni di appelli, testimonianze e impegno solidale in cui Baobab Experience ha provato a colmare un grave vuoto istituzionale, non abbiamo assistito a nessun passo in avanti nel riconoscimento del valore umano e sociale dell’accoglienza, della messa in sicurezza e dell’integrazione dei migranti e del danno umano e sociale che derivano invece dall’ignorare, dal rendere invisibili e dal trascinare ai margini esseri umani già duramente provati.
L’emergenza sanitaria Covid-19 ha cambiato tutto. Con una velocità impressionante, ha tolto ogni spazio e respiro alla divaricazione di opinioni sul dovere di aiutare gli ultimi, ha sconfessato ogni legittimità alla pretesa prelazione degli uni sugli altri sancita sulla base del colore della pelle o della nazionalità, ha dimostrato come sia generale e globale ogni questione relativa alla sicurezza della persona.
Ora che la responsabilità individuale e la solidarietà traversale sono d’obbligo per ragioni di salute pubblica, abbiamo interpellato le Istituzioni – le stesse che, con misure straordinarie, esortano a restare a casa, a mantenere il distanziamento sociale, ad adottare cautele igienico-sanitarie -affinché intervenissero nel mettere in sicurezza gli individui senza fissa dimora, a tutela dell’integrità psico-fisica di chi vive in strada e della collettività tutta.
Il virus impone anche a noi volontari, di utilizzare argomentazioni e azioni diverse, di fare appello alla credibilità dell’impegno di Stato, Regioni e Comuni nel combattere la pandemia e nel tutelare la vita umana.
Non possiamo continuare ad assistere inerti a un rimpallo di responsabilità tra i diversi livelli di governo, nazionale e locali, come quello di questi giorni tra Comune di Roma e Regione Lazio, in cui l’uno invita l’altra ad attivare screening sui senza fissa dimora di Tiburtina, senza impegnarsi nell’identificazione immediata di luoghi di accoglienza, e l’altra risponde dichiarando di provvedere già a un’assistenza alla quale Baobab Experience, presente tutti giorni sul territorio, non ha mai avuto la fortuna di accedere.
Abbiamo ricevuto molte rassicurazioni e promesse, soprattutto sull’onda dell’attenzione mediatica (l’ultima ieri notte) ma al di là della battaglia di rivendicazioni, a oggi, dopo 2 esposti e quotidiane interlocuzioni con le amministrazioni competenti, siamo riusciti a mettere in sicurezza solo 10 persone.
Covid-19 colpisce tutti, indiscriminatamente e il contagio di ogni persona aumenta il rischio per tutte le altre; la risposta di contrasto non può non coinvolgere tutti, nessuno escluso dal momento che ciascuno deve essere messo nella condizione di proteggersi e proteggere. Mai come adesso è necessario riconoscere l’interdipendenza gli uni dagli altri, considerato che la nostra salute e sopravvivenza sono condizionate dai comportamenti altrui.
Chiediamo con urgenza di individuare locali presso i quali le 120 persone che vivono e dormono a Piazzale Spadolini e tutti i senza fissa dimora a Roma possano essere accolti; garantire agli stessi la distribuzione di ogni utile presidio medico-sanitario; provvedere alla verifica delle loro condizioni di salute, a partire dalle migliaia di migranti che non hanno accesso alla sanità pubblica perché privi del permesso di soggiorno e che vivono nel terrore di rivolgersi a un ospedale per il rischio di controlli e, quindi, di provvedimenti di espulsione o peggio ancora di reclusione in un CPR.
Il Covid-19 si sconfigge anche attraverso l’abrogazione dei Decreti Sicurezza ma questa è un’altra storia…o forse no?”

Giuseppe Antoci
5 aprile 2020
Coronavirus e mafie – Ad un ergastolano, detenuto nel carcere di Sulmona, condannato per associazione mafiosa, estorsione e omicidio ieri sono stati concessi gli arresti domiciliari “per motivi di salute” per rischio contagio da coronavirus. “E’ un precedente gravissimo ed un’offesa ai familiari delle vittime di mafia”, ha affermato Giuseppe Antoci, Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto ed ex Presidente del Parco dei Nebrodi.
E’ di qualche ora fa la notizia della concessione della misura degli arresti domiciliari ad un ergastolano di origini siciliane, Antonio Sudato, 67 anni, rinchiuso nel carcere di Sulmona. Rischio di contagio da coronavirus, questa la motivazione che il magistrato di sorveglianza dell’Aquila ha evidenziato per la concessione, appunto, degli arresti domiciliari.
L’istanza dell’avvocato difensore di Sudato, di Siracusa, è stata accolta, «motivando l’incompatibilità del detenuto con la vita carceraria per motivi di salute e per il rischio di contagio da coronavirus, che in una persona con rilevanti patologie può seriamente aggravare il proprio stato di salute».
“E’ un precedente gravissimo ed un’offesa ai familiari delle vittime di mafia – così Giuseppe Antoci Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto ed ex Presidente del Parco dei Nebrodi, vittima nel 2016 di un gravissimo attentato mafioso sventato dalla scorta della Polizia di Stato. “Rischio di contagio da coronavirus? – continua Antoci – quindi ad oggi neanche positivo. Non torna, dunque, a casa per curarsi ma solo per il rischio di contrarre. E del rischio che stanno correndo i tanti nelle Forze dell’Ordine, nell’Esercito e nella Polizia Penitenziaria o ai tanti che sono in prima linea nei settori necessari al Paese che diciamo?
Anche alcuni di loro hanno patologie che potrebbero comportare rischi maggiori in caso di contagio, eppure sono per strada o nei loro posti di lavoro. Pur rispettando la decisione del magistrato – continua Antoci – la stessa sembra però essere un gravissimo precedente che potrebbe consentire a tanti altri di tornare a casa dai loro affetti.
Proprio quegli affetti di cui sono stati privati, invece, i familiari delle vittime di mafia, coloro, cioè, che oggi vedono uscire non semplici detenuti, con residui di pena irrisorie, bensì detenuti come Sudato, condannato, in via definitiva, per associazione mafiosa, estorsione ed omicidio”.
“Insomma sembra una scarcerazione preventiva – continua Antoci – una nuova forma non nota. E’ dunque chiaro che, seguendo questa logica, chi a questo punto ha delle patologie, seppur mafioso e soggetto socialmente pericoloso, possa chiedere di tornare a casa per il solo rischio di contrarre il Covid-19. Tutto ciò ci mette in forte preoccupazione e va assolutamente evitato”.
“Affrontiamo a muso duro il Coronavirus ma evitiamo – conclude Antoci – di far uscire dalle carceri i mafiosi che, approfittando di alcune patologie, non solo tornano tranquillamente a riabbracciare i loro cari, ma magari ricominciano a comandare dalle loro case. Consentendo questo faremo così proliferare l’altro virus, anche questo devastante ed omicidiario, le mafie di questo Paese” conclude Antoci.

Addetti alle pulizie nelle scuole (Fonte: web)
3 marzo 2020
Lavoro e Tutele – Dal 1° marzo 1.024 persone nel Lazio sono senza lavoro. Si tratta dei lavoratori addetti alle pulizie nelle scuole. Oggi il presidio a piazza Montecitorio a Roma. “Inaccettabile che restino invisibili”.
“Oggi l’incontro con le lavoratrici e i lavoratori del territorio. Dalle 14 alle 18 Filcams CGIL Roma Lazio, Fisascat CISL Roma Capitale e Rieti e Uiltrasporti Roma e Lazio in protesta contro una serie di decisioni inammissibili che riguardano, nel Lazio, 1.024 famiglie. Questo è il numero di lavoratrici e lavoratori impegnati negli appalti di pulizia, ausiliarato e decoro delle scuole statali sul territorio che dal 1° marzo sono senza lavoro e senza reddito, esclusi in questa fase dal processo di internalizzazione del servizio previsto dal Miur. Oltre mille persone che non possono, e non devono, restare invisibili”. E’ quanto rendono noto Luca Battistini, della Filcams Cgil Roma Lazio, Sara Imperatori, della Fisascat Cisl di Roma Capitale e Rieti, e la Uiltrasporti Roma e Lazio aggiungendo che “l’amarezza e la preoccupazione sono altissime. Non è credibile che le istituzioni continuino a restare sorde al richiamo di migliaia di persone, e che 4mila lavoratori sul territorio nazionale, di cui più di mille nel Lazio, siano ‘licenziati dallo Stato’. Continueremo a restare al loro fianco senza arretrare di un millimetro: come abbiamo dichiarato dall’inizio, nessuno deve restare indietro. Nessuno deve restare escluso. Nessuno deve restare senza diritti, tutele e lavoro. Non ci arrenderemo finché la voce dei lavoratori non sarà ascoltata”.
1024 lavoratori delle scuole statali del Lazio, senza lavoro e retribuzione, che sono “ostaggio delle aziende che hanno deciso di metterli in sospensione” recita la nota. “È una condizione vergognosa e inaccettabile messa in atto dalle aziende – prosegue il comunicato – ma è anche il frutto della mancanza di responsabilità politica del Governo a voler trovare soluzioni per garantire reddito e occupazione per tutti i lavoratori. Per questo domani DOBBIAMO ESSERE TUTTI PRESENTI AL PRESIDIO A MONTECITORIO per denunciare questa indifferenza del Governo al quale chiediamo di aprire subito un tavolo di confronto finora mai attivato, perché a nessun lavoratore venga negato il diritto all’occupazione e al reddito. Saranno presenti le nostre delegazioni regionali e nazionali e personalità della politica. Dobbiamo renderci più visibili e rumorosi possibile per uscire dall’ombra e dal silenzio nei quali hanno cercato di farci stare in tutta questa vertenza. NOI NON MOLLIAMO”.
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Pira, Castellammare di Stabia (Fonte: Repubblica.it)
9 dicembre 2018
Testimone di Giustizia, Camorra – Dopo il messaggio apparso ieri a Castellammare di Stabia durante i festeggiamenti per l’Immacolata sulla pira di minaccia contro i pentiti, la lettera del testimone di giustizia Gennaro Ciliberto al presidente dell’anticamorra in Campania Mocerino: “Le chiedo una condanna forte. Vorrei organizzare con lei una marcia contro la camorra.”
“Al Presidente della Anticamorra
Regione Campania
Dott. Carmine Mocerino
Lo scrivente Ciliberto Gennaro già testimone di giustizia e denunciante di soggetti già condannati per reati di camorra appartenenti al Clan D’Alessandro clan di camorra egemone in Castellammare di Stabia e radicato con attività illecite su tutto il territorio nazionale.
Chiede al Presidente Mocerino una condanna forte per ciò che è accaduto in Castellammare di Stabia in occasione della festa della Immacolata.
Non è concepibile che una mentalità criminale possa lanciare messaggi di morte.
Anche se i testimoni di giustizia sono diversi dai collaboratori per la camorra siamo tutti pentiti o infami.
Ora che i giornali hanno pubblicato questa notizia che è un chiaro messaggio di morte a tutti quelli che hanno collaborato con la giustizia facendo condannare camorristi e gregari.
Vorrei organizzare con Lei una marcia contro la camorra e la mentalità Camorristica a Castellammare di Stabia dove lo Stato deve far sentire che è più forte e che mai e poi mai nessun cittadino deve avere paura di denunciare.
Ciliberto Gennaro Testimone di giustizia”
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Manifestazione anticamorra (Immagine di repertorio. Fonte: web)
15 novembre 2018

Lettera/risposta Sottosegretario agli Interni Gaetti
6 novembre 2018
Testimoni di giustizia e lavoro. Le mancate promesse sull’assunzione dei testimoni di giustizia nella Pubblica Amministrazione e il nò alla capitalizzazione per alcuni testimoni di giustizia. Luigi Coppola, testimone di giustizia campano e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata, denuncia in una nota queste scelte: “E’ stato dato il colpo finale alle famiglie dei testimoni di giustizia rimasti senza lavoro”.
“Una banda di burocrati hanno tolto la possibilità di essere assunti nella Pubblica Amministrazione ai testimoni di giustizia, ai quali una legge già esistente ne dava il diritto. E poi il sottosegretario Gaetti va ancora in giro a predicare favolette.
La commissione centrale ex art. dieci ha definitivamente dato il colpo finale alle tante famiglie dei testimoni di giustizia rimasti senza lavoro dopo la denuncia contro la criminalità organizzata.
Gaetti sarà contento, era a questo che lui mirava?”, si legge nella nota di Luigi Coppola.
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Luigi Coppola – Logo Movimento
3 ottobre 2018
Testimoni di Giustizia, parla il tdg campano Luigi Coppola presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata. “Gireremo tutta Italia e grideremo la nostra verità, quelle che è stata ad oggi oppressa e contorta”.
“È giunta l’ora di rivendicare i nostri diritti sempre più calpestati da servizio centrale di protezione e commissione centrale ex art dieci.
Ora dobbiamo agire un po come faceva Peppino Impastato.
In camper per tutta Roma e a seguire tutta Italia.
Gireremo e grideremo la nostra verità quella verità che ad oggi è stata oppressa e contorta da politici Ministri e sottosegretari che si sono avvicendati al ministero dell’interno.
Organizziamo la nostra verità.
Info al 3396657609
Luigi Coppola testimone di giustizia.
Presidente Associazione Movimento per la lotta alla criminalità organizzata”.
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Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia
5 settembre 2018
Testimoni di giustizia, la denuncia. Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia di Somma Vesuviana dopo numerose denunce lanciate anche attraverso i social network sulla presenza di piscine interrate su cui ha chiesto verifiche, invia una lettera al Ministro dell’Ambiente Sergio Costa: “Chiedo un’ispezione anche su eventuali pozzi abusivi che metterebbero a rischio la falda acquifera.”
“Al Ministro dell’Ambiente
Dott. Costa
Già Gen.le Carabinieri Forestale
Lo scrivente Ciliberto Gennaro già testimone di giustizia, porta a conoscenza del Ministro Dott. Sergio Costa quanto segue.
Sul territorio di Somma Vesuviana territorio interessato da vincoli di natura paesaggistica, ricadente nella c.d. zona rossa e interessato anche da siti archeologici, vi è da segnalare alla S.V. una quantità massiccia di piscine interrate costruite in varie zone del territorio.
Il sottoscritto da un precedente esposto, in merito ad un capannone costruito sottostante un viadotto ss 268 e da un allegato di una planimetria Google, ho notato la presenza di queste strutture interrate adibite a piscine.
Da una più attenta ricerca facilmente eseguita su Google ho notato ad oggi più di trenta strutture interrate.
Avendo già proceduto a esposto denuncia chiedo un intervento ispettivo agli uffici preposti del Ministero dell’Ambiente per accertare se oltre ad eventuali abusi non ci sia anche la realizzazione di pozzi abusivi che sarebbero, oltre che illegali se venisse accertata la presenza di tali, ma metterebbero a rischio la falda acquifera.
In fede,
Ciliberto Gennaro”
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Somma Vesuviana, Municipio
23 agosto 2018
Sicurezza e legalità. Testimone di giustizia scrive una lettera al sindaco di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, Di Sarno sulla regolarità di un capannone sito sotto la ss 268. “In caso di incidenti sarà lo stesso responsabile.” A seguire la lettera.
“Lo scrivente Ciliberto Gennaro ha esposto a questo organo e al Sindaco la questione del capannone sito sotto il cavalcavia ss 268 ricadente in via del Cenacolo.
Infatti anche l’ente che gestisce il cavalcavia Anas ha ricevuto giusta comunicazione inerente alla questione ed ha inoltrato accertamenti sullo stato dell’arte.
Nonostante i vari e rassicuranti post sul social Facebook da parte del Sindaco Di Sarno ad oggi non è dato sapere se tale manufatto sia regolare, infatti all’interno dello stesso ci sarebbero ubicate anche due attività una di deposito automezzi e l’altra di produzione alimentare settore ristorazione collettiva.
Devo dare atto che in primis il consigliere Adele Aliperta ha comunicato allo scrivente che tale manufatto è in regola ed è stato oggetto in passato da parte dei carabinieri della locale stazione, cosa che però non è stata dimostrata con atti della stessa.
Ma tale dichiarazione è in netta contrapposizione con altro esponente politico facente parte della maggioranza, il quale mi ha notiziato che in riferimento al mio esposto vi sono stati accertamenti e che vi è un’ordinanza in atto.
A tal punto chiedo al primo cittadino Dott. Di Sarno di rispondere alla presente e chiarire se tale manufatto è in regola con le norme urbanistiche nonchè le attività che lo occupano abbiano tutte le regolari autorizzazioni.
Visto che in caso di incidenti sarà lo stesso responsabile per non aver dato corso ad un’eventuale delibera per il ripristino della regolarità dei luoghi.
In attesa di una risposta in merito, porgo cordiali saluti.
Gennaro Ciliberto.”
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Luigi Coppola – Logo Movimento
6 agosto 2018
Testimoni di giustizia e assunzioni nella PA. Dopo l’approvazione della legge sui testimoni di giustizia, resta l’attesa sulle previste assunzioni nella pubblica amministrazione. Luigi Coppola, presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata: “Mai più favoritismi. Primo incontro sarà l’8 agosto a Roma.”
“Il governo con la legge 3500 sui testimoni di giustizia, votata il 21 dicembre 2017, ha permesso alla commissione centrale ex art dieci del ministero dell’interno di togliere la possibilità di un lavoro (dignità) e di tutto quello che ne consegue per il sostegno della famiglia, ai TESTIMONI DI Giustizia che non sono più sottoposti al programma di protezione – afferma in un comunicato Luigi Coppola, testimone di giustizia campano e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata – L’attuale governo giallo verde in barba a tutte le promesse di Luigi Di Maio(quando era all’opposizione) sta continuando il lavoro sporco. A seguito della delibera datata 23/05/2018 a firma dell’ex sottosegretario Manzione, l’attuale ma sempre vecchia commissione centrale ex art dieci con nuovo presidente dott. Gaetti Luigi (movimento cinqestelle) difficilmente cambieranno la rotta di quella delibera a cui seguiranno, a detta di un funzionario del Viminale, una serie di decreti attuativi ma non cambieranno ciò che fu deliberato(abolendo ciò che prevedeva la precedente legge la n 125 Assunzioni anche per i fuoriusciti). Altro che miglioria.”
E aggiunge: “Io non ho alcuna intenzione di starmene a guardare e farò tutto ciò che sarà possibile per non farmi negare il sacrosanto diritto al lavoro.
Come seguirò passo passo ciò che il Viminale e il servizio centrale di protezione hanno fatto e faranno per le assunzioni nella Pubblica Amministrazione.
Mai più ci dovranno essere favoritismi nè testimoni di serie A e testimoni di serie B.”
“Intanto il primo mio incontro ci sarà il giorno otto agosto a Roma.
Ho appena cominciato e sarà dura ma non mollo”, conclude Coppola.
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Luigi Coppola – Matteo Salvini
4 agosto 2018
Testimoni di giustizia, Dal Movimento per la lotta alla criminalità organizzata nuova richiesta di incontro al Ministro Matteo Salvini. Luigi Coppola, presidente del Movimento: “Abbiamo chiesto un incontro al Ministro dell’interno Salvini, ma lui resta per ora in silenzio. Anzi una deputata ci addita di essere battitori di cassa.”
“Come associazione antiracket Movimento per la lotta alla criminalità organizzata stiamo chiedendo al Partito Democratico di chiamare a riferire in Parlamento il Ministro dell’interno Salvini – dice in una nota Luigi Coppola, testimone di giustizia e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata – Il Ministro dovrà chiarire cosa intende fare con i testimoni di giustizia che sono sempre più abbandonati. Noi abbiamo chiesto un incontro al Ministro dell’interno ma lui resta per ora in silenzio, anzi una deputata del Governo ci addita addirittura come battitori di cassa.”
“Salvini ancora deve capire che non siamo immigrati ma persone che si sono ooposte alla criminalità e le arroganze non ci fanno paura – commenta infine Coppola.”
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Luigi Gaetti, Ignazio Cutrò
15 giugno 2018
Testimoni di Giustizia e tutele. Ignazio Cutrò, presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia sulle dichiarazioni del viceministro degli Interni Luigi Gaetti in favore dei testimoni: “Oggi siamo una priorità. Non sentivamo parole di questo tenore da molto tempo.” E sulla deputata 5 stelle Piera Aiello, che ha svelato il suo volto da testimone di giustizia: “Mai più una vita vissuta nell’ombra, vite fantasma. Le istituzioni tutte facciano la loro parte”.
A seguire il comunicato dell’associazione.
“L’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia esprime vivo apprezzamento per le parole del viceministro degli interni Gaetti sui testimoni di giustizia: ‘I testimoni di giustizia sono insieme ai beni confiscati una priorità’. Con queste parole il sottosegretario agli interni Luigi Gaetti intervistato dal quotidiano La Gazzetta di Mantova ha affermato che porterà avanti quello che ha caratterizzato il suo lavoro in commissione parlamentare antimafia: testimoni di giustizia e beni confiscati. Una bella intervista, dichiara Ignazio Cutrò Presidente della Associazione, che lascia ben sperare sulla fine dell’isolamento e dell’indifferenza attorno a questi temi. Dunque oggi ‘siamo una priorità’. Non sentivamo parole di questo tenore da tanto tempo. Forse non le abbiamo mai sentite. Il vento del cambiamento aveva già cominciato a soffiare in commissione antimafia quando le forze politiche avevano proposto un disegno di legge di riforma dell’attuale programma di protezione poi trasformato in legge dello Stato. Un vento che porta con sè la parola Speranza. Doveroso ringraziare l’allora Presidente Rosy Bindi e il coordinatore del comitato di inchiesta sui testimoni Davide Mattiello. C’è ancora molto da fare: ‘Le norme sono importanti, ma non meno dei regolamenti e delle prassi applicative, cioè delle abitudini che si creano negli apparati dello Stato ai quali spetta il dovere di proteggere e rispettare pienamente la dignità dei testimoni di giustizia’. Ieri la testimone e deputata Piera Aiello ha chiuso un capitolo buio della sua vita mostrando il suo volto nascosto per anni, troppi anni. Un gesto che assume anche un significato simbolico per tutti i testimoni di giustizia. Mai più una vita vissuta nell’ombra, vite fantasma. Non siamo più delle trepide ombre ma uomini e donne che hanno offerto la propria vita e quella dei propri familiari per il bene dello Stato. Le Istituzioni tutte, conclude Ignazio Cutrò, facciano la loro parte, valorizzino i testimoni di giustizia e restituisca loro quelle che le mafie ed un malcelato senso dello Stato gli hanno ingiustamente tolto.”
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6 aprile 2018
Testimoni di giustizia e Tutele. Lettera aperta di un testimone di giustizia a Piera Aiello, testimone di giustizia neo eletta con il Movimento 5 Stelle alle recenti elezioni politiche. “Necessario obiettivo la riforma del Servizio Centrale di Protezione. Bisogna capire come e perché ci siano delle falle nel sistema di protezione che hanno messo in serio pericolo l’incolumità di molti testimoni di giustizia e familiari.”
“Lettera alla testimone di giustizia, On. Piera Aiello.
Uno dei primi obiettivi della politica è quello di riformare il Servizio Centrale di Protezione .
In questi anni abbiamo assistito ad un accanimento sui testimoni di giustizia e familiari, troppo spesso le leggi non sono state applicate.
Non è tollerabile che al SCP non ci sia una rotazione del personale, infatti i c.d. referenti che fanno parte di un gruppo interforze formato da carabinieri, polizia e guardia di finanza sono gli stessi di venti anni fa.
Molti pregiudizi e una prassi applicativa segreta hanno negli anni fatto soffrire decine di testimoni, poi come sempre ci sono stati gli infedeli e non sono mancati o casi dove è dovuta intervenire la magistratura per accertare fughe di notizie e furti di denaro.
Noi, appena insediato il ministro dell’Interno e il sotto segretario all’Interno nonché futuro presidente della commissione centrale ex art 10, avanzeremo una proposta per poter farsi che il SCP possa essere un aiuto concreto ai testimoni di giustizia e non un apparato solo burocratico .
Inoltre bisogna capire come e perché ci siano delle falle nel sistema di protezione che hanno messo in serio pericolo l’incolumità di molti testimoni di giustizia e familiari.
Ad oggi il SCP ha un nuovo direttore ma nulla sembra essere cambiato e torna sempre in mente quella frase che regna in via dell’ arte …..’Capita tutto a voi, siete sfortunati chi ve lo ha fatto fare’.
Gennaro Ciliberto, Testimone di Giustizia esiliato in località segreta”
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Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia
20 marzo 2018
Testimone di Giustizia, Somma Vesuviana (Napoli). Il Sindaco del comune di Somma Vesuviana, Salvatore di Sarno, dopo l’invito alle commemorazione previste per la giornata del 21 marza in ricordo delle vittime delle mafie invita il testimone sommese Gennaro Ciliberto. Nel comunicato il suo nome non è citato, Ciliberto in una lettera al sindaco e all’assessore Giuseppe Castiello sospetta: “La mia presenza, credo, non è gradita”.
“Dopo le mie missive rivolte alle SS.VV in merito alla giornata del ricordo delle vittime di mafie che vede la sua celebrazione nel 21 marzo.
Sono felice che questa Amministrazione abbia rimediato in tempo a questo ricordo delle vittime di mafia.
Porto a Vostra conoscenza che il DDL 3500 oggi legge dello Stato equipara i testimoni di giustizia alle vittime di mafie.
Tristemente, nonostante il Sindaco è a conoscenza del mio status e percorso di testimone di giustizia, visto anche una stretta amicizia che poco prima che lo stesso venisse eletto a primo cittadino era sincera.
Oggi non voglio polemizzare ma il mio nome non viene minimamente citato nella comunicazione stampa del SINDACO.
Chiedo il perché?
Comunque credo che la mia presenza da parte del Sindaco e dell’amministrazione non sia cosa gradita.
Un Testimone di giustizia dovrebbe essere accolto dal proprio Sindaco come un uomo che ha fatto il proprio dovere, come esempio e non certo messo in un angolo o addirittura dimenticato.
Nel ringraziare chi domani sarà presente con il vero spirito, non solo di commemorazione ma anche di iniziativa alla lotta contro le mafie.
Porgo distinti Saluti
Gennaro Ciliberto, testimone di Giustizia”.
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Voto di scambio (Fonte: web)
24 febbraio 2018
Camorra e voto di scambio. Ultimi giorni di campagna elettorale tra promesse e corruzione. Il testimone di giustizia campano Gennaro Ciliberto: “Il prezzo di un voto va dai 30 ai 50 euro. Il business delle elezioni è in mano alla camorra, l’ennesima prepotenza del potere camorristico.”
“Per chi voterà la camorra? – si chiede in una nota Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano che otto anni fa ha denunciato infiltrazioni della camorra in appalti pubblici – Il prezzo di un voto va dai 30 ai 50 euro. Ma c’è chi promette buoni benzina. Spese al supermercato. E persino biglietti per le partite del Napoli.”
“Al Sud tra impresentabili imputati e condannati c’è da scegliere un mercimonio elettorale prosegue Ciliberto – Quando un popolo perde la libertà del voto non c’è più speranza di riscatto. Cattivi esempi poca moralità e arroganza, con un mix di violenza verbale e non, sono le regole di questa politica.
Come non ricordare i pulmini che sfrecceranno tra le case popolari pieni di votanti. Oppure quelle presenze di pregiudicati fuori dai seggi elettorali che tra le mani hanno i c.d. santini.”
“Questo business che si ripete ad ogni votazione è in mano alla camorra e ora vedremo le quotazioni salire al chiudersi delle urne e il consumarsi dell’ennesima prepotenza del potere camorristico”, conclude nella nota Gennaro Ciliberto.
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Racket e pizzo camorra (Fonte: web)
20 febbraio 2018
Camorra e pizzo. L’ultima relazione semestrale Dia 2017 spiega come in alcuni territori del napoletano i clan condividono la gestione delle estorsioni, “tanto che le vittime sarebbero costrette a pagare tangenti ad entrambi i gruppi.” Interviene Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia sommese: “Se si preferisce pagare il pizzo due volte allora si è collusi. Resto in attesa di una reazione dei commercianti: Denunciate e non siate schiavi della camorra”.
“ ‘Camorra tra Somma e il Nolano: arriva il clan Mazzarella, commercianti pagano il pizzo due volte’. Un titolo (Fonte: ilfattovesuviano.it) che racchiude la grave situazione a Somma Vesuviana e la provincia vesuviana.
L’omertà regna e non c’è collaborazione con le forze di polizia e questo è un triste primato negativo. Se si preferisce pagare il pizzo due volte allora si è collusi oppure si fa affari con la camorra.
Sono rammaricato che il primo cittadino, Dott. Di Sarno, nel leggere questo titolo taccia lui che è in primis un uomo delle istituzioni, come anche l’illustre cittadino On. Mocerino il quale oltre ad essere un politico ed il presidente dell’Assemblea Anticamorra Regionale, in primis è un affermato imprenditore.
Non si può tollerare questa presenza criminale sul territorio. Questa cappa criminale altera un’intera economia locale. Chi lo scrive è la Dia nella relazione semestrale e certo il silenzio della politica locale è allucinante, nessun consigliere né assessore sprona il commerciante alla denuncia.
Una volta almeno c’era una giornalista che scriveva del malaffare e della camorra ma ora non scrive più su questi argomenti e mi chiedo il perché?
Resto in attesa di una reazione da parte dei commercianti di una loro smentita ed il mio appello a tutti loro “Denunciate e fidatevi dei Carabinieri” non dovete essere schiavi della camorra, nessuno ha il diritto di annullare le vostre vite la vostra dignità.
Come Vice presidente dell’ Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia noi saremo vicino ad ogni cittadino che deciderà di denunciare.
Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia”
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Contro la camorra (Fonte: web)
10 febbraio 2018
Camorra, Relazione Dia primo semestre 2017. Le donne, mogli dei boss, in primo piano nella gestione del territorio. Il Testimone di giustizia campano, Gennaro Ciliberto, interviene in una lettera: “Queste donne sono il collegamento anche tra camorra e corrotti.”
“Quando i boss sono in carcere comandano le mogli in terra di camorra.
I camorristi di Castellammare di Stabia sono quasi tutti detenuti, ma le redini le tirano le donne dei boss.
Mentre i figli della camorra crescono, le donne dei boss svolgono una funzione di controllo, restano loro sul territorio a dettare gli ordini.
Le stesse donne che assicurano un alto tenore di vita alla famiglia e quella presenza che fa la differenza. I loro colloqui sono spesso in codice e basta un solo cenno tra il camorista e la moglie per dare un ordine di morte o un’indicazione criminale.
Queste donne che vivono nel loro credo mafioso sono i collegamenti anche tra la camorra e i corrotti.
Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia”
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Bimbo travestito da carnevale, Gomorra
7 febbraio 2018
Napoli, Sul video del bimbo travestito da boss di Gomorra interviene il testimone di giustizia campano Gennaro Ciliberto: “Dietro c’è una drammatica realtà criminale.”
“Non poteva mancare questa ennesima emulazione. Anche se per molti sarà un travestimento carnevalesco, dietro a tutto ciò c’è una cultura mafiosa.
Un bimbo travestito da Genny Savastano personaggio principale di Gomorra non é un buon esempio. Se poi aggiungiamo che questo bambino di soli cinque anni interpreta anche frasi di violenza impugnando un mitra giocattolo …allora tutto questo non é un gioco.
Questo ennesimo inno alla camorra ci dovrebbe far riflettere di come anche il “principe azzurro” è stato spazzato via da Gomorra.
Come si può restare inermi dinanzi a tutto ciò? Come può un padre, una madre indirizzare un bimbo a questi atti di spavalderia criminale?
No, non è solo un travestimento di carnevale, dietro a tutto questo c’è una drammatica realtà criminale, intrinseca nel dna.
Ora mi aspetterei un plotone di bambini vestiti travestiti da carabinieri, da poliziotti …ma mi basterebbe anche poter vedere quel bimbo travestito da principe azzurro”, commenta in una nota Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia e vice presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia.

Testimoni di giustizia, diritti e tutele
20 gennaio 2018
Testimoni di Giustizia e istituzioni. Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia e vice presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, chiede che la nuova legge sui testimoni 3500 venga resa operativa. Il silenzio delle istituzioni e del Prefetto di Napoli. “Il Prefetto di Napoli è ‘sordo’, non risponde”.
“Sono un testimone di giustizia, uno di quelli che per giorni, al freddo, ha stazionato fuori al Senato della Repubblica per sensibilizzare l’approvazione del DDL 3500, oggi legge. Nell’entusiasmo forse abbiamo dimenticato i tanti anni di sofferenza che noi testimoni di giustizia e familiari abbiamo subito da parte di chi dovrebbe tutelare le nostre vite ma sempre più si accanisce su di noi, quasi fossimo il problema. Tante volte mi sono chiesto perché dopo aver denunciato e testimoniato facendo andare in galera criminali e corrotti mi trovi a lottare contro la burocrazia o contro chi volutamente non applica la legge. – afferma Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia di Somma Vesuviana, in una nota – Quel modus operandi che ha distrutto le nostre vite continua anche oggi. Non sono bastate le relazioni della Commissione antimafia, le tante giuste proteste dei testimoni di giustizia a far cambiare atteggiamento a quella parte di Stato che gestisce i tdg.
Anzi posso dire con fermezza che c’è stato un vero e proprio accanimento nei confronti di chi ha fatto valere i propri diritti e ha denunciato le anomalie e i soprusi del sistema protezione. Dal forse ti buttiamo fuori alle diffide per poi finire alla mancanza totale di protezione, questi metodi trovano come obiettivo zittire il testimone di giustizia.”
“In un momento dove i politici promettono, dove l’uno contro l’altro si rinfacciano responsabilità su come questo nostro Paese Italia sia al baratro. Noi testimoni di giustizia siamo in balia delle onde – chiosa Ciliberto – Un presidente di Commissione centrale che non riceve nessuno. Il Servizio Centrale di Protezione senza il direttore. Un Ministro dell’ Interno che mai ha voluto ascoltare la voce di un testimone di giustizia. Questa è la realtà.”
“Poco serve una legge se poi non applicata. Poco serve un sistema di protezione se poi si abbandona il testimone di giustizia alle grinfie della criminalità organizzata. A poco serve commemorare le vittime di mafia se poi si portano alla morte i vivi. Poco, a molto poco, serve urlare ‘abbiamo vinto la Legge sui tdg c’è ’, se poi questa legge resta solo uno spot elettorale”, prosegue la nota.
Continua intanto il silenzio da parte della prefettura di Napoli, dopo numerose richieste inviate dallo stesso Gennaro Ciliberto al suo rientro in città. Il Prefetto, Carmela Pagano, non ha ancora risposto al testimone di giustizia anche dopo la sua protesta dello scorso dicembre davanti alla prefettura partenopea.
“Dopo svariate email e comunicazioni inviate alla sua attenzione tramite il suo vicario il Prefetto non risponde. – afferma Gennaro Ciliberto – Come può un cittadino avere fiducia nelle istituzioni quando chi Le rappresenta usa il metodo di Ponzio Pilato? Come può un testimone di giustizia essere trattato in tal modo dal capo dell’ ufficio territoriale del Governo? Un Prefetto che parla di legalità e presenzia i convegni per poi chiudersi nel silenzio.” E aggiunge: “Ebbene, Eccellenza, a questo punto i testimoni di giustizia verranno sotto la Prefettura per dimostrare tutto il nostro disappunto per il trattamento che Lei ci sta riservando. Sappia Prefetto che Lei ha il dovere di dare risposte a chi come noi ha il diritto di sapere come e quando Lei deciderà di risponderci. Noi, Eccellenza, siamo cittadini italiani e certo non meritiamo il silenzio delle istituzioni.”
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Prefettura Napoli, Testimone di giustizia
5 gennaio 2017
Sicurezza e diritti, Testimone di Giustizia rientra nella sua città, Somma Vesuviana (Napoli), dopo sette anni sotto programma di protezione. Chiesta sicurezza al Prefetto di Napoli, Carmela Pagano, che non risponde. In un appello alle istituzioni: “Perché un testimone di giustizia non deve poter vivere in sicurezza?”
“Da 7 anni non dormo la notte, ma negli ultimi tempi stavo recuperando una vita quasi normale.- scrive nella lettera al ministero dell’Interno e alla Commissione parlamentare Antimafia, Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano – La mia discesa a Napoli autorizzata dalla DDA e dal SCP si è trasformata in un vero incubo. Oltre al malessere fisico e psicologico si è aggiunto lo scontro di pensiero con la mia compagna, donna eccezionale, che per 7 anni ha sofferto con me e che mi chiede il perché lo Stato ci tratta così!”
E prosegue: “Ho provato in tutti i modi a sollecitare le istituzioni preposte a far sì che la legge 45/2001 venisse applicata. Mi sono battuto per i diritti dei testimoni di giustizia e di chi come me ha denunciato. Ho lottato e denunciato il marcio nel Servizio Centrale di Protezione, che ha dato il via per le indagini per il furto di ben 600 mila euro dalle casse del scp. Ho tenuto sempre un comportamento idoneo alle regole del programma di protezione pagando il prezzo dell’esilio e del vivere da fantasma ma ho obbedito. Ho volontariamente richiesto la fuoriuscita perché non credo in un programma di protezione che fa acqua da tutte le parti e che sradica il denunciante dalla propria terra.
Non ho chiesto soldi e ho intrapreso a lavorare, ma la sicurezza, quella sicurezza che mi è sempre stata promessa sulla carta, ora dov’è?
Avevo un terzo livello rafforzato sino al 4 dicembre 2017 poi svanito nel nulla, ma allo scrivente mai nulla è stato notificato. Sono dovuto giungere all’estremo gesto di incatenarmi dinnanzi alla Prefettura di Napoli conclusosi con tante promesse e nulla di certo.”
“Oggi il messaggio che giunge è netto e chiaro. – aggiunge nella lettera Ciliberto – Tu, testimone di giustizia Ciliberto Gennaro, non hai diritto a vivere nella tua terra ad essere protetto. Oggi che il Prefetto Pagano continua sulla linea del silenzio e devo dire grazie solo all’Arma dei carabinieri. Oggi che in molti scelgono l’indifferenza. Io Testimone di Giustizia grido la vergogna di uno Stato che abbandona chi denuncia e fa arrestare corrotti e camorristi.”
“Qui troppo spesso si piangono i morti per abbandonare i vivi.
Forse in molti non mi vorrebbero al processo ‘romano’ dove gli imputati sanno bene che senza la conferma delle mie dichiarazioni tutto salta. Forse costoro sono nella sala di regia … ma certo la verità è sotto gli occhi di tutti …lo Stato mi ha usato e buttato in pasto alla camorra. Guardate che ciò che state commettendo volontariamente è l’ennesima violazione della libertà umana.
Perché un testimone di giustizia non deve poter vivere in sicurezza?”, conclude
Gennaro Ciliberto.
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23 dicembre 2017
Legge 3500, Testimoni di giustizia. A poche ore dall’approvazione in Senato della legge 3500 sui testimoni di giustizia, ad un testimone di giustizia viene tolta la protezione. In attesa di risposte dal Governo sulla sicurszza sua e della sua famiglia, oggi Gennaro Ciliberto manifesterà davanti alla Prefettura di Napoli. ” Vi sto chiedendo aiuto.”
“Io Testimone di Giustizia mandato al macello. Nonostante il mio percorso da testimone di giustizia e i futuri impegni giudiziari in qualità di denunciante e testimone, il prefetto di Napoli ha deciso di non proteggere me ed i miei figli. Questa parte di Stato mette la firma su ciò che la camorra mi farà.
Sto scrivendo a tutti gli organi preposti anche il mio legale ha notiziato le autorità. Sembra un film già visto …..dopo la mia morte tutti diranno che si poteva….e che ha sbagliato il tizio ….. Ora basta, dopo l’approvazione della 3500 Bindi i testimoni di giustizia vengono ugualmenti abbandonati. Ho scritto anche al Ministro Orlando e all’ On. Bindi all’On. Mattiello ed il Sen. Lumia. Vi sto chiedendo aiuto”, fa sapere in una lettera Gennaro Ciliberto.
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17 dicembre 2017
Senato, legge 3500 sui testimoni di giustizia. Ultimo giorno per l’approvazione martedì 19 dicembre. Appello al presidente del Senato Pietro Grasso: “Saremo nuovamente a Roma, questa è la nostra ultima possibilità.”
“I testimoni di giustizia saranno nuovamente a Roma il 19 mattina per assistere al passaggio del DDL 3500. Non abbiamo più tempo questa è l’ultima nostra possibilità. Staremo ad assistere all’interno del Senato con i nostri amici fuori a sostenerci. Vogliamo ricordare a tutti i politici che questa legge che attendiamo da ben venti anni urge per dare dignità e sicurezza ai testimoni e familiari. Il nostro appello al Presidente del Sentato Grasso questa é la nostra ultima possibilità”, fa sapere in un comunicato Gennaro Ciliberto testimone di giustizia e vice presidente Associazione Nazionale TDG.
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15 dicembre 2017
Testimoni di giustizia, Fuga di notizie su località di un testimone di giustizia sotto speciale programma di protezione. Richiesta al ministro Marco Minniti di fare chiarezza.
“Nella giornata di ieri lo scrivente testimone di giustizia e neo vice presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni Di Giustizia è dovuto intervenire notiziando la commissione centrale ex art.10 inerente ad una situazione di una gravità assoluta. Infatti già da tempo giravano voci che un testimone di giustizia attualmente sotto programna di protezione lavorasse presso la sede del Viminale. Se questo era di dominio pubblico il servizio centrale di protezione come tutela i testimoni di giustizia? Già in passato abbiamo assistito a fuge di notizie che hanno messo in serio pericolo la vita dei testimoni di giustizia. A tutela di questo testimone di giustizia abbiamo informato il Presidente della Commissione centrale ex art.10 dott. Manzione e ci auguriamo che lo stesso faccia piena luce sull’accaduto”, ha dichiarato Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia.
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Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia
1 dicembre 2017
Nuova legge sui testimoni di giustizia ferma al Senato da mesi. Il testimone di giustizia Gennaro Ciliberto lancia un appello: “Chi odia e ostacola i testimoni di giustizia é dalla parte delle mafie”. Manifestazione in programma il prossimo 5 dicembre.
“Ci troviamo ad assistere all’ennesima tortura per i testimoni di giustizia.
La legge 45/2001 sempre mal applicata e la 3500 che non viene approvata.
Una politica distante anni luce dalle promesse, dai proclami.
Una lotta alle mafie che sulla carta è alla perfezione ma che nell’applicazione trova lacune che anno dopo anno aumentano”, commenta Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano.
“Non si può più subire né restare silenti. Noi testimoni di giustizia saremo in piazza per dire la verità di come lo Stato ci ha trattato, porteremo le prove di come vi è un accanimento sui testimoni di giustizia da parte di chi dovrebbe tutelarci. Faremo sapere al popolo perché chi denuncia viene distrutto da un sistema oramai allo sfascio – prosegue Ciliberto – Milioni di euro troppo spesso sperperati o addirittura rubati.”
“La verità é una questione di giustizia e noi abbiamo scelto di denunciare per dignità e senso civico”, conclude Gennaro Ciliberto.
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Assemblea nazionale SpiCgil Fonte: Rassegna.it
20 novembre 2017
Testimoni di giustizia, Proposta di legge 3500 Bindi-Gaetti. Lettera al Presidente del Senato Piero Grasso di numerosi gruppi e associazioni per chiedere l’approvazione della legge a tutela dei testimoni di giustizia.
“E’ una legge che può cambiare totalmente la vita dei testimoni di giustizia, dà un dignità e offre la possibilità di rifarsi una vita.” A dirlo è una testimone di giustizia, intervenuta all’assemblea nazionale Spi-Cgil Restiamo in Campo, in merito alla proposta di legge 3500 sui testimoni di giustizia. A chiudere i lavori della giornata numerosi gruppi (Arci, Acli, Avviso Pubblico, Centro Pio La Torre, Cgil, Cisl, Uil, LegaCoop, Legambiente, Libera, Sos Impresa) hanno firmato e inviato una lettera al Presidente del Senato Pietro Grasso sollecitando l’approvazione di una legge da tempo ferma, dopo il nullaosta della Camera.
“In questa fase finale di legislatura sono diversi i provvedimenti di cui viene richiesta l’approvazione. Tra questi, tuttavia, non possiamo non sottoporre alla vostra attenzione quello che a nostro giudizio è uno dei più importanti ovvero la proposta di legge di riforma della normativa in materia di testimoni di giustizia (PDL 3500, Bindi-Gaetti). Un tema sul quale anche la Commissione parlamentare antimafia ha redatto e approvato una specifica relazione, sulla quale l’Assemblea di Camera e Senato hanno da tempo espresso pieno consenso attraverso l’approvazione di appositi atti di indirizzo”, si legge nella lettera inviata al Presidente Grasso.
“L’approvazione della proposta di legge non è solo uno dei punti che noi scriventi abbiamo inserito in un appello pubblico che abbiamo rivolto, a gennaio di quest’anno, al Governo e al Parlamento ma è, soprattutto, un provvedimento atteso da tempo dai testimoni di giustizia, ovvero da cittadini onesti, con un alto senso dello Stato, che hanno avuto il coraggio di denunciare dei gravi reati alle autorità competenti, contribuendo a bonificare l’Italia dall’invasività delle mafie, della corruzione e del malaffare – proseguono i gruppi che hanno sottoscritto la lettera – Per questi motivi, siamo unanimemente a chiedervi di calendarizzare il provvedimento in occasione della prossima Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari e, successivamente, di discuterlo e approvarlo in Aula. Chi ha messo in gioco la propria vita e quella dei propri famigliari, dovendo vivere sotto scorta, cambiando spesso identità e luogo di residenza e di lavoro per evitare di essere intimidito e assassinato, ha il diritto di sentire forte e chiaro che le istituzioni sono schierate chiaramente dalla sua parte.”
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15 novembre 2017
Testimoni di giustizia al Viminale, Nessuna rsiposta dal Ministro degli Interni Marco Minniti. Movimento lotta alla criminalità organizzata: “Cosa assurda che Minniti non accolga un’associazione contro la criminalità organizzata”.
“L’antiracket non viene preso in considerazione dal capo del Viminale e l’associazione Movimento per la lotta alla criminalità organizzata è costretta a manifestare sotto Palazzo Chigi e sotto il Viminale – fa sapere in una nota Luigi Coppola, testimone di giustizia e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata – Una cosa assurda che Minniti non accolga un’associazione contro la criminalità organizzata. Un solo fatto giustifica il tutto ovvero che a presiedere l’associazione ci sia un testimone di giustizia.”
“Se ciò riscontrasse al vero sarebbe di una gravità enorme. Mi auguro di sbagliare almeno una volta nella vita. Altrimenti la mia tesi e confermata il testimone di giustizia è un rompiscatole per lo Stato”, chiosa Luigi Coppola.
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Scheda sul Sistema Odevaine Fonte: Vittorio Martone, 2017
14 novembre 2017
Mafia Capitale nell’Operazione Mondo di Mezzo. Alcuni dati raccolti da Vittorio Martone, autore del libro ‘Mafie di mezzo. Mercati e reti criminali a Roma e nel Lazio’.
“L’Operazione Mondo di Mezzo è ‘la teoria del mondo di mezzo compà, ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo’ (Dai documenti del Tribunale di Roma del 2014, p. 432)”.
Le due realtà venute a galla, il mondo di sotto, versante nero in cui “l’autorità di Massimo Carminati risiede nelle sue origini nei movimenti eversivi neofascisti confluiti nella Banda della Magliana, impersonata da Massimo Carminati con contatti tra criminali di strada, i trafficanti e le altre mafie del Sud.”
E il mondo di sopra, versante rosso “dove ci sono politici, imprenditori e pezzi delle istituzioni: è l’ ‘area grigia’ di Massimo Carminati, suo punto di forza; qui opera Salvatore Buzzi, anima rossa del clan, con una costellazione di cooperative (rifiuti, verde, alloggi, rom, rifugiati …)”.
Gli affari ruotano attorno al “network dei servizi sociali”.
“Su 1850 procedure negoziate (10% totale) nel 2012-2014 vi è ricorso generalizzato ed indiscriminato a procedure prive di evidenza pubblica, in difformità e in elusione alla normativa di settore, con conseguente incremento di possibili fenomeni discorsivi che agevolano il radicarsi di prassi corruttive” (ANAC 2015)
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18 settembre 2017
Ma poi si pone la lecita domanda :ma perché chi dovrebbe essere al mio fianco non ce e sembra quasi il mio nemico.
Ce poco da intuire il nemico di coloro che denunciano il malaffare criminale diventa lo stato ed in maniera incisiva il Viminale che lei ad oggi dirige.
Lei sign Ministro dell’interno si è sempre distinto per la sua vicinanza ai testimoni di giustizia soprattutto quando ricoprì il ruolo di sottosegretario e presidente della commissione centrale ex art 10.
Fu lei nel 2007 a farmi ritornare nel mio luogo di origine a Pompei proprio per dimostrare che lo stato non doveva permettere a chi denuncia di scappare via ed io vi apprezzai tanto.
Ma oggi che lei si ritrova al capo del Viminale sembra non accorgersi che la situazione dei testimoni di giustizia è assai peggiore di quella di dieci anni fa.
Personalmente le ho più volte scritto per un incontro e quando dico incontro non intendo il manifestare davanti al Viminale ma mai vi è stata una risposta.
A questo punto mi perdoni la franchezza sign Ministro ci vediamo costretti a pensare di dover manifestare e non credo che lei possa ordinare di far allontanare a
manganellate i pilastri portanti della già esile legalità di questo paese.
Cord saluti
Luigi Coppola testimone di giustizia e presidente del movimento per la lotta alla criminalità organizzata

Carmine Mocerino – Gennaro Ciliberto
8 settembre 2017
Testimone di Giustizia campano: “Il presidente anticamorra Mocerino non mi riceve da tre anni.” Lettera aperta per chiedere un incontro. “Sto lottando per tornare nella mia città e ci riuscirò”.
“All’ On. Carmine Mocerino
Presidente Anticamorra e Beni Sequestrati
Regione Campania
Oramai sono due anni che attendo un incontro con Lei …
Certo che se potessi vivere a Somma Vesuviana la potrei incontrare al bar o per strada. Ma vede io, testimone di giustizia, non posso vivere a Somma perché per lo Stato sono in imminente pericolo di vita.
Per lungo tempo ho atteso la sua disponibilità ad un incontro, ma vedo che non le interessa.
Mi congratulo con Lei per aver partecipato al ricordo di un uomo onesto che ha dato la vita per un atto di coraggio e di legalità. Ma io da vivo vengo dimenticato da Lei.
La camorra, i beni confiscati a cui Lei presiede dovrebbero essere motivo di scambio tra lei uomo delle istituzioni ed io testimone di giustizia cittadino Sommese.
Sa, Presidente, in Italia siamo solo 79 testimoni di giustizia e una città come Somma, per anni ostaggio di famiglie criminali, dovrebbe ricordare un suo cittadino.
Forse per Lei non merito la sua disponibilità. E pensare che prima di essere testimone di giustizia se la cercavo mi riceveva senza alcun problema.
Presidente Mocerino, io sto lottando per tornare nella mia città e mi creda ci riuscirò anche se attualmente sembra che non faccia piacere a tanti.
Gennaro Ciliberto, Testimone di giustizia.”
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Contro la camorra (Fonte: web)
1 settembre 2017
In fase di partenza un progetto di recupero di giovani dalla criminalità.
Testimone di giustizia chiede a Salvatore di Sarno, sindaco di Somma Vesuviana, di essere al suo fianco in questo progetto. “Appello alla cittadinanza, di essere protagonista di questo rinnovamento culturale.”
“Il PRL (Progetto Recupero Legalità) nasce da un’idea di un testimone di giustizia e una professionista del settore già impegnata da anni in analisi della criminologia.
Anni di esperienza che oggi saranno a breve messi in campo in un territorio dove per anni la camorra ha allevato i suoi soldati – dice in un comunicato Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano promotore dell’iniziativa – Non retorica o spot ma una vera è propria iniziativa puntata al recupero di quei soggetti che sono individuati dalla criminalità. Giovani, ragazzi e ragazze, che dal bullismo passano a reati di micro criminalità per poi essere soldati di camorra.”
“Questo progetto sarà sicuramente una prima iniziativa, puntare al recupero di questa fascia che mette in serio pericolo l’incolumità degli stessi e di un’intera popolazione. – prosegue Ciliberto – L’apertura sociale a questo fenomeno non deve essere preclusa ai solo operatori ma deve coinvolgere la società civile, le forze dell’ordine e la politica. Quella politica che deve saper dimostrare che il vero cambiamento giunge anche da quell’esempio che ogni uomo delle istituzioni deve saper affermare in ogni propria azione.”
“Oggi un Sindaco amico, il quale da anni ha condiviso la vera parola Legalità, sarà nostro alleato nell’attuazione del PRL.
Presto illustreremo le fasi del progetto e rinnoviamo l’appello a tutta la cittadinanza che deve essere protagonista attiva di questo rinnovamento culturale” conclude Gennaro Ciliberto.
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Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia
24 agosto 2017
Testimoni di giustizia, la vita dopo la denuncia – Lettera di un testimone di giustizia sul prezzo dell’onestà. “Chi denuncia viene additato come colui che mette a rischio migliaia di posti di lavoro.”
“Quella parola onestà che tanto fa paura e quei milioni di euro che hanno vinto sulla giustizia…
A 38 anni ero un manager affermato, uno di quei giovani che ci mettevano l’anima nel loro lavoro. Un uomo affermato che puntava a raggiungere livelli alti nel mondo delle grandi opere.
Ho partecipato a riunioni dove l’importo dei lavori stanziati era a 9 zeri. Ho stretto mani importanti che oggi sono ai vertici di aziende internazionali. Ma ho anche visto e denunciato il modus operandi della corruzione e di come la camorra dei d’Alessandro per anni si infiltrava nei lavori pubblici autostradali.
Accadeva da anni ed in soli due anni ho rendicontato tutto il marcio. Ho denunciato da solo e spontaneamente nel massimo dell’onestà.
L’ho fatto perché molte vite umane erano in pericolo, l’ho fatto perché non mi sono venduto ai soldi ed al potere, quel potere che mi faceva vivere attorniato da tante persone che poi si sono rivelate degli opportunisti.
Ho pagato solo io questa mia onestà.
Molti degli indagati hanno fatto carriera e gli altri sono scomparsi per essere collocati in posti di comando con la sola regola del silenzio.
Chi denuncia è additato come un infame, un traditore, come colui che mette a rischio migliaia di posti di lavoro.
Tutti si accaniscono su di te e in molti cercano di capire perché hai denunciato.
Ad oggi ho perso la famiglia, la salute, il mio agiato tenore di vita, le amicizie, il futuro.
Questo è cosa ad oggi ho pagato per aver denunciato quel sistema criminale di camorra spa.
Mai nessuno si è chiesto come io possa vivere oggi… Mai nessuno mi ha dato l’opportunità di riprendere la mia attività…
Oggi ho solo una certezza che l’onestà fa paura, ma non solo alla camorra.
Gennaro Ciliberto, un testimone di giustizia.”
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Clemente Mastella, vitalizi. Testimoni di giustizia
7 agosto 2017
Vitalizi e diritti. Dopo la polemica del neo sindaco di Benevento, Clemente Mastella, che ha dichiarato di non voler rinunciare al vitalizio e che ha aggiunto altrimenti “vado alla Caritas”, la reazione di un testimone di giustizia. “Ennesima offesa a chi vive con meno di mille euro.”
“Noi testimoni di giustizia ridotti alla fame dopo aver denunciato le mafie e a chiedere aiuto alla Caritas si sentiamo offesi dalle affermazioni di Mastella – commenta Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano – Vivere con 10mila euro mensili forse per Mastella e famiglia è un grosso sacrificio se pensiamo che con tre figli e sei nipoti è dura. Questa ennesima offesa a chi vive con meno di 1000 euro ha il sapore dell’arroganza di un potere che vuole affermare dei privilegi a discapito del popolo.”
“Se vuole, il Dott. Mastella, lo accompagno io alla Caritas. Basta farsi la tessera”. chiosa infine Ciliberto.
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29 luglio 2017
Testimoni di giustizia, lettera aperta di untestimone di giustizia sulla vicenda di Luigi Leonardi.
“Lettera al Sig.Leonardi e al Dott.Sgarbi
Le scrivo per la terza volta ma Lei non risponde.
Il perché del suo silenzio? Forse Lei o è troppo importante oppure altro …
Tanto per puntualizzare Lei ha rifiutato il programma speciale testimoni di giustizia poiché tale programma da Lei richiesto e ribadisco da Lei richiesto alla DDA partenopea si è trasformato come da delibera della commissione centrale ex art.10 da testimone a collaboratore ovvero c.d. PENTITO.
Non entro nel merito delle decisioni della commissione centrale ma come Lei saprà bene tale commissione chiede pareri alla DNA.
Se poi Lei come sua facoltà è ricorso prima al Tar e poi in Consiglio di Stato e ci risulta che entrambi non Le hanno dato ragione .
La commissione centrale in una ultima delibera Le ha comunicato che Lei per ragioni di sicurezza debba essere trasferito in località segreta, ma con la qualifica di collaboratore.
Le rinnovo il mio appello dica la verità la verità ….
Se poi è stato capace di diventare un collaboratore di serie A ben venga ma non esistono testimoni di serie A o di serie B ma esistono testimoni di giustizia e collaboratori di giustizia figura ben definita dalla legge 45/2001.
Gennaro Ciliberto, Un Testimone di Giustizia”
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Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia
27 luglio 2017
Testimoni di giustizia, Avviato progetto a sostegno delle vittime della camorra. “Ci aspettiamo una forte risposta da parte del popolo onesto”
“Un gruppo di testimoni di giustizia campani uniti in un progetto di solidarietà a supporto di tutte le vittime di camorra. ‘Mai più SOLO’ questo è il progetto che unisce chi ha sofferto e soffre da vittima di camorra.” Così presenta il progetto a sostegno delle vittime della camorra in un comunicato Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano che otto anni fa denunciò l’infiltrazione della camorra inun appalto pubblico.
“Testimoni di giustizia che hanno vissuto sulla propria pelle l’aver denunciato la camorra ed essere stati troppo spesso usati per poi essere abbandonati. Un’esperienza che verrà messa a disposizione di chiunque chieda un aiuto, quell’aiuto concreto e non fatto di spot e passerelle”, prosegue il comunicato.
“Oltre ai testimoni di giustizia ci saranno avvocati, psicologi e commercialisti. La materia in questione è molto delicata e non sempre le richieste a chi spettano le decisioni in termini di tutela e risarcimento sono formulate correttamente.
Questo gruppo, che è in fase di organizzazione, sarà presente al fianco di chiunque abbia denunciato la camorra. – spiega Ciliberto – Il progetto vuole distinguersi dalle precedenti iniziative che tristemente ad oggi non hanno avuto il giusto riscontro. Sempre di più leggiamo i messaggi che ci giungono da chi è vittima della camorra. Questi uomini e donne oltre al danno pagano la beffa dell’assenza di umanità, oltre a quelle promesse sempre disattese. Non si può dire ad un uomo nel deserto che deve attendere l’acqua, come non si può promettere la luna nel pozzo.
Ci attendiamo una forte risposta da parte del popolo onesto e apprezzeremo chi vorrà dare il suo sapere a questa causa.”
“Le vittime di camorra da oggi possono contare su un aiuto concreto perché non si può essere lasciati soli dopo aver denunciato e aver dato quel supporto decisivo al contrasto alla camorra. Il bene comune è difendere ogni persona che ha subito la violenza della camorra” conclude il comunicato.
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I Don’t Mafia, manifesto evento
1 luglio 2017
Mafie e periferie. Fonte Nuova (RM) 2 luglio, dibattiti e spazi di incontro con l’associazione Metamorfosi per dire ‘I Don’t Mafia’.
Nomi e voci che rappresentano impegno e lotta alle mafie nell’hinterland romano, con la giornalista Federica Angeli, Amnesty International, l’associazione Libera contro le Mafie, Radio Impegno e tanti altri. “A Fonte Nuova rompiamo il silenzio. Per la prima volta dalla nascita del nostro giovane comune, parliamo apertamente di mafie, insieme. Il 2 luglio 2017 “I DONT’ MAFIA” in piazza Padre Pio dalle 16 alle 24 per capire come la mafia sia radicata nel nostro territorio”, spiega in un comunicato l’associazione Metamorfosi, organizzatrice dell’evento. Parte da un piccolo comune alle porte di Roma l’impegno civile di parlare di mafie, rivolgendosi a tutta la cittadinanza e non solo. “A Fonte Nuova era Felice Maniero, l’ex boss della mala del Brenta, cosiddetto Faccia D’Angelo, che intratteneva rapporti con l’amministrazione locale, appaltando casette dell’acqua poi rivelatesi addirittura dannose”, prosegue nel comunicato l’associazione. Tra dibattiti, proiezioni e uno spettacolo teatrale la giovane associazione Metamorfosi mette una prima pietra a questo progetto di legalità, anche con l’inaugurazione alle 17.30 del cartello stradale della nuova via intitolata a Giuseppe Impastato (Peppino) iniziativa anch’essa promossa dall’associazione. Da Cinisi a Fonte Nuova, dalla Sicilia a Roma e non solo, per parlare di mafie anche e soprattutto nelle comunità più giovani dove la criminalità è già approdata. L’impegno di lotta alla mafie di Peppino Impastato che parte dall’abbattere il muro di omertà e indifferenza del suo paese e far riscoprire la bellezza, si attualizza con il nome e il motto di questa giornata, che è un progetto, ‘I Don’t Mafia’.

I Don’t Mafia, programma evento
“I DON’T MAFIA è il primo e più importante progetto culturale del 2017 per METAMORFOSI – si legge nella nota dell’associazione – L’idea è promuovere la lotta contro le mafie e l’informazione in merito, in tutte le forme possibili, a Fonte Nuova. Come possiamo ben sapere, poche sono le iniziative ogni anno che vengono promosse per la cittadinanza in materia di mafie, bensì di trasparenza e buona amministrazione.”
“La piazza è paragonabile a una scatola contenente tutte le informazioni, all’interno della quale il nostro impegno è creare il percorso giusto affinché tutti i target d’età e conoscenza possano apprenderne il più possibile. Il tutto accompagnato da un punto gastronomico dedicato al Food Truck, grazie al quale si può condividere il pasto giornaliero e restare per l’intero evento. Le diverse attività gastronomiche saranno unite da un angolo relax, che favorirà l’inclusione e la convivialità.
Partecipare è già lottare”, conclude l’associazione.
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Logo Movimento per la lotta alla criminalità organizzata
9 giugno 2017
Testimoni di giustizia e assunzioni. Luigi Coppola, Movimento per la lotta alla criminalità organizzata: “Chiediamo di sapere chi sono i meritevoli che hanno ottenuto l’assunzione”. Di seguito il comunicato.
“Dopo che lo stesso Viminale asserisce che vi sono state tre assunzioni in più di due anni mi viene da dire che questa legge sulle assunzioni dei testimoni di giustizia è una vera farsa.
A noi del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata ci preme sapere il perché di sole tre assunzioni a livello nazionale contro le ventisei della sola Sicilia.
Più volte ci è stato detto che le Regioni erano disponibili ad assumere, tra queste spiccava la Campania ma dove stanno quindi questi posti vacanti da coprire con i testimoni?” chiede in un comunicato Luigi Coppola, testimone di giustizia di Pompei e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata.
“E chi sono questi meritevoli tre che si sono aggiudicati il posto fisso. Vogliamo capire su quali basi oppure si è tirato a sorte ?
Non ci stupiremmo se ad essere assunti siano stati coloro che percepiscono un contributo mensile e a seguito dell’assunzione la commissione centrale ex art 10 ha valutato un certo risparmio.
Ciò sarebbe iniquo per chi già fuoriuscito da anni è stato tagliato fuori sia da imprenditore che da ogni possibile reddito.
Lo chiederemo al ministro Minniti il quale stranamente non sembra disponibile né al dialogo con un incontro né al rispondere alle nostre missive.” prosegue Coppola, che alle prossime elezioni amministrative di Pompei è candidato al consiglio comunale.
“Lo faremo nei prossimi giorni con una permanente e massiccia presenza di tdg davanti il Viminale.
Noi saremo lì civilmente e capiremo se il ministro dell’Interno Marco Minniti persona sensibile con chi denuncia la criminalità organizzata sia rimasto tale oppure ci volterà le spalle come tanti fanno.” conclude Luigi Coppola testimone di giustizia e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata.
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15 maggio 2017
Elezioni amministrative. A Somma Vesuviana ritirate i candidati di Pd e liste di centro ritirano le candidature segnalando infiltrazioni camorristiche. Lettera al senatore Filippo Bubbico: “Non possiamo non scoprire un interesse della camorra alla politica. Somma Vesuviana non può essere abbandonata.”
“Erg. ViceMinistro Sen. Bubbico, Le scrivo come cittadino Sommese nonché testimone di giustizia, nella mia amata città.
L’undici di giugno 2017 dovrebbero svolgersi le elezioni comunali, uso il dovrebbe poiché in questi ultimi giorni la democrazia ha subito un vero e proprio attacco. Più di una lista ha dato la resa, una resa però alla luce degli ultimi eventi non politica ma costretta.
Organi di stampa hanno riportato le dichiarazioni dell’On. Mocerino già presidente della commissione anticamorra in Regione Campania, nelle dichiarazioni si parlava di clima ostile e intimidazioni. Intimidazioni che hanno addirittura portato alla resa il candidato Pd dott. Bianco e la ritirata del simbolo e della lista Pd” afferma Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano, rivolgendosi al viceministro Bubbico dopo le recenti vicende che hanno agitato le imminenti elezioni comunali a Somma Vesuviana.
“Egregio Sen. Bubbico tali circostanze ora al vaglio dei carabinieri portano un’intera popolazione a porsi una domanda.
La risposta la deve dare lo Stato, la prego vivamente di interessarsi alla vicenda nel suo ruolo istituzionale, non possiamo permetterci di lasciare dubbi sull’espressione democratica del voto. Non possiamo non scoprire ove ci fosse un interesse della camorra ad entrare nella vita politica. Non si può accettare che un partito come il Pd si astenga.
Lei sa bene la stima che ho nei suoi confronti, Somma Vesuviana non può essere abbandonata. Il popolo di Somma non merita questo.
Con eterna gratitudine”, conclude Ciliberto nel suo comunicato.
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2 maggio 2017
Testimoni di giustizia, la nuova legge bloccata al Senato. Gennaro Ciliberto, tdg: “Questa legge non rimanga una promessa elettorale o beffa”.
“Giungono notizie che la legge 3500 sui testimoni di giustizia già licenziata al parlamento è ferma al Senato. Questa legge firmata all’unanimità da tutti i gruppi politici non sarà legge finché non sarà approvata al Senato. I testimoni di giustizia stanno vivendo l ‘ennesimo dramma amplificato da questa incertezza sulla durata del Governo. – dice Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia – Se dovesse a breve aprirsi una crisi di Governo tutto l’impegno di chi ha voluto questa legge sarà vanificato in un nulla, in particolare l’on. Mattiello presidente del V comitato per i testimoni di giustizia presso la commissione antimafia che tanto ha lavorato per le relazioni.”
“Dopo 20 anni dalla entrata in vigore della legge 45/2001 che tanto ha danneggiato la figura del testimone di giustizia spesso confuso con la figura del ‘pentito’. – prosegue Ciliberto – La legge 45/2001 ha troppo spesso fallito, distruggendo il futuro di chi da persona libera è stata esiliata lontano dalla propria terra nativa vedendo distrutto presente e futuro.”
“Oggi i testimoni di giustizia ammessi a programma di protezione sono una ottantina e vivono un disagio quotidiano anche perché ci sono determinate condizioni dove l’attuale legge pone dei limiti. Un Governo che dice di lottare contro ogni mafia non deve maltrattare questi uomini e donne che hanno dato la loro vita per la giustizia facendo condannare mafiosi e rompendo il muro di omertà. Questa legge non può restare una promessa elettorale o l’ennesima beffa per chi da anni chiede diritti” conclude Gennaro Ciliberto.
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Fonte: web
30 marzo 2017
I professionisti dell’antimafia. Testimone di giustizia denuncia: “Condizioni precarie di protezione, ma pochi denunciano il sistema”.
“C’è una strana situazione che giorno dopo giorno sta crescendo. Un sistema nato per proteggere e garantire l’integrità psicologica dei testimoni si sta da tempo trasformando in una tortura – spiega Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia che vive sotto protezione – Sono 78 i testimoni ma solo in pochi hanno la forza ed il coraggio di narrare come si viene trattati durante la protezione. Forse quei pochi sono degli impostori? O forse dicono bugie?
No, il problema si traduce in frase “vai avanti Tu che io poi vengo”. Il lamentarsi oppure l’innescare polveroni inutili non serve a nulla”.
“I Big così autodefinitisi sono solo un fenomeno da carrozzone circense.
I presidenti i vice i super applauditi sono solo povere vittime che prima di esserlo sono stati carnefici, vendendo la sofferenza dei propri simili per un pugno di denaro o una promessa di un futuro posto in pool nel sistema – prosegue Ciliberto – Forse adesso i lupi travestiti di agnelli leggendo si uniranno nella costruzione della risposta, la bugia, avallata da chi a tutto l’interesse di frammentare.
Dalla Sicilia al Trentino ognuno asserisce di passare l’inferno ma nella reazione civile ed unita si innescano i personalismi le lobby, “Io sono Io tu sei nessuno, ma hai capito io di chi sono amico?”. E con tanto di telefonate calunniatorie si intenta la conquista da leader.
Se poi ci mettiamo che vi è una regia nel far trapelare notizie riservate, allora tutto diventa una organizzazione”.
“Leggete lupi ed apprestatevi alla battaglia anche se siete abituati a lanciare pietre da dietro ai cespugli perché? Perché siete vigliacchi …e infangate il vostro essere paladini della legalità.
A te uomo …..anche se uomo è tanto … non bastano le lacrime di coccodrillo, la favola dei sette nani o altro, il tempo darà ragione alla verità e resterai solo, come colui che ha tradito un suo fratello lasciandolo morire e bevendo vino.
Gennaro Ciliberto, Testimone di giustizia contro la cricca”.
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Stadio San Paolo, Napoli Fonte: Web
6 marzo 2017
Testimone di Giustizia, no andare allo stadio. L’appello, anche al Napoli: “Io ho denunciato la camorra e ora non vivo più”
“Anche questa volta si ripete il No, un No che mi esclude dalla vita normale per la seconda volta. Anche questa volta qualcuno dal Servizio di protezione a Roma ha deciso che io debba non vivere una gioia, un’emozione: poter tifare la mia squadra del cuore. – dice Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia napoletano – Alla partita saranno presenti politici e magistrati e personalità che vivono sotto scorta e tutti lo hanno annunciato sui mezzi di stampa ci sarà anche il Dott. Cantone.
Ma io non sono nessuno?”
“Sono solo un napoletano testimone di giustizia che vive da anni in esilio per aver denunciato la camorra e la corruzione nelle grandi opere.
Vorrei che il mio grido di dolore arrivasse al presidente De Laurentis e ai giocatori del Napoli “Io ho denunciato la camorra e ora non vivo più”. Che esempio diamo al popolo Napoletano che chi denuncia deve vivere da fantasma per il resto della vita?” conclude Ciliberto.
Approfondimento, qui.
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Testimoni di giustizia, titoli
12 gennaio 2017
Legalità e antimafia dei fatti. Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia: “L’antimafia ipocrita che approfitta di noi si faccia da parte”.
“Tanti, forse in troppi, parlano di lotta alle mafie ma poi quando è il momento di esserci c’è l’alibi ‘non potevo’, ‘ero impegnato’, ‘sarà per la prossima volta’, ‘ti sono vicino’.
Questi finti perbenisti che della loro vigliaccheria ne hanno fatto ragion di vita, che nella massa si eleggono a paladini dell’antimafia, che come sanguisughe vivono sulla pelle di chi è morto per mano delle mafie e chi è bersaglio delle mafie. Questa finta e ipocrita antimafia è una macchina che produce denaro e che non fa altro che trasformare il dolore altrui in storie romanzate da portare in giro per l’Italia. Un’Italia malata, fatta da mazzette e raccomandazioni, di lobby e massoneria, che non lascia spazio ad una società civile troppo spesso assuefatta e rassegnata.
Arrendersi? No. …Ma se il dolore è il nostro! Se il sangue versato è dei nostri figli, padri e madri, fratelli… ! Se nelle aule di tribunale a puntare il dito siamo stati noi!
A voi dell’antimafia parolaia dico smettete di fare teatro, di approfittare delle nostre tragedie e fatevi da parte. Adesso tocca a noi!
Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia.”
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Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia
28 novembre 2016
Testimone di giustizia: “Inizio sciopero della fame. Io, ignorato dallo Stato”
“Con enorme dolore devo annunciare che sabato 3 dicembre sarò dinanzi a Palazzo Chigi per iniziare lo sciopero della fame, in protesta per la mancata attuazione del programma di protezione e il non rispetto della legge 45/2001.
Questa è l’ultima mia possibilità, nonostante sia invalido e ammalato sono costretto a questo ultimo gesto di umiliazione.
Mi sono sempre attenuto alle regole comportamentali del programma di protezione, mi sono ricostruito da solo una vita una nuova identità un lavoro … tutto da solo, ma non mi sarei mai aspettato che dallo Stato ci fosse quel silenzio che ti uccide e ti rende vittima a vita.
Sono un testimone di giustizia attualmente a programma speciale di protezione per imminente pericolo di vita, e venire a Roma a scioperare mi espone a rischio ma non ho altra possibilità.
Dopo aver inoltrato tante istanze, dopo due anni solo silenzio. Quindi da una parte lo Stato mi difende dalla camorra e dall’altra parte mi isola e ignora. Mesi e mesi per ricevere una risposta dalla commissione centrale ex articolo 10 dal presidente Bubbico …ma nulla!
Un sistema che ti reputa un peso, un rompipalle.
Basta, il 3 dicembre io sarò lì a dire al popolo onesto e a chi non mi ha mai abbandonato che lo Stato siamo noi e che un testimone di giustizia pretende rispetto e che il governo deve rispettare la legge.
Sappiate che un testimone di giustizia per poter votare deve recarsi da solo, percorrere migliaia di chilometri e anticipare centinaia di euro, e non tutti i testimoni potranno permettersi di votare.
Ho dalla mia 45mila persone che mi seguono, a loro chiedo di essermi vicino.
Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia contro la Camorra Spa.”
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Scheda, le iniziative contro la corruzione in Sanità. (Fonte: Report ‘Curiamo la corruzione’)
15 novembre 2016
La percezione della corruzione in Sanità – Report ‘Curiamo la corruzione’ di Trasparency International Italia, 2016.
“La corruzione è percepita dall’87,2% dei dirigenti sanitari intervistati come un problema che rimane grave e che necessita di una pluralità di interventi. Addirittura, il 98,7% degli intervistati ritiene che si tratti di uno dei maggiori problemi che in questo momento affliggono il Paese.
La corruzione è percepita come una questione che interessa trasversalmente tanto il settore pubblico quanto quello privato, che non è circoscritta a qualche ambito particolare, anche se risulta particolarmente diffusa nel comparto Sanità.
L’ambito più a rischio viene individuato nelle gare d’appalto, allorquando le strutture sanitarie si trovano ad avere a che fare con committenti esterni per l’affidamento di contratti relativi all’acquisto di beni e servizi o per la realizzazione di opere. (…)
All’indagine hanno partecipato 151 strutture sanitarie, pari al 45,3% del totale delle strutture contattate. (…) Su tutte le risposte aleggia la certezza che la corruzione sia resa possibile e agevolata dal mal funzionamento della Pubblica Amministrazione, che crea pericolosi interstizi all’interno dei quali possono insinuarsi le attività illecite, e che non siano sufficienti leggi e attività di controllo per arginare e, soprattutto, per prevenire il fenomeno, ma che sia invece necessario procedere ad un’azione di semplificazione e informatizzazione delle procedure che limitino al massimo gli spazi di intervento. Gli intervistati sembrano convinti che quella della corruzione sia una questione che va aggredita su più fronti, assicurandosi in primo luogo dell’indipendenza e dell’integrità di chi occupa le posizioni apicali, e garantendo, attraverso la rotazione degli incarichi, che non si creino le condizioni perché sia possibile acquisire rendite di posizione che consentano di abusare del proprio potere per coltivare interessi di tipo personale. C’è inoltre la convinzione che gli interventi di carattere normativo e organizzativo vadano accompagnati ‘dal basso’, con azioni minute di sensibilizzazione e di informazione di tutto il personale per far comprendere quale sia il peso socio-economico delle pratiche corruttive, facilitare l’individuazione delle stesse, introdurre alla pratica del whistleblowing (procedure per la segnalazione di casi di corruzione e azioni a tutela dei dipendenti che effettuano le segnalazioni di illecito).”
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Minori e sfruttamento del lavoro (Fonte: Ansa)
20 ottobre 2016
Legge sul caporalato. Coldiretti: “Ora tutele anche per i minori sfruttati nei campi”
“Con la legge sul caporalato l’Italia si pone all’avanguardia nella tutela del lavoro nei campi che va estesa anche ai prodotti importati che sono ottenuti anche dallo sfruttamento del lavoro minorile che riguarda 100 milioni di bambini secondo l’Organizzazione Internazionale del lavoro (ILO). Occorre ora garantire che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una equa distribuzione del valore. Se i prodotti agroalimentari italiani sono ora garantiti (…) sono molti i prodotti importati sui quali – sottolinea in un comunicato la Coldiretti – pesa addirittura l’ombra dello sfruttamento minorile.”
“Un fenomeno diffuso nel tempo della globalizzazione dei mercati che – continua la Coldiretti – si fa paradossalmente finta di non vedere solo perché avviene in Paesi lontani e che viene spesso addirittura incentivato da accordi europei agevolati per l’importazione di prodotti alimentari, dal riso del Myanmar all’olio dalla Tunisia fino alle trattative in corso, anche per i prodotti frutticoli, con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) dove non ci sono le stesse norme di tutela dei lavoro vigenti in Italia.”
“Alla globalizzazione dei mercati deve far seguito quella delle regole a sostegno di un commercio equo e solidale che valorizzi i prodotti di quei territori che si impegnano a tutelare il lavoro, ma anche a rispettare l’ambiente e la salute” ha concluso il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo nel sottolineare che ci vuole “una responsabilizzazione della filiera ed un impegno concreto delle Istituzioni”.
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Testimoni di giustizia, diritti e tutele
12 ottobre 2016
Anci, “Bloccate le assunzioni”. E i testimoni di giustizia aspettano ancora.
“La legge per l’assunzione nella pubblica amministrazione dei testimoni di giustizia varata più di due anni fa è ferma al palo, e resta un miraggio il lavoro. Esponenti dell’Anci oggi riuniti a Bari hanno dichiarato che i comuni hanno le mani legate per le assunzioni, poiché il governo centrale ha bloccato le assunzioni per far fronte ai tagli dei costi nella pubblica amministrazione. I testimoni di giustizia hanno come ultima speranza questa opportunità, come unico reinserimento sociale. La legge c’è, ma il lavoro?
Un appello al premier Renzi, che sino ad ora ha taciuto su questa questione forse troppo impegnato in altro. Questo non è un buon messaggio per chi ha servito lo Stato mettendo a rischio la propria vita e quella dei propri familiari” dichiara Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia.
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Dati sul divario occupazionale tra uomini e donne
12 ottobre 2016
Il Pay Gap Gender nel 2016. Italia tra le più diseguali.
“A livello dell’UE, il divario retributivo di genere è definito come la differenza relativa delle retribuzioni orarie lorde medie delle donne e degli uomini all’interno dell’economia nel suo complesso. Nel 2012, la media UE è stimata a 16,4%. Il divario di genere qui analizzato è definito come la differenza tra i tassi di occupazione degli uomini e delle donne in età lavorativa (15-64 anni). In tutta l’UE, il divario occupazionale di genere è stato del 10,5 punti nel 2014, il che significa che la percentuale di uomini in età lavorativa nel mondo del lavoro ha superato quella delle donne da 10,5 punti.
Il divario occupazionale di genere varia notevolmente tra gli Stati membri. Nel 2014, il divario più basso è stato segnalato in Finlandia (1,5 punti percentuali), seguita dalla Lituania (1,6 pp), Svezia (3,4 pp) e Lettonia (4,1 pp). Questi quattro erano gli unici Stati membri dell’UE, con un divario occupazionale di genere non superiore a 5 pp All’altra estremità della scala, cinque Stati membri hanno registrato un gap sopra 15 pp, ossia la Romania (15,4 pp) Repubblica Ceca (16,3 pp), Grecia (16,9 pp), l’Italia (17,9 pp) e Malta (25,4 pp). Ciò è dovuto alla minore partecipazione delle donne nel mercato del lavoro in questi paesi.
Per la popolazione nel suo complesso, il tasso di occupazione delle persone di età compresa tra 15-64 nel 2014 variava dal 49,4% al 74,9%. Tra i paesi con i maggiori divari occupazionali di genere, sopra 15 pp, il tasso di occupazione in Grecia (49,4%), l’Italia (55,7%), la Romania (61,0%) e Malta (62,4%) è inferiore alla media dell’UE, mentre era superiore nella Repubblica Ceca (69,0%).
Oltre il divario retributivo di genere, sulla base di guadagni orari, la differenza tra il reddito medio annuo di donne rispetto agli uomini è influenzato anche dalla maggiore percentuale di dipendenti part-time tra le donne. Ciò è dimostrato dal ‘ore Gender Gap’, che rappresenta la differenza tra il numero medio di ore mensili corrisposti a uomini e donne, espressi in percentuale di ore medie pagate agli uomini. Nell’ottobre 2010, in tutta l’UE, le donne sono state pagate in media il 14% in meno di ore rispetto agli uomini al mese. Il numero di ore retribuite per gli uomini è molto simile in tutti i paesi dell’Unione Europea, mentre le modalità part-time per le donne differiscono in modo sostanziale. Per i Paesi Bassi, il divario di genere si distingue ore, al 29%, il che significa che i dipendenti di sesso femminile di lavoro sono pagati in media il 29% in meno di ore al mese rispetto agli uomini. All’altra estremità della scala, la Bulgaria e l’Ungheria hanno registrato un divario di genere che era vicino allo zero.
Nel dicembre 2015, la Commissione europea ha adottato il ‘Coinvolgimento strategico per la parità di genere 2016-2019’. In questo programma di lavoro, la Commissione ha ribadito il suo impegno a continuare il suo lavoro per promuovere la parità tra uomini e donne. Ciò significa mantenere al centro della politica di parità di genere sulle cinque aree tematiche prioritarie esistenti:
• aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e la pari indipendenza economica delle donne e degli uomini,
• riducendo la retribuzione tra i generi, i guadagni e le lacune previdenziali e combattere la povertà tra le donne in tal modo,
• promuovere la parità tra donne e uomini nel processo decisionale,
• la lotta contro la violenza di genere e la protezione e il sostegno alle vittime,
• promuovere la parità di genere e dei diritti delle donne in tutto il mondo.
Nel 2014, la maggior parte dei paesi dell’Unione europea ha registrato un differenziale retributivo di genere più elevato nel settore privato che nel settore pubblico. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che nel settore pubblico, nella maggior parte dei paesi, i dipendenti sono protetti da un contratto collettivo e gli altri contratti simili che istituiscono paga.”
Dal Rapporto Eurostat Pay Gap Gennder 2016.
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Logo Movimento per la lotta alla criminalità organizzata
3 ottobre 2016
Luigi Coppola: “Chiediamo un incontro con il Procuratore Roberti in difesa dei testimoni di giustizia”
“Come testimone di giustizia e come presidente di un Movimento nato per lottare la criminalità organizzata promuovendo la denuncia mi ritrovo sempre più disarmato. E non certo per una deficienza mia o del movimento, ma per l’incapacità o la non volontà istituzionale nel voler risolvere i problemi dei testimoni di giustizia e di coloro che denunciando le mafie finiscono per pentirsene. – afferma in un comunicato Luigi Coppola testimone di giustizia e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata – I problemi sono tanti e sarebbe troppo lungo elencarli. Ma vale la pena citarne alcuni, ovvero la poca o per niente sicurezza garantita a chi esce dal programma di protezione maggiormente per chi rientra in località di origine o per chi decide di non entrare a programma.”
“Come Movimento per la lotta alla criminalità organizzata posso confermare che le denunce non arrivano e ciò é riconducibile alla sfiducia nei confronti dello Stato che abbandona, come da copione di un film, chiunque abbia fatto l’atto quasi eroico di denunciare. – aggiunge Coppola, che ha deciso di candidarsi il prossimo maggio, 2017, a sindaco di Pompei – E se poi passiamo al capitolo assunzioni c’è poco da dire se non che è stata ed è la più ignobile presa per i fondelli che poteva esserci.”
“A questo punto, considerato che la politica è sorda, e preciso nessuno escluso, questo Movimento si vede costretto a chiedere l’autorevole intervento del Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti al quale chiediamo da subito un incontro per chiedere un serio intervento in difesa dei soprusi e angherie a cui siamo sottoposti. Ci auguriamo che almeno Roberti sia rimasto quel garante di legalità e vicinanza per chi ha denunciato la criminalità organizzata.
Noi della politica siamo nauseati.” conclude Luigi Coppola nel comunicato.
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I quadri di Van Gogh recuperati dalla Guardia di Finanza
2 ottobre 2016
Affari della camorra. Van Gogh in cambio della droga.
“La camorra custodisce le opere d’arte per usarle come scambio. Infatti il grande valore delle opere permette di acquisire grandi partite di droga. – spiega Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano – Non manca la complicità di professionisti dell’arte che oltre a segnalare le opere da rubare, trovano l’acquirente.” Aggiunge Ciliberto: “La camorra si evolve: non più solo estorsioni ma grandi furti di opere d’arte e rapine a porta valori, tutto realizzabile con alleanze con altre mafie. Non è un caso che l’ultimo rinvenimento dei Van Gogh sia avvenuto a Castellammare di Stabia dove il clan D’Alessandro ha ramificazioni in tutta Italia.”
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Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia
29 settembre 2016
“Umiliato da un No che è prassi.”
Lettera aperta di un Testimone di giustizia, a cui ieri è stata negata la possibilità di recarsi allo stadio San Paolo a Napoli. E adesso si chiede perchè certe autorizzazioni avvengono a singhiozzo, senza una linearità di decisioni.
“Carissimi Italiani onesti,
Vi scrivo perché mai mi sarei aspettato questa ennesima umiliazione. Alle ore 11 del 27 settembre tutto era organizzato per poter assistere all’evento calcistico al San Paolo in Napoli, c’era stata anche una conferma verbale dal SCP (Servizio Centrale di Protezione, ndr), un Maggiore dei carabinieri disse: “Al 99% non ci dovrebbero essere problemi per la partita”. Inoltre la grande disponibilità dei carabinieri del gruppo di Castello di Cisterna dal Comandante, il Maggiore cc Dott. D’Agosto, avevano reso quel mio desiderio realizzabile e cosa dire del personale di scorta, uomini eccezionali.
Addirittura per tutelare la mia persona si erano aggiunti altri due operatori, passando dai tre con auto blindata a cinque.
Con una telefonata giunta alle ore 12 del 28 settembre, solo otto ore prima dell’evento, dal SCP giunge il No, un No che non solo mi ha turbato e distrutto sia nell’anima che psicologicamente ma che mai mi sarei aspettato. Cosa diversa se la forza territoriale avesse espresso parere negativo essendo loro responsabili della mia sicurezza.
Con un biglietto già acquistato in tribuna Posillipo e la gioia di poter gridare forza Napoli dopo dieci anni e rivivere attimi di normalità, quel No mi ha fatto capire che non solo non c’è rispetto per l’uomo Gennaro ma che dei testimoni nessuno se ne frega.
Credetemi, Italiani, come può un uomo dopo che ha perso tutto, famiglia, lavoro e ricchezza, dovendo forzatamente abbandonare i propri affetti la propria terra essere privato anche della libertà che è un diritto. Come può un testimone resistere per anni a questo calvario senza poi portare i danni per tutta la vita.
Mi ritengo un testimone fortunato, ho sempre rispettato le regole, attenendomi sempre alle direttive impartite dal SCP, ma non è facile capire perché non ci sia una linearità nelle decisioni.
A volte viaggi con una scorta di 3° livello e a volte ti fanno viaggiare da solo in treno.
A volte ti autorizzano a portarti da solo con mezzi propri in una località “x” e a volte nella stessa località ti scortano.
Dov’è l’umanità e la sensibilità di chi gestisce i testimoni?
Come questi uomini di legge considerano le nostre figure?
Perché veniamo sempre considerati dei problemi chiusi in delle cartelline di cartone con una matricola?
Ogni testimone è una matricola: da uomini e donne diveniamo un numero preceduto da una lettera, in un sistema che da anni ed anni non cambia c’è il ‘perseverare’.
Relazioni e commissioni ad oggi non hanno portato a nulla e la linea è sempre la stessa…scarsa considerazione del testimone.
Il testimone non ha diritti quindi?
Mi sento vuoto e sconfortato, e penso a chi non ha nemmeno la forza di contrapporsi a questo sistema a chi non ha più voce poiché stanco e distrutto da anni di isolamento.
Da ieri sono lontano dalla mia città (Napoli) e con me ho portato l’ennesima umiliazione che segna le ferite di noi uomini e donne per bene. A fianco a noi ci sono le nostre famiglie che soffrono quotidianamente, questo dolore fa parte di noi che troppo spesso ci chiediamo il perché non siamo solo vittime di mafia.
Ciliberto Gennaro, testimone di giustizia”.
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Luigi Coppola, testimone di giustizia
22 settembre 2016
Luigi Coppola, testimone di giustizia: “Vittima prima delle mafie, poi dello Stato”
“Prima le mafie a darci fastidio con le loro richieste di denaro, che a loro dire garantivano sicurezza alle nostre attività e alla famiglia. Questo i testimoni di giustizia imprenditori non lo hanno accettato e sono ricorsi alle autorità preposte, sia per punire gli estorsori e sia per garantire la nostra sicurezza e le nostre attività.” spiega Luigi Coppola, testimone di giustizia campano.
“Ma c’è qualcosa che non torna in tutto ciò. Le mafie prendevano un po’ di soldi e ti facevano lavorare e custodivano l’attività. Ma siccome non è previsto pagare per lavorare l’imprenditore si ribella. – prosegue Coppola – E poi che succede? Succede che lo Stato, non avendo alcun interesse né per la tua impresa né per la tua vita, comincia a farti lo sgambetto: ti porta via dal tuo paese, ti esilia, e ti fa vivere una non vita.
Poi all’improvviso ti molla del tutto e ti chiude le porte in faccia. Mentre se rimani al tuo paese o ci ritorni, come feci io allora, la cattiveria aumenta: sì perché ci sono i costi della scorta per vigilare la tua attività. E allora cominciano le provocazioni seguìte da qualche denuncia anzi nel mio caso, con atti scritti che detengo, a scopo di minaccia mi imponevano di lasciare Pompei pena la revoca della scorta e di quant’altro, e così fu. Ma io non mi sono piegato alla camorra figurati con chi si è comportato quasi peggio.”
“Ora, l’amico Cutrò è rimasto scosso dal trattamento ricevuto a Napoli e ciò mi dispiace, ma dico a Cutrò che ho subito di peggio perché lo Stato sa essere peggiore delle mafie. Bisogna resistere ma dire le cose come stanno. E non in modo solitario, che non serve a nessuno anzi dà modo di essere additato come un rompiscatole.
Denunciate le mafie, ma unitevi e fatevi rispettare dalle istituzioni.” conclude Luigi Coppola.
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Sprechi Sanità, Asl cancellerie (Fonte: curiamolacorruzione.it)
21 settembre 2016
“Circa 1 Miliardo di euro di potenziali risparmi nelle Asl per voci di spesa non sono collegate all’efficacia delle cure. Dal 2009 lo spreco ingiustificato è diminuito in media del 4,4% annuo ma in proporzione alla spesa complessiva è rimasto pressoché costante. Fino al 30% della spesa per Pulizia, Lavanderia e Mensa potrebbe essere reso più efficiente e permettere di liberare risorse per una più efficace assistenza sanitaria.
Per comprendere la natura delle inefficienze e potervi intervenire senza ricorrere ai cosiddetti ‘tagli lineari’, occorre passare attraverso l’analisi dei sistemi gestionali dai quali hanno origine e ricercare tali voci nelle articolazioni tra i livelli di governo territoriali.
La variabilità della distribuzione di alcune specifiche voci di costo in relazione a parametri strutturali quali la popolazione residente (per le Asl) e il numero dei dimessi pesato per l’indice di case mix (ICM), (per le AO), ha lo scopo di evidenziare la presenza di anomalie non giustificate all’interno di ciascuna Regione e di quantificarne un potenziale bacino complessivo a livello nazionale.” dal Progetto ‘Curiamo la Corruzione’, di aprile/maggio 2016.
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Logo Movimento per la lotta alla criminalità organizzata
14 settembre 2016
Camorra, politica e cittadini attenti.
“Che Renzi sia di facili promesse è un dato di fatto, d’altronde quale politico non lo è. Ma Napoli e i napoletani così sbagliano. – scrive in un comunicato Luigi Coppola, testimone di giustizia e presidente del Movimento per la lotta criminalità organizzata – Bisogna scendere nelle piazze ma per proteste mirate contro la camorra, che ha rubato e sta rubando il futuro la dignità e tante vite umane ad un popolo per bene quale sono i napoletani.”
“Vedere lo Stato combattere contro la stessa gente con cui dovrebbe allearsi, contro l’antistato-camorra è veramente disgustoso. – prosegue Coppola – Ma questo i napoletani non lo capiscono e magari si fanno strumentalizzare proprio dalla criminalità che vuole lo scontro con le istituzioni.”
“Se dovete fare una rivoluzione fatela contro chi vi insanguina le strade, le piazze, chi vi vende la droga nelle scuole e chi vi ha rovinato per sempre le meravigliose campagne da coltivare.
Lasciate perdere il politico di turno e siate intelligenti, perché cacciando via la camorra danneggerete anche chi fa politica sporca e collusa.
Lasciate perdere la polizia che è solamente anch’essa vittima insieme a voi!” conclude nel comunicato Luigi Coppola.
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Manifestazione anticamorra (Immagine di repertorio. Fonte: web)
14 settembre 2016
“Non serve la marcia, se poi i politici non sono presenti contro la camorra”. Lettera aperta al comune di Napoli di un testimone di giustizia.
“Al sindaco De Magistris.
All’assessore Clemente.
Napoli ha bisogno di esempi e di una vera cultura della legalità. Non serve una marcia o uno spot contro la camorra. Il male camorristico si deve combattere con i fatti non con le chiacchiere. Ma se il comune di Napoli e il sindaco De Magistris, o gli stessi assessori alla legalità, non danno voce ai testimoni di giustizia napoletani, allora di che legalità parliamo?
Noi testimoni siamo uomini e donne esempi di lotta alla camorra, ma la politica napoletana ci ignora. A Napoli c’è bisogno di esempi concreti non di comparse o fiction.
Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia.”
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Testimoni di giustizia, diritti e tutele
5 settembre 2016
La politica in chiaroscuro sui testimoni di giustizia.
“Un miracolo oppure non c’è più alcun problema che attanaglia la vita dei testimoni di giustizia? Tranquillamente posso affermare che i miracoli non avvengono e che i problemi ci sono ancora. Piuttosto si tratta della solita tregua dettata dal forte egoismo che contraddistingue la maggior parte dei testimoni di giustizia e specialmente di quelli borderline, ovvero studiati a tavolino – dichiara in un comunicato Luigi Coppola, testimone di giustizia campano – Sì perché è evidente che ce ne sono tanti, altrimenti non si spiegano alcune cose.”
“Ad esempio gli interessamenti di alcuni politici per alcuni testimoni di giustizia e il totale silenzio per la maggior parte degli altri testimoni di giustizia, magari meritevoli di attenzione (la legge è uguale per tutti è non va nè stravolta nè utilizzata a campione). E in questo spesso anche la Commissione parlamentare Antimafia si è prestata al gioco e, pur non volendo, non si è resa conto di calpestare diritti e dignità di chi non era ben rappresentato politicamente ma che era ed è meritevole di ogni appoggio dallo Stato.” commenta Coppola.
“Qualcuno si chiederà il perché di queste mie considerazioni. A taluni, sia politici che testimoni di giustizia, sono pronto a rispondere subito ma devono avere il coraggio di accettare un confronto pubblico, dove mettere sulla bilancia della trasparenza tante cose.
Io sono pronto, chi vuole si faccia avanti!” conclude nel comunicato Luigi Coppola.
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Luigi Coppola, testimone di giustizia
20 agosto 2016
Testimoni di giustizia, “Legalità sotto scorta?”.
“Denunciare è un atto civile, specialmente se si tratta di criminalità organizzata.” scrive in un comunicato il testimone di giustizia campano Luigi Coppola. “Quello però che sorprende allo scrivente, Testimone di giustizia e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata, è l’accanimento quasi morboso alla scorta, come se fosse una vera fonte di vita (per carità a volte lo è) ma che non deve diventare un’ unica prova dell’essere meritevole di attenzione da parte dello Stato, anch’esso spesso assente. Oppure non è possibile che ci si senta Testimone di giustizia o antimafie solo se si gira con scorte, ecc.”
“Stiamo dimenticando chi eravamo prima di denunciare, ovvero uomini liberi e imprenditori. Ora sembra che senza l’auto di Stato ci si senta incapaci e falliti (no non va bene) – commenta Coppola – Indignamoci per ben altro: per un’impresa che più non abbiamo e per ciò che non riusciamo più a dare alla famiglia. Incazziamoci per le assunzioni che fantomaticamente dovevamo esserci proprio per chi non si era reinserito lavorativamente. Mandiamo a quel paese questo o quel politico che cavalca l’onda dei drammi, ostentando un interesse nel proporre leggi che mai vedranno la luce e pur sapendolo ancora illudono, e nel frattempo migliaia di euro al mese li portano a casa loro.”
“Mentre il Testimone di giustizia aspetta e spera, e magari scende al loro livello per una semplice promessa ricevuta. No la legalità non è questa e non può essere generatrice di una guerra tra poveri quali i Testimoni di giustizia – prosegue Luigi Coppola nel suo comunicato –
“Io da Testimone di giustizia non mi sono opposto quando dal livello 2 di scorta passai d’incanto al livello zero. A che serviva, se non a farmi vedere debole agli occhi della camorra (io vivo a Pompei dove ho fatto condannare tantissimi pezzi di merda per associazione mafiosa). Ormai si sa lo Stato non ha nè forza nè volontà di tutelare chi denuncia, ma non per questo ci si deve arrendere. Dove invece dobbiamo pretendere e mai tacere è sul lavoro, quello sì che ti fa sentire uomo. Ma noto che ciò non dà fastidio quanto la revoca di un’autista e una vecchia tesis. Mentre le mafie godono!
Questa la mia opinione.” conclude Luigi Coppola Testimone di giustizia di Pompei.
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Testimoni di giustizia, diritti e tutele
28 luglio 2016
Testimoni di giustizia. Lavoro e la legge inapplicata.
“Avevamo alcune proposte per rendere fattibili veloci ma soprattutto reali le assunzioni dei testimoni di giustizia, ma nessuno sembra avere voglia di ascoltare e dare reale seguito ad una legge ormai datata. – fa sapere in un comunicato Luigi Coppola, presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata – A sostegno poi di questo menefreghismo sia politico sia governativo c’è una sorta di adagiatezza degli stessi testimoni di giustizia che sembrano essersi rassegnati e in alcuni casi imbambolati davanti a facili promesse di nuove leggi o isole felici sulle quali mai si giungerà.”
“Il problema c’è e non si risolverà se non con una progressiva estinzione di coloro che denunciano le mafie. C’è troppa differenza tra i vantaggi di chi si pente, per convenienza, e chi denuncia per amore di legalità e rispetto delle regole.” conclude Luigi Coppola, presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata.
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Fonte: Rapporto Ecomafie 2016 Legambiente
5 luglio 2016
Dal Rapporto Ecomafie 2016 di Legambiente.
“In calo il business delle ecomafie che nel 2015 è stato di 19,1 miliardi, quasi tre miliardi in meno rispetto all’anno precedente (22 miliardi). Un calo dovuto principalmente alla netta contrazione degli investimenti a rischio nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, che hanno visto nell’ultimo anno prosciugare la spesa per opere pubbliche e per la gestione dei rifiuti urbani sotto la soglia dei 7 miliardi (a fronte dei 13 dell’anno precedente). (…) Per contrastare le ecomafie c’è ancora da fare, dato che la criminalità organizzata la fa ancora da padrone (sono 326 i clan censiti) e la corruzione rimane un fenomeno dilagante, è il volto moderno delle ecomafie che colpisce ormai anche il nord Italia. (…)
In espansione il fenomeno del caporalato: sono circa 80 i distretti agricoli, indistintamente da nord a sud, nel quale sono stati registrati fenomeni di caporalato. Nel 2015 le ispezioni sono cresciute del 59% ma con esiti davvero negativi, in pratica più del 56% dei lavoratori trovati nelle aziende ispezionate sono parzialmente o totalmente irregolari, con 713 fenomeni di caporalato registrati dalle autorità ispettive.”
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Logo Movimento per la lotta alla criminalità organizzata
26 giugno 2016
Testimoni di giustizia, da sedotti ad abbandonati.
“I Testimoni di giustizia che ci contattano sono disperati, noi del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata faremmo di tutto per alleviare le pene di coloro che ci contattano ma ci troviamo di fronte ad un muro di gomma.” afferma in un comunicato Luigi Coppola, presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata.
“Abbiamo chiesto sia ad Alfano che alla Bindi un incontro, ma ci duole dirlo questi signori che guadagnano migliaia di euro al mese e che dovrebbero ascoltare e alleviare i drammi talvolta causati proprio dallo Stato a persone oneste come i Tdg sembra che nulla gli interessi di loro. Purtroppo e la reale amara realtà.” prosegue Coppola.
“Anzi sulle assunzioni nella PA è calato il silenzio del dimenticatoio.
Noi del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata ci siamo e certamente non molleremo, ma i miracoli non possiamo farli!” conclude Luigi Coppola.
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Madri in carcere (Fonte: Associazione Antigone)
22 giugno 2016
Donne e madri detenute. Ovvero il futuro dei bimbi in carcere. – Dal XII Rapporto Antigone 2016 sulle condizioni di detenzione –
Terminati gli Stati Generali dell’esecuzione penale (18 e 19 aprile scorso), alcune proposte sono rimaste sul tavolo tra cui quelle relative alle donne e alle madri detenute.
Tra queste proposte, “1. la costituzione presso il DAP di un Ufficio Detenute di pari grado e rilievo dell’Ufficio Detenuti; 2. maggiore applicazione dell’art. 21 bis dell’ordinamento Penitenziario; 3. incremento di corsi professionali qualificanti e non solo stereo tipicamente ‘femminili’; 4. prevedere normativamente la partecipazione delle donne detenute in sezioni di carceri a prevalenza maschile alle attività educative, ricreative, sportive ecc. disposte per i maschi; 5. attenzione alla medicina di genere e convenzioni con consultori di zona e case antiviolenza.”
E, in particolar modo, per le detenute madri e i loro bambini l’attenzione deve andare al rapporto mamma/bimbo e alla crescita sana dei più piccoli secondo quanto previsto nelle proposte fatte in sede di Stati Generali: “1. previsione di standard minimi di ogni reparto nido ICAM; 2. la non esistenza di un domicilio ritenuto ‘sicuro’ non deve impedire la detenzione domiciliare delle detenute madri. E’ obbligo dell’istituzione pubblica reperirla. Non si deve escludere la possibilità di domiciliazione presso i campi Rom; 3. Esplicita previsione normativa di diritto di accompagnamento dei figli non solo in casi medici urgenti ma anche per visite mediche di routine.”
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Hotspot Lampedusa
17 giugno 2016
Testimonianze dall’hotspot di Lampedusa.
“Lampedusa come una prigione a cielo aperto. I migranti trattenuti illegittimamente ed in condizioni degradanti protestano ed iniziano scioperi della fame e della sete. – riferisce Borderline Sicilia Onlus – Sono determinati nel non accettare le continue violazioni dei loro diritti, le imposizioni immorali di uno Stato che si dice democratico e scelgono di non essere pedine all’interno di un sistema disegnato in base agli interessi economici, politici e militari della Fortezza Europa. Le loro ragioni in un comunicato stampa rivolto a tutti noi.”
“La protesta continua ad essere sostenuta anche da chi è in condizioni sanitarie precarie e nonostante le continue pressioni da parte delle forze dell’ordine. All’interno dell’hotspot proseguono intanto le azioni punitive e i primi trasferimenti di cittadini nordafricani che passano dallo stato di detenzione illegittima ad un rimpatrio forzato verso il loro paese di origine. – prosegue il comunicato del gruppo – Anche il sostegno e la solidarietà forniti dalle associazioni antirazziste e da parte della popolazione lampedusana viene criminalizzato dalle istituzioni. Borderline Sicilia esprime forte preoccupazione per tali atteggiamenti ed invita al rispetto nei confronti di chi sostiene atti di disobbedienza civile e protesta pacificamente dinanzi al totale fallimento delle politiche europee e nel mancato rispetto dei diritti fondamentali.”
“Dopo una lunga settimana di protesta si arriva all’identificazione di quasi tutti i migranti presenti sull’isola ed al loro rientro nell’hotspot, dove continuano violazioni dei diritti e trattamenti disumani. Intanto, in un isola sempre più militarizzata, il minimo dissenso viene neutralizzato da chi è preoccupato di difendere i propri interessi.” conclude la nota di Borderline Sicilia.
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Guadagno dei caporali (Fonte: Rapporto Flai Cgil)
15 giugno 2016
Schiavitù e caporalato, tutto il nero di una delle holding della criminalità organizzata nel Rapporto 2016 su Agromafie e Caporalato di Flai Cgil.
La gestione del mercato del lavoro rappresenta un “vero e proprio terreno di conquista per la criminalità mafiosa e non” riferisce il Rapporto. “In alcuni casi lo sfruttamento in agricoltura viaggia di pari passo con il fenomeno della tratta degli esseri umani.”
Fenomeno in crescita: circa 80 i distretti agricoli nei quali è possibile registrare grave sfruttamento e caporalato. Le vittime (circa 430.000)sono “circa 30/50.000 in più rispetto a quanto stimato nel rapporto precedente, con più di 100.000 lavoratori in condizione di grave sfruttamento e vulnerabilità alloggiativa”. “Le pratiche di sfruttamento dei caporali nei confronti dei lavoratori rimangono più o meno le stesse: mancata applicazione dei contratti, un salario tra i 22 e i 30 euro al giorno, inferiore del 50% di quanto previsto dai CCNL e CPL, orari tra le 8 e le 12 ore di lavoro, lavoro a cottimo – si legge nel Rapporto Flai Cgil – Più del 56% dei lavoratori trovati nelle aziende agricole sono parzialmente o totalmente irregolari, con 713 fenomeni di caporalato registrati dalle autorità ispettive”.
Condizioni di lavoro precarie e indecenti: lo sfruttamento e la messa in schiavitù dei lavoratori si realizza anche con “imprese intermediatrici, alcune hanno la caratteristica di essere ‘Cooperative senza terra’, vale a dire che non svolgono un’attività agricola. Le imprese ‘senza terra’ sono utilizzate anche per la costituzione di rapporti fittizi di lavoro agricolo o di elusione contrattuale”.
Disegno di legge (Ddl 2217) per disciplinare forme di contrasto al caporalato: “A fianco di misure innovative, non si è voluto introdurre il principio della piena corresponsabilità penale tra il caporale e l’imprenditore che lo ingaggia per reclutare manodopera da occupare nella sua impresa. Infatti, tra l’imprenditore e il caporale vige un rapporto stretto, poiché il secondo senza il primo non svolgerebbe nessun reclutamento di manodopera”.
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9 giugno 2016
Testimoni di giustizia, ‘Basta indifferenza dallo Stato’. Il presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata, Luigi Coppola, annuncia una nuova protesta davanti al Viminale. Di seguito il comunicato del Movimento.
” ‘I testimoni di giustizia aiutano lo Stato e lo Stato deve aiutare loro’, ma nulla di quanto affermò Alfano è risultato vero.
I testimoni di giustizia trattati come nullità, paragonati ad accattoni sia dal servizio centrale di protezione sia dal viceministro Bubbico, il quale asseconda senza alzare un dito le vigliaccherie che la commissione centrale del Viminale commette ai danni dei testimoni di giustizia.
Io da testimone di giustizia e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata dico basta. Basta con questa mattanza ai danni di uomini e donne che ancora si distinguono in quest’Italia corrotta e violentata da una politica che usa le istituzioni come base operativa per i propri comodi. E basta anche a quei politici che senza scrupoli cavalcano le storie tragiche dei Testimoni d giustizia e di chiunque, denunciando la criminalità organizzata, si imbatte nel tritacarne del ministero dell’Interno.
A breve i Tdg si presenteranno da Alfano al Viminale per chiedergli conto delle sue bugie, usate ai nostri danni, per fare passerella. Come pure le tante blasonate associazioni antimafia a scopo di lucro che usano chi denuncia come vetrina oppure come madonne da processione.
Noi siamo diversi perché noi abbiamo vissuto i drammi sia criminali e poi istituzionali per cui non taceremo.
Il presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata, Luigi Coppola.”
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Testimoni di giustizia, diritti e tutele
9 giugno 2016
‘Chi denuncia non resta solo’, questa la promessa partita dal Viminale diversi mesi fa. Dopo mesi di mancati interventi, lo sfogo di un testimone di giustizia sulla condizione di abbandono di chi denuncia.
“Da anni si discute come aiutare chi ha denunciato le mafie, commissioni di esperti analizzano e propongono ma poi resta il nulla, solo parole. – afferma Gennaro Ciliberto, testimone di giustizia campano – Non c’è un solo testimone di giustizia che abbia resistito al colpo finale, quello dello Stato, della burocrazia, dei poteri forti che alla fine presentano il conto.”
“In Italia tutti vogliono che i testimoni di giustizia siano eroi, ma poi restano emarginati e nell’indifferenza totale di un Ministro dell’Interno Alfano che a parole elogia la funzione dei testimoni ma che poi non li riceve, né tanto meno si procede a calendarizzare la nuova legge.” puntualizza Ciliberto.
“Lo sforzo della commissione antimafia e dell’On. Mattiello sembrano cadere nel buio e i mesi passano, la legge sull’assunzione è un miraggio per i tanti testimoni che come unica colpa hanno il non essere nati in Sicilia.
Un ministro che non trova mai tempo e soluzioni per ridare dignità a questi uomini e donne onesti è un Ministro latitante.
Ora è toccato a Luigi Gallo subire il colpo finale ma chi lo ha preceduto non si è salvato, molti testimoni vivono alla fame e senza protezione e lo Stato dal canto suo lancia spot ‘chi denuncia non resta solo’.” commenta Gennaro Ciliberto.
“Noi non diremo mai di non denunciare ma non possiamo mentire su cosa il dopo ci ha riservato. Se questi testimoni hanno nei loro processi vinto le mafie, vinto contro la corruzione ed il crimine, mandando in galera mandanti ed esecutori, oggi questi uomini e donne sono distrutti e alla fine del percorso tutti ricevono il ‘colpo di grazia’ e l’eterna sofferenza da uno Stato ingrato e volutamente indifferente. Forse ci sarà un perché accade tutto ciò.” conclude Gennaro Ciliberto.
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Luigi Coppola, testimone di giustizia
7 giugno 2016
“Un intero governo contro coloro che denunciano le mafie”. Nuova richiesta di incontro con i ministri Filippo Bubbico e Angelino Alfano di Luigi Coppola, testimone di giustizia e presidente del Movimento per la lotta alla criminalità organizzata. “Caro Alfano e caro Bubbico ora basta, o rispettate coloro che in Italia fanno la vera antimafia oppure e meglio che andate a casa.” afferma Coppola.
Una richiesta ufficiale, contenuta in una lettera inviata al ministro Alfano, dove si ribadisce la drammatica situazione di chi operando per la legalità viene abbandonato dallo Stato. Senza alcuna tutela, economica e morale.
“Gentile signor Ministro dell’Interno Angelino Alfano,
con la presente lo scrivente le chiede un celere incontro.
Ricorderà signor Ministro che vi fu già chiesto un incontro a mezzo stampa attraverso il Fatto Quotidiano nel dicembre 2015, ma venni contattato dal viceministro Bubbico che promise interessamento per quanto riguarda la mia vicenda personale. E non solo anche per il lavoro che per legge spetta ai testimoni di giustizia.
Ma purtroppo non è cambiato nulla, anzi ciò è servito a dimostrarmi un ingiustificato accanimento della commissione centrale nei miei confronti. Del resto la commissione centrale è ormai abituata a distruggere le vite di coloro che si oppongono alle mafie.
Si faccia spiegare da Bubbico il motivo e le condizioni a lui note in cui vive Coppola e famiglia, anche il Dott. Cariddi del SCP sa tutto.
Ma come noterà dagli atti già in possesso al Viminale Coppola è uno attivo nell’antimafia invogliando alla denuncia.
Senza più alcuna scorta e continuamente intimidito e senza una misera entrata per vivere.
Tutto ciò va a smentire ciò che la SV dichiarò il 28 ottobre scorso quando Bubbico presentò la carta dei diritti dei Testimoni di giustizia, ovvero lei asserì che i testimoni di giustizia andavano aiutati poiché avevano aiutato lo Stato.
Me lo dimostri signor Ministro, lo dimostri a partire dal convocarmi. Evitiamo stillicidi e proteste ad oltranza davanti al Viminale.
Signor Ministro, lo scrivente che ha già atteso e sofferto troppo attenderà ancora un’altra settimana per avere un esito all’incontro richiestovi.
Dopo purtroppo dovrò mio malgrado rispettare quanto per statuto abbiamo previsto nell’associazione, da me fondata e rappresentata, ovvero evitare l’emarginazione dei testimoni di giustizia, attivando azioni pacifiche ma ad oltranza di dissensi in merito alla grave situazione in cui versano la maggior parte dei Tdg.
E mi creda che mi è difficile attivarmi in questo modo visto che invoglio a denunciare e a porre fiducia nelle istituzioni, ma se ciò accade è proprio colpa delle stesse ed in particolare degli organi ministeriali di cui lei da Ministro è a capo.
Luigi Coppola, Testimone di giustizia e Presidente del movimento per la lotta alla criminalità organizzata.”
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#Ecogiustiziaèfatta dalla relazione di Legambiente

Classifica regionale ecoreati
1 giugno 2016
Ad un anno dalla legge n° 68 del 2015 sugli ecoreati, e a 21 anni di distanza dal primo Rapporto sugli Ecoreati, Legambiente fa il punto sulla nuova legge. “La nuova legge è una svolta epocale”, sottolinea l’associazione, in quanto prevede come ecoreati: disastro ambientale, inquinamento ambientale, traffico e abbandono di materiale radioattivo, impedimento del controllo e omessa bonifica. A questo si aggiunge la previsione dell’aggravante in caso di lesione, morte ed ecomafie, la confisca dei beni, la bonifica a carico del colpevole, il ravvedimento operoso per chi bonifica e collabora.
In questo primo anno è il Lazio che ha il primato di infrazioni accertate (134), seguito dalla Campania (95) e dalla Toscana (73). La prima regione per numero di denunce fatte è la Campania (137) che precede il Lazio (121). La regione con il più alto numero di sequestri è la Calabria, con 25 ordinanze emesse nel solo primo anno. Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia le regioni più sane e virtuose.
“Per completare una già straordinaria riforma è necessario sviluppare alcune iniziative specifiche e approvare ancora qualche altro strumento normativo – aggiungono nella relazione da Legambiente – Innanzitutto, mettere in campo un’attività di formazione sulla nuova legge per tutti gli attori del sistema di repressione dei reati ambientali. Definire linee guida nazionali per garantire una uniforme applicazione in tutto il Paese della parte Sesta bis del Codice ambientale. Istituire un Fondo nazionale presso il ministero dell’Ambiente in cui far confluire tutte le sanzioni pecuniarie previste per i reati minori da utilizzare solo per bonificare i siti orfani. Potenziare le attività d’indagine contro gli ecoreati attraverso la costituzione di un corpo di polizia ambientale specializzato e strutturato sul territorio. Approvare definitivamente il progetto di legge sul sistema delle Agenzie regionali protezione ambiente. Approvare una legge efficace per lo stop al consumo di suolo e definire nuove regole per procedere in modo più spedito all’abbattimento degli ecomostri e delle costruzioni abusive. Calendarizzare in tempi brevi la discussione del provvedimento sulle agromafie. E infine, lavorare per la definizione dei delitti contro gli animali”.
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Migranti, Sicilia (Fonte: Reuters)
30 maggio 2016
Migranti, testimonianze dallo sbarco di Palermo
“Il pianto straziante dei bambini, lo sguardo perso nel vuoto di un ragazzo additato come presunto scafista, la paura della donna che non ha resistito all’ennesima fila, il procedere incerto delle centinaia che scendono la scaletta della Dattilo in attesa della successiva, interminabile, fila verso l’ignoto. A questo e a tanto altro abbiamo assistito nel porto di Palermo, nei giorni scorsi, dove 1.052 persone sono state sbarcate dopo essere state salvate in 8 diversi eventi SAR” racconta Alberto Biondo di Borderline Sicilia onlus.
“Al porto come al solito tutti gli attori istituzionali e non presenti si prodigano per la buona riuscita delle operazioni. Ma come al solito la buona volontà non è sufficiente ed è inevitabile che i nodi di un sistema che non funziona vengono sempre al pettine. I ragazzi in fila mostrano le loro difficoltà. Basta osservare come si dispongono quando la polizia chiede loro di aspettare: si mettono a terra e la posizione è come dentro la barca, uno dietro l’altro, segno di paura e di stress psicologico. Le torture e le violenze le portano addosso e restano indelebili nella loro memoria. – prosegue nel comunicato Alberto Biondo – Dopo tre giorni passati sulla nave, le escoriazioni sulla pelle sono evidenti e passare un’intera giornata sotto il sole cocente di Palermo non è una passeggiata. Per molti il viaggio non appena sbarcati sono stati messi sopra i pullman e trasferiti in Lombardia, Veneto, Toscana, Campania e Piemonte. Per altri, anche minorenni, prima di arrivare a destinazione nei centri emergenziali la notte è stata trascorsa all’aperto, in questura, fino a notte fonda per le il rilascio delle impronte digitali. Ed ancora per circa 85 adulti, dichiaratisi minori, il destino ha giocato un altro scherzo: notte trascorsa al porto all’interno dei pullman, per transitare dalla questura di Palermo alle prime ore dell’alba ed infine mettersi in viaggio, verso le nove di mattina dell’indomani: destinazione CAS delle Marche.
E ai neoarrivati minorenni, per lo più provenienti da Gambia, Nigeria, Guinea, Costa D’Avorio e Senegal, rimasti in Sicilia, toccherà pagare il conto salato di un sistema al collasso. Non essendoci posti liberi nelle comunità per minori, saranno costretti a trascorrere un tempo infinito e illegale in un hotspot (come è avvenuto fino ad oggi a Lampedusa e Pozzallo) oppure, come a Palermo, collocati in strutture di emergenza gestite da volontari (come quelle messe a disposizione dalla Caritas) o ancora stipati nei centri esistenti, teatro di proteste quotidiane(uno per tutti il caso del centro Asante, di via Monfenera, a Palermo) o peggio collocati in comunità dedicate, in deficit economico, che si liberano dei neo diciottenni mettendoli alla porta di punto in bianco, annientandone speranze ed aspettative (ultimo il caso di un ragazzino nigeriano ex ospite della comunità alloggio “Dumbo” di Licata).”
“Non poteva mancare, ovviamente, l’individuazione dei presunti scafisti, 16(due per imbarcazione soccorsa), capro espiatorio da sbattere in prima pagina, e 27 potenziali testimoni di giustizia.
Quel che resta, dopo uno sbarco così numeroso, sono sacchetti di plastica sul molo e il ricordo indelebile dello sguardo dei migranti. In questo sistema fallimentare non basta la buona volontà degli operatori delle organizzazioni non governative che, per quel possono, cercano di rendere meno pesante l’arrivo e più agevole la permanenza delle persone. Ma certamente è sufficiente a far gridare ancora una volta che siamo in piena emergenza, per far filare con più scioltezza i piani di chi gestisce e di chi guadagna in questo gioco al massacro.” conclude il comunicato di Borderline Sicilia.
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Elezioni amministrative 2016 (Fonte: web)
27 maggio 2016
Con l’approssimarsi delle elezioni amministrative si intensifica l’attività anche della criminalità organizzata. Di seguito la lettera di un testimone di giustizia campano, indirizzata al Prefetto di Napoli, in cui riferisce i metodi e le minacce sugli elettori degli uomini della camorra chiedendo un intervento.
“Al Prefetto di Napoli
S.E. Dott.ssa Pantalone
Oggetto: Elezioni comunali Napoli 2016 fenomeno criminale di compra vendita voti
Eccellenza Prefetto, lo scrivente Ciliberto Gennaro testimone di Giustizia porta alla sua attenzione tale situazione: tra pochi giorni il popolo napoletano sarà chiamato alle urne, tristemente la cronaca ci racconta che durante questo periodo elettorale gruppi di criminalità organizzata si dedicano ad una attività criminale, quella di procurare voti facendosi pagare. Questi delinquenti operano in zone ad alta densità popolare, gli stessi condizionano la libera espressione di voto, infatti molti di loro durante il giorno delle elezioni stazionano dinnanzi ai seggi, tenendosi ben distanti dall’ingresso del seggio, ma in modo da osservare e farsi ben vedere. Questi gruppi sono di circa tre persone, tale ‘presidio’ ha il compito di verificare se coloro che sono stati avvicinati in precedenza vadano a votare. Infatti gli stessi portano una sorta di contabilità del voto, spesso la somma di denaro che quantificata in poche decine di euro(dai 20 ai 40€) viene elargita in due tranche, un acconto prima e il saldo a spoglio avvenuto.
In più questa presenza criminale serve ad intimidire anche la persona per bene, che si vede avvicinare ed è intimorita dalla frase ‘ti raccomando fai il tuo dovere’ frase che va interpretata e ha valore intimidatorio poiché viene pronunciata da persona conosciuta nel quartiere perché camorrista.
Risultato la gente per bene alla fine cede o addirittura non va proprio a votare per evitare il contatto con taluni personaggi, poiché essendo personaggi criminali del posto potrebbero poi vendicarsi o fare un’azione di vedetta o dare dimostrazione della loro potenza criminale. Si stima che il giro di questa attività criminale è di svariate centinaia di migliaia di euro e che prende piede ancora più incisivamente nelle elezioni comunali poiché il voto è nominativo. Fatto allarmante che non vi sono denunce, né mai nell’immediatezza viene richiesto un intervento delle forze di polizia, verrebbe da chiedersi il perché.
Tale fenomeno spesso è stato evidenziato dai rappresentanti lista che non hanno fatto poi la denuncia poiché minacciati.
Inoltre vi è il fenomeno dell’accompagnamento delle persone anziane e di coloro che hanno difficoltà a deambulare: anche in tal caso tali personaggi criminali organizzano una sorta di ‘servizio navetta’. Di solito tale procedura avviene nelle ore di bassa affluenza al voto oppure nelle ultime fasi, prima che il seggio chiuda. Dato allarmante è che le tessere elettorali sono già detenute giorni prima da questi criminali.
A tal proposito lo scrivente chiede alla S.V. di voler intensificare i controlli fuori dai seggi da parte del personale di Polizia, infatti taluni soggetti criminali nella maggior parte dei casi hanno il divieto di aggregazione con altri pregiudicati e un costante presidio di forze di Polizia nelle zone limitrofe ai seggi costituirebbe un’azione di contrasto a questo fenomeno criminale. In più si potrebbe verificare nell’immediatezza il reato ed acquisire notizie utili alle successive indagini.
Nell’auspicio che il popolo napoletano sappia dare una risposta forte a questi criminali, che compromettono non solo il risultato elettorale ma minano la democrazia.
Porgo distinti saluti.
Ciliberto Gennaro, Testimone di Giustizia”.
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Scheda Beni Confiscati. (Fonte: Transcrime)
26 maggio 2016
Come e dove le mafie investono i loro ricavi. (Dati 2013)
“Nelle regioni del Sud (fa eccezione la Puglia), c’è una maggiore propensione all’investimento in immobili.
Gli investimenti in imprese si fanno con srl (46,6% dei casi). Tra gli investimenti in imprese,le società a responsabilità limitata sono quelle di gran lunga preferite (46,6%), seguite a distanza dalle imprese individuali (25,8%), dalle società in accomandita semplice (14,5%) e dalle società in nome collettivo (8,8%). Al contrario le società per azioni sono presenti in misura ridotta (2%). La preferenza per la forma delle srl è spiegata soprattutto dalla facilità di costituzione (si richiede un capitale sociale di 10.000 €) e dal vantaggio dettato dalla limitazione delle responsabilità patrimoniali.
L’investimento immobiliare delle mafie è a fine speculativo? Prevalentemente no.
La motivazione economica appare un fattore secondario nel guidare gli investimenti delle mafie in immobili, mentre sembra avere una maggiore importanza per l’acquisizione di immobili ad uso personale. Questo è probabilmente legato più a motivazioni simboliche e di status dei singoli membri delle organizzazioni criminali o ad una questione di opportunità che a logiche di tipo economico.
I beni immobili, sia per uso personale che per investimento, tendono ad essere
concentrati in aree dove le mafie hanno un maggiore radicamento territoriale. Questo sembra evidenziare come la possibilità di controllare e garantire il proprio investimento sia centrale per guidare le scelte delle organizzazioni mafiose nell’acquisizione di immobili.” dal Rapporto Transcrime – Università Cattolica Sacro Cuore di Milano – dati del prof. Ernesto Savona.
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Contro la camorra (Fonte: web)
23 maggio 2016
L’invito a tutti i candidati a prendere le distanze dai voti della camorra.
“La campagna elettorale alle elezioni comunali a Napoli entra nel vivo, anche se da mesi manifesti 6×3 spopolano su via Marina e nelle strade centrali. Ogni manifesto affisso di quella grandezza ha un costo di circa 250€ per una settimana, questo sarebbe il prezzo di mercato. A voi spetta fare due conti di quante risorse economiche vengono messe in campo. Perché non giustificare queste somme di denaro, la loro provenienza?
Molti sono i candidati, ed è a loro che io voglio lanciare questo messaggio, rivolgendomi ad ogni schieramento politico: che ognuno di Voi prendesse pubblicamente le distanze dai voti della camorra, da quei voti che si vendono per poco più di 30 euro, all’estorsione delle affissioni, delle sentinelle fuori ai seggi. A voi tutti aspiranti consiglieri basta scrivere sul vostro profilo social ‘I VOTI DELLA CAMORRA FANNO SCHIFO’. Ora vedremo chi pubblicamente prenderà le distanze da coloro che inquinano la democrazia e compromettono la libertà di un popolo.
Testimone di Giustizia, Ciliberto Gennaro”
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Roma, Piazza Bologna – Scultura e stele commemorativa ‘Meridiana’
23 maggio 2016
“Che ci rimanevo a fare? Per fare polemiche ogni giorno? Per subire umiliazioni? Per non lavorare? O soltanto fornire un alibi? No, meglio Roma. Qui al ministero c’è tantissimo da fare. E alla mafia, anche qui, si può dare molto fastidio. “ Queste le parole di Giovanni Falcone in merito alla decisione di lasciare il suo posto di procuratore aggiunto di Palermo. Su questo e sull’isolamento all’interno della Procura di Palermo il magistrato ne scrisse su un diario personale, di cui aveva parlato ad alcuni colleghi. Il diario non è mai stato trovato: dai computer del giudice siciliano, manomessi, sono sparite le memorie esterne.
La verità e la memoria sono l’impegno sono l’impegno del giorno dopo la strage di Capaci. Ancora, in parte, incompiuto anche nel 24° anniversario del giorno che cambiò la storia.
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Voto di scambio e diritto al voto
21 maggio 2016
Ombre sulle candidature alle elezioni. Diritto di voto negato a testimone di giustizia napoletano.
“Il Vice Ministro Bubbico mi ha negato un mio diritto ed ora la camorra fa tabula rasa.
Nel leggere, tramite un articolo di Repubblica, che persone parenti di boss della Camorra partecipano alle elezioni comunali di Napoli sia alla municipalità che al Comune mi viene da dire solo ‘vergognatevi’.
Allo scrivente, persona incensurata, è stato negato il diritto di esercizio di voto attivo e passivo: avevo accettato la candidatura nelle liste di Fratelli D’Italia grazie a Marcello Taglialatela, membro della Commissione antimafia, ma dal Ministero dell’Interno e dal Vice Ministro Bubbico solo promesse e nulla di fatto. Hanno fatto scadere i termini senza rispondere e addirittura mi è stato negato il certificato elettorale.
Cosa importa se sei figlio di camorrista?
Cosa importa se sei un pregiudicato?
Cosa importa se hai dei processi in corso?
L’importante è vincere!
No preferisco rimanere un uomo per bene.
Da testimone di giustizia napoletano dico solo al popolo onesto di reagire e denunciare qualsiasi manovra da parte della camorra di infiltrazioni nella campagna elettorale.
Ciliberto Gennaro
Testimone contro la camorra spa”
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Giovanni Falcone (18 maggio 1939 – 23 maggio 1992)
18 maggio 2016
Fare memoria con l’arte, con la poesia. Quella di Alda Merini, che ricordava così Giovanni Falcone. Riproposta oggi, giorno in cui il magistrato avrebbe compiuto 77 anni.
“Per Giovanni Falcone
La mafia sbanda,
la mafia scolora
la mafia scommette,
la mafia giura
che l’esistenza non esiste,
che la cultura non c’è,
che l’uomo non è amico dell’uomo.
La mafia è il cavallo nero
dell’apocalisse che porta in sella
un relitto mortale,
la mafia accusa i suoi morti.
La mafia li commemora
con ciclopici funerali:
così è stato per te, Giovanni,
trasportato a braccia da quelli
che ti avevano ucciso.”
da ‘Ipotenusa d’amore, La Vita Felice’ (1994) di Alda Merini.
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17 maggio 2016

Immigrati e aziende in Italia
Immigrati e integrazione. Le aziende di immigrati in Italia (il 21% è donna)
“E’ cresciuto anche negli anni della crisi il numero di immigrati che hanno aperto un’impresa in Italia: nei dodici mesi dello scorso anno, le imprese individuali aperte da cittadini nati fuori dell’Unione Europea sono aumentate di quasi 23mila unità, portando il totale di queste realtà a superare quota
350mila, il 10,9% di tutte le imprese individuali operanti nel nostro Paese. Cinque anni fa, a fine 2010, erano 100.000 in meno. Il dato assume ancora maggior significato considerando che il saldo complessivo delle imprese individuali lo scorso anno è stato pari a -0,1%.
La presenza di piccoli imprenditori extra-UE si rivela particolarmente significativa nelle attività artigiane: oggi sono oltre 120mila, un terzo di tutte le micro-aziende di immigrati, con forti specializzazioni in settori economici quali i servizi alle imprese (dove il 23% è extra-UE), il commercio (16,4%) e le costruzioni (15,2%).
La mappa della loro presenza sul territorio vede ai primi posti Toscana, Lombardia, Liguria e Lazio (tutte con una rappresentanza di micro-imprese di immigrati superiore al 15% del totale delle imprese individuali regionali), con Prato che, dall’alto del 40,9% di imprese individuali con passaporto extra-UE, si conferma la capitale virtuale dell’imprenditoria immigrata in Italia.
‘Per gli stranieri giunti in Italia aprire un’impresa è certamente un modo per integrarsi nel nostro sistema economico e sociale’ – commenta il Presidente di Unioncamere, Ivan Lo Bello. ‘Gli imponenti flussi migratori con i quali ci confrontiamo richiedono sicuramente politiche di accoglienza mirate. A queste, però, si possono affiancare strumenti e politiche di integrazione a basso costo quali quelle di supporto all’avvio dell’attività imprenditoriale. E’ questo un ambito nel quale le Camere di Commercio giocano un ruolo importante’. ” – dal Rapporto 2016 di UnionCamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio italiane –
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12 maggio 2016

Immigrati. Fonte: La Stampa
Testimonianze dagli hotspot di Lampedusa
“Le ultime notizie da Lampedusa non sono confortanti dato che i manifestanti, circa sessanta, che da 4 giorni non si muovono dal piazzale antistante la parrocchia di San Gerlando, dormono all’addiaccio, senza che nessuno intervenga. Le forze dell’ordine continuano a presidiare la piazza del paese, in paziente attesa di un cedimento da parte dei migranti. I manifestanti sono sostenuti dai Lampedusani che ogni giorno offrono loro viveri e solidarietà e da alcuni attivisti che hanno fornito coperte termiche e altri beni di conforto per aiutarli a passare la notte sentendosi meno abbandonati – riferisce Alberto Biondo, in un comunicato dell’Osservatorio Borderline Sicilia – Fra le persone scese in piazza a manifestare il proprio dolore e la propria determinazione a voler rimanere cittadini liberi ci sono uomini, minori e donne (una anche in stato di gravidanza) contro un sistema miope e sordo alle grida di morte e dolore. Fra loro ci sono migranti che hanno parenti in altri stati europei che sognano di raggiungere Lampedusa per incontrare, abbracciare il proprio congiunto scampato alla morte in mare. Alcuni di loro sono sull’isola da 4 mesi. Tutti lamentano di non aver ricevuto alcuna informativa sul sistema di asilo italiano, né tantomeno sulla loro condizione, all’interno dell’hotspot dell’isola ma di essere stati sollecitati in ogni modo a rilasciare le proprie impronte digitali ed è stato detto loro che dovranno necessariamente fare domanda di asilo in Italia.”
“La promessa che sarebbero stati trasferiti nella giornata di ieri, ricevuta nei giorni scorsi, non è stata mantenuta. Eppure sono state trasferite circa 150 persone, riducendo il numero di presenze all’interno dell’hotspot di Lampedusa a 450. E a quanto pare nei prossimi due giorni le navi traghetto non partiranno per la Sicilia a causa delle condizioni meteo avverse. Si prospetta così una situazione immutabile per le prossime 48 ore nelle quali i migranti dovranno decidere se continuare a manifestare o rientrare al centro.
Intanto dall’interno dell’hotspot ci arrivano notizie agghiaccianti: il trattamento riservato a chi si rifiuta di fornire le impronte digitali, non appena arrivato sull’isola, sarebbe quello di essere costretto a dormire nel cortile del centro, all’aperto. Una forma di intimidazione bella e buona che (secondo una testimonianza indiretta) poche sere fa avrebbe anche coinvolto una ragazza in avanzato stato di gravidanza. Se la notizia fosse vera, saremmo di fronte all’ennesima violenza, e Lampedusa si confermerebbe teatro di gravissime violazioni di diritti umani.” conclude il comunicato del gruppo.
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Felicia Impastato, mamma di Peppino ucciso dalla mafia a Cinisi (PA)
9 maggio 2016
“Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”. Peppino Impastato (Cinisi, 5 gennaio 1948 – Cinisi, 9 maggio 1978).
Le parole di una madre coraggiosa, Felicia Impastato, che parla di suo figlio che gli è stato strappato da quella mafia che è “una montagna di merda”. Un ricordo di Peppino attraverso le parole di sua madre.
La Matri di Peppinu
“Chistu unn’è me figghiu.
Chisti unn’ su li so manu.
Chista unn’è la so facci.
Sti quattro pizzudda di carni un li fici iu.
Me figghiu era la vuci chi grirava ‘nta chiazza
era lu rasolu ammulatu di li so paroli
era la rabbia
era l’amuri
chi vulia nasciri
chi vulia crisciri.
Chistu era me figghiu quannu era vivu,
quannu luttava cu tutti:
mafiusi,fascisti,omini di panza
ca un vannu mancu un suordu
patri senza figghi
lupi senza pietà.
Parru cu iddu vivu
un sacciu parrari cu li morti.
L’aspettu iornu e notti,
ora si grapi la morta,
trasi,m’abbrazza,
lu chiamu, è nna so stanza chi sturia,
ora nesci,ora torna,
la facci niura comu la notti,
ma si riri è lu suli chi spunta pi la prima vota,
lu suli picciriddu.
Chistu unn’è me figghiu,
stu tabbutu chinu di pizzudda di carni
unn’è Pippinu.
Cca rintra ci sunnu tutti li figghi
chi un puottiru naciri di n’autra Sicilia.” Felicia Impastato
Traduzione:
“Questo non è mio figlio. Queste non sono le sue mani, questo non è il suo volto, questi brandelli di carne non li ho fatti io. Mio figlio era la voce che gridava nella piazza, era il rasoio affilato dalle sue parole, era la rabbia, era l’amore che voleva nascere, che voleva crescere. Questo era mio figlio quando era vivo, quando lottava contro tutti, mafiosi fascisti, uomini d’onore, che non valgono neppure un soldo, padri senza figli, lupi senza pietà. Parlo con lui da vivo, non sò parlare con i morti. L’aspetto giorno e notte, ora si apre la porta, entra, mi abbraccia, lo chiamo, è nella sua stanza a studiare, ora esce, ora torna, il viso nero come la notte, ma se ride è il sole che spunta per la prima volta, il sole bambino. Questo non è mio figlio, questa bara piena di brandelli di carne non è Peppino: qui dentro ci sono tutti i figli non nati di un’altra Sicilia.”
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Puntata de Le Iene – Baby boss
5 maggio 2016
Le mafie in tv. Il servizio/spot sui baby boss nel programma de ‘Le Iene’. L’esposto di un cittadino e testimone di giustizia campano.
“Al Sig. Questore di Napoli Dottor Marino
Esposto: trasmissione le iene del 1/05/2016 servizio a cura di Giulio Golia denominato baby boss
Lo scrivente Ciliberto Gennaro, attualmente testimone di giustizia domiciliato in località nota al servizio centrale di protezione Roma, chiede alla S.V. di esaminare la puntata delle Iene servizio di Giulio Golia di cui allego il link . Infatti durante il servizio persone travisate da passamontagna nero si sono definite appartenenti ad una cosiddetta ‘paranza’ che ha in aggregazione circa 15 soggetti, inoltre uno dei soggetti travisati in particolare ha dichiarato di aver già sparato e di possedere un arma.
Chiedo a questa autorità giudiziaria di esaminare il contenuto dell’intervista e di valutare se vi siano gli estremi di reati punibili a norma di legge e di identificare i componenti presenti durante l’intervista, nonché di procedere nei confronti di colui che ha dichiarato di possedere un arma. Inoltre, ritengo che tale intervista possa ledere l’immagine di Napoli e svolgere un effetto emulazione su un tessuto criminale attualmente incandescente e fortemente motivato a mettersi in mostra.
In fede.
Ciliberto Gennaro”
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Tabella su Indice di Organizzazione Criminale (IOC) nelle province Fonte: Eurispes
4 maggio 2016
“Il business delle Agromafie ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015. Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti.
L’intensità dell’associazionismo criminale è elevata nel Mezzogiorno, ma emerge con chiarezza come nel Centro dell’Italia il grado di penetrazione sia forte e stabile. E’ quanto emerge dell’Indice di Organizzazione Criminale (IOC) elaborato dall’Eurispes nell’ambito del quarto Rapporto Agromafie che si fonda su 29 indicatori specifici e rappresenta la diffusione e l’intensità, in una data provincia, del fenomeno dell’associazione criminale, in considerazione delle caratteristiche intrinseche alla provincia stessa e di conseguenza sia di eventi criminali denunciati sia di fattori economici e sociali.
(…)
Il valore totale dei sequestri nel 2015 è stato di 436 milioni di euro. con il 24% nella ristorazione, il 18% nel settore della carne e salumi, l’11% in quello delle farine, del pane e della pasta, ma settori sensibili sono, a seguire, quelli del vino, del latte e formaggi e dei grassi e oli come quello di oliva. Il settore agroalimentare è diventato ancor più appetibile sul piano dell’investimento. La capacità di attrazione dei capitali legali da parte della malavita è ben evidenziata dall’attività della Guardia di Finanza che fa notare come le mafie non limitano la loro attività solo all’accaparramento dei terreni agricoli, ma spaziano in tutto l’indotto, arrivando a operare direttamente nelle attività di trasporto e di stoccaggio della merce, nell’intermediazione commerciale e nella determinazione dei prezzi. Supera i 402,5 milioni di euro il valore dei sequestri, effettuati dallo SCICO della GdF, comminati alle organizzazioni criminali nel comparto agroalimentare tra maggio 2014 e febbraio 2015.” – dal quarto Rapporto 2016 sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare –
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Bambini e figli della camorra
3 maggio 2016
I bambini e figli della camorra. La richiesta di intervento di un testimone di giustizia.
“Al Ministro Della Giustizia On. Orlando
Al Ministro dell’Interno On. Alfano
Al Ministro delle Politiche Sociali On. Poletti
Il Testimone di Giustizia Gennaro Ciliberto chiede agli Onorevoli Ministri di adoperarsi ad un decreto legge che intervenga sulle famiglie ove i genitori sono personaggi legali alla criminalità organizzata e dove i figli vivono nel degrado e hanno come esempi di vita la cultura della violenza e dell’illegalità. Troppo spesso i figli di questi criminali emulano le azioni dei genitori e, vivendo in contesti criminali, il loro vivere si trasforma in un campo di addestramento che quotidianamente aumenta in questi ultimi il desiderio di diventare Boss di camorra. A questo punto l’unica speranza di salvezza di questi ragazzi è farli vivere in un contesto di legalità dove le regole del buon vivere non sono una eccezione e dove il puzzo criminale è lontano. Bisogna quindi intervenire con una legge specifica che non solo tolga la patria podestà al genitore colpevole di crimini mafiosi, ma che intervenga tempestivamente nella fase dell’età giovane del fanciullo. Purtroppo a 14 anni chi vive in area di camorra è già un soldato del male, quindi il recupero è una fase postuma al reato che spesso fallisce. Noi vogliamo che tutto ciò non avvenga e che un ragazzo di 4 anni possa vivere in un ambiente sano, vivendo la sua fanciullezza lontano dal sangue e dalla violenza criminale. In tal modo toglieremo soldati alla camorra e faremo capire alle madri che se si dissociano potranno vedere crescere i loro figli e non piangerli su una tomba di marmo.
Ciliberto Gennaro, testimone di giustizia contro la camorra Spa”
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Migranti a Lesvos. (Fonte Save the Children)
27 aprile 2016
“Ancora oggi nel mondo 58 milioni di bambini non vanno a scuola, senza possibilità di costruirsi un futuro. Un bambino sfollato o rifugiato su due non frequenta la scuola primaria e un bambino su 10 vive in un Paese colpito da un conflitto.
‘I bambini più vulnerabili sono gli invisibili e i dimenticati. Quelli che nascono e vivono in Paesi in guerra o semplicemente nelle regioni più remote o svantaggiate. Sono i più poveri tra i poveri; le bambine, i migranti e i rifugiati, i disabili o quelli appartenenti a minoranze etniche e religiose. Quelli che non hanno le cose che ogni bambino dovrebbe avere: cibo adeguato, acqua, un dottore, medicine, la scuola’, spiega Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia.
All’origine delle accresciute disuguaglianze ci sono anche i numerosi conflitti in corso, che hanno generato un numero di rifugiati senza precedenti e la conseguente crisi migratoria. Il 2014 ha visto il numero più alto di sfollati mai registrato: quasi 60 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case, la metà dei quali sono bambini. Secondo i dati diffusi da Save the Children, oggi sono più di 145 milioni i bambini rifugiati nel mondo; solo uno su due di loro frequenta la scuola primaria e il tasso scende a uno su quattro per la scuola secondaria. Questi bambini affrontano ostacoli enormi nell’accesso alle cure sanitarie e al cibo di cui hanno bisogno, sono esposti a maggiori rischi di contrarre malattie infettive e trasmissibili e hanno livelli nutrizionali inferiori alla norma.
Una delle sfide principali per combattere il fenomeno dell’esclusione rimane la mancanza di dati disaggregati sui gruppi esclusi. I bambini ‘invisibili’ sono ad esempio quelli che vengono rinchiusi in casa o negli istituti perché disabili, che vivono in strada o sono in fuga dalle guerre, oppure quelli che, non avendo documenti, rimangono impercettibili alle amministrazioni e non hanno accesso ai servizi di base come scuola e sanità.
‘Molti Paesi evitano deliberatamente di raccogliere dati sulla condizione di questi bambini e ciò rende più difficile avere un quadro completo dei loro bisogni. Eppure la nostra esperienza in 120 Paesi del mondo parla chiaro: la discriminazione è in crescita e costituisce la principale minaccia per i bambini in povertà’, spiega Neri.”
Rapporto 2016 ‘Every last child. The children the world decided to forget’ di
Save the Children.
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Ricavi delle mafie (Fonte: Transcrime 2013)
22 aprile 2016
Investimenti delle mafie (dati 2013)
“Le principali attività illegali sono le droghe, le estorsioni, lo sfruttamento sessuale e la contraffazione. Ad eccezione delle estorsioni, le stime di queste attività hanno individuato valori minimi e massimi che fanno registrare variazioni anche molto rilevanti.
Le organizzazioni mafiose non hanno il monopolio delle attività illegali. I ricavi delle mafie sono una frazione dei ricavi illegali complessivi (tra gli 8,3 e i 13 miliardi di euro). Solo una quota delle attività illegali finisce alle organizzazioni mafiose (tra il 32% e il 51%). In linea con i risultati della letteratura scientifica, solo una parte delle attività illegali analizzate è stata considerata controllata dalle organizzazioni mafiose (ad eccezione delle estorsioni, in quanto tipiche delle organizzazioni mafiose). I risultati hanno rivelato che i ricavi annuali delle mafie variano tra un minimo 8,3 e un massimo di 13 mld€, pari al 32% e 51% dei ricavi illegali totali.”
dal Rapporto ‘Gli investimenti delle mafie’ del 2013 a cura di Ernesto Savona, Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
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Bilancio dell’amministrazione penitenziaria (Fonte: Rapporto Antigone 2015)
19 aprile 2016
“I detenuti alla data del 31 marzo 2016 erano 53.495. Il tasso di sovraffollamento (numero di detenuti rispetto al numero di posti letto regolamentari) è del 108% secondo l’amministrazione penitenziaria che però non tiene conto delle sezioni provvisoriamente chiuse. (…) I posti letto sono, secondo i dati dell’amministrazione penitenziaria, 49.545, non sempre però tutti realmente disponibili. Almeno 3.950 persone sono prive al momento di posto letto regolamentare.
La spesa per le carceri è andata aumentando fino al 2013, quando abbiamo speso oltre 3 miliardi di euro. Da allora è scesa, ed il bilancio preventivo per il 2015 era di 2,7 miliardi. Resta invariato il fatto che oltre l’80% del bilancio del DAP è assorbito dalle spese di personale, mentre le spese per i detenuti assorbono meno dell’8%.”
Dal XII Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione.
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18 aprile 2016
“127 utenti registrati e 317 contatti. 5,44 milioni di euro di elargizioni dal fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell’usura.” Dati registrati dal 2013 dallo Sportello di Solidarietà (con sede a Palermo, in via Scrofani, con un’utenza telefonica attiva 24 ore su 24 al 342.7105826 e un sito internet http://www.sportellosolidarietà.it) presentati lo scorso 15 aprile a Palermo.
“Non è vero che c’è omertà al Sud e non al Nord. Al Sud è la mafia che va dall’imprenditore, al Nord è lo stesso imprenditore che cerca il mafioso per ottenere dei servizi e quindi è più difficile rompere questo rapporto” spiega il commissario straordinario antiracket Santi Giuffrè. “Oggi è più facile denunciare la mafia che sottrarsi ai meccanismi corruttivi – prosegue il commissario – C’è’ una norma del codice degli appalti che, nel caso in cui un imprenditore risulti acquiescente con la mafia, lo sospende per un anno dall’albo delle imprese legittimate a partecipare agli appalti. L’imprenditore non viene indagato ma cancellato dall’albo. Noi proponiamo di estendere questa norma anche alle imprese che vengono coinvolte in fatti di corruzione. L’impresa corrotta che resta sul mercato è un veleno per tutte le altre imprese, avvelena il mercato”.
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Napoli, elezioni comunali 2016
13 aprile 2016
Napoli, la camorra e lo scambio di voti.
“Sicuramente la camorra avrà qualcuno a cui portare il proprio contributo elettorale, per non parlare poi di ciò che si riesce ad ottenere con soli 20 oppure 30 euro a voto. Una vera e propria elemosina o meglio dire accattonaggio. – commenta Luigi Coppola, testimone di giustizia campano e fondatore del Movimento per la Lotta alla criminalità organizzata – Noi del Movimento per la Lotta alla criminalità organizzata abbiamo anche chiesto un tavolo d’incontro con la commissione anticamorra regionale, sia per l’emergere criminale ed incontrollabile dei baby boss sia per sottolineare altri problemi tra cui le probabilità di scambi di voti, o meglio dire elemosinerie a cittadini bisognosi. Una sorta di aiuto una tantum, ma solo per un voto”.
“Abbiamo scritto al diretto responsabile, ovvero il Presidente della Commissione Anticamorra regionale Mocerino Carmine, il quale sembra non avere né il tempo o meglio dire la volontà di incontrare dei veri anticamorra” fa sapere Coppola attraverso un comunicato stampa del movimento. E aggiunge: “Apprendiamo da un nostro membro del Movimento contro la criminalità, Ciliberto Gennaro, testimone di giustizia per aver denunciato la corruzione negli appalti, che anche lui si è visto ripetutamente non rispondere dalla Valente, candidata a sindaco.”
“Sembra che, in questi periodi elettorali, è meglio evitare di avere a che fare con chi la camorra l’ha portata nei tribunali e l’ha mandata (e ancora la manda) dietro le sbarre e meglio, non facendo nemmeno un minimo accenno a loro, ovvero i testimoni contro la camorra.” conclude Luigi Coppola.
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Bambini migranti al confine della Macedonia
12 aprile 2016
Idomeni: sparati proiettili di gomma ad altezza bambino. Feriti tre bambini.
“Abbiamo amato l’Odissea, Moby Dick, Robinson Crusoe,
i viaggi di Sindbad e di Conrad,
siamo stati dalla parte dei corsari e dei rivoluzionari.…
Cosa ci fa difetto per non stare con gli acrobati di oggi,
saltatori di fili spinati e di deserti,
accatastati in viaggio nelle camere a gas delle stive,
in celle frigorifere, in container, legati ai semiassi di autocarri?
Cosa ci manca per un applauso in cuore,
per un caffè corretto al portatore di suo padre in spalla
e di suo figlio in braccio
portato via dalle città di Troia, svuotate dalle fiamme?
Benedetto il viaggio che vi porta,
il Mare Rosso che vi lascia uscire,
l’onore che ci fate bussando alla finestra.”
(“Acrobati di oggi”, Erri De Luca)
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Prima Pagina ‘Il Centro’
6 aprile 2016
“Beati gli altri italiani: almeno a loro il 6 aprile viene ricordato solo una volta l’anno”. Liliana Farello, ragazza aquilana.
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Luigi Coppola, testimone di giustizia
5 aprile 2016
I baby boss della camorra, made in Torre Annunziata.
“La città deve reagire, basta fare da spettatori!” dichiara Luigi Coppola, testimone di giustizia campano e fondatore del Movimento contro la criminalità organizzata.
“Sembra un film, ma è un’amara realtà – prosegue Coppola – Quello che sta accadendo a Torre Annunziata non lascia alcun dubbio: i baby boss si ispirano alla serie Gomorra. Altro che serie televisiva a fini quasi educativi o quantomeno in grado di fare capire che il delinquere porta solo morte e soprattutto a loro, a questi signori detti camorristi.”
“Ragazzi minorenni o poco più che sparano senza timore e senza una regola, ma solamente per farsi vedere sentire e temere- precisa Luigi Coppola – Una gioventù bruciata, che si è alimentata culturalmente seguendo le orme dei vecchi e detenuti camorristi, ma a differenza di questi ultimi i baby boss adottano e fanno loro un copione cinematografico sfidando tutto e tutti, forze dell’ordine comprese.” “Noi gente onesta non possiamo assistere come spettatori a tutto ciò, e in primis la città di Torre Annunziata deve reagire. Noi del movimento contro la criminalità faremo la nostra parte, ma c’è bisogno di appoggio, quello sociale: bisogna collaborare con le forze dell’ordine, e non tacere!
Questo non è un film. Questa è gente senza un minimo di cervello né di coscienza, questi vanno fermati ora e a fermarli siamo chiamati tutti indistintamente. Smontiamo questo set di terrore e di offesa per i cittadini perbene. Una città non può restare inerme nella morsa di 4 balordi.” conclude Luigi Coppola.
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Giovanna Vaccaro – Borderline Sicilia
25 febbraio 2016
Storie di minori immigrati approdati in Sicilia.
– Messina, ottobre 2015 –
“60 minori erano ospitati in una palestra di Gravitelli. Al piano di sotto i ragazzi italiani giocavano a basket. Sopra, vivevano dei minori in brandine sistemate sugli spalti.
Ha fatto seguito una denuncia per capire dove andavano trasferiti.
Dopo pochi giorni la palestra si è allagata, e anche grazie a questo i minori s…ono stati trasferiti. Alcuni in un centro disabili mentali di Taormina, dove sono stati accolti da una protesta di un gruppo di ‘Noi con Salvini’, e l’accoglienza è stata revocata. Gli altri sono stati ospitati in un centro per anziani e disabili, dove si trovano da ottobre.
Ancora nessuno di loro ha potuto formalizzare la domanda di accoglienza.” Giovanna Vaccaro di Borderline Sicilia ONLUS
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Conferenza presentazione Rapporto immigrazione di LasciateciEntrare
25 febbraio 2016
“Abbiamo visitato l’hot spot di Lampedusa, una delle fabbriche della clandestinità. Qui abbiamo trovato 83 minorenni non accompagnati tra cui neonati (ma sicuramente sono molti di più) che vivono con tre toilette e 4 docce. Ricordo anche che l’anno scorso 6135 minori non accompagnati sono scomparsi.” Alessandra Ballerini durante la presentazione del Rapporto su accoglienza, detenzione amministrativa e rimpatri forzati di LasciateciEntrare.
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Rapporto 2015 UnionCamere
16 febbraio 2016
“Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare stimano in 15,4 miliardi di euro il volume di affari complessivo dell’agromafia nel 2014 e in almeno 5mila il numero dei locali di ristorazione nelle mani della criminalità organizzata nel nostro Paese, spesso efficienti coperture per il riciclaggio e il lavaggio di capitali frutto di attività ille…cite. (…)
Il controllo mafioso del territorio si estende ovviamente all’abiente, con un’azione “ecocriminale” che invade il ciclo del cemento e quello dei rifiuti, danneggia la fauna, gli ecosistemi e le bellezze artistiche e naturalistiche del Paese. (…)
Uno strumento di trasparenza nel settore della tutela ambientale e dei controlli è rappresentato anche dall’Albo nazionale dei Gestori Ambientali, punto di riferimento per le imprese che producono rifiuti, per le amministrazioni pubbliche e per i cittadini, nonchè come importante anello del sistema di contabilità dei rifiuti. L’Albo è deputato al riconoscimento del possesso di particolari requisiti tecnici, morali e di capacità finanziaria in capo ai soggetti che intendono svolgere l’attività di trasporto rifiuti, bonifica siti inquinati e/o contenenti aminato, commercio ed intermediazione rifiuti senza detenzione degli stessi”.
Dal Rapporto 2015 “Percorsi di Legalità” di Unioncamere.
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Rosy Bindi, Davide Mattiello, Annamaria Torre, Marcello Ravveduto
4 febbraio 2016
“Non si arriva a fare la lotta alla camorra se prima non si fanno altre battaglie. Come la buona amministrazione.
Torre fu capace di capire che con il terremoto la camorra fa affari. E chi non è abituato a fare buona amministrazione politica non è in grado di capire questo in tempo, perché di solito serve il morto”.
Rosy Bindi, presidente commissione antimafia, durante la presentazione del libro ‘Il sindaco gentile’.
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Testimoni di giustizia, diritti e tutele
25 gennaio 2016
“L’ultimo fatto di sangue avvenuto a Napoli (Ponticelli) ai danni di un appartenente alle cosche locali, ma ex pentito, fa capire come la camorra porti a termine le proprie sentenze e senza sconti.
Figuriamoci quelle nei confronti dei testimoni di giustizia abbandonati.
Ed è questo che a me testimone di giustizia, contro la camorra, fa paura: è il fatto che tanti di noi testimoni di giustizia siamo liberi bersagli di vendette camorristiche.
Lo Stato, le procure, le prefetture e le forze di polizia usualmente ci lasciano soli puntualmente al termine dei processi.
Il Ministero dell’ Interno, attraverso sterili parole su un pezzo di carta, delibera la cessazione del pericolo. Così ci lasciano soli in attesa che la camorra porti a termine la sentenza di morte, anche dopo svariati anni, perché il tribunale camorristico non dimentica. Mentre lo Stato si…”.
Luigi Coppola, testimone di giustizia.
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Beppe Alfano
8 gennaio 2016
A 23 anni di distanza dall’uccisione di Beppe Alfano manca ancora la verità sul suo omicidio. E sulla sua fine si spendono poche parole.
“Non è più tollerabile che Barcellona debba sottostare alla legge del terrore imposta da esseri socialmente pericolosi. Il tutto mentre le istituzioni politiche di peso stanno a guardare; alcuni partiti sono più latitanti che mai (…). Quali iniziative “forti” i due politici di razza barcellonese hanno intrapreso negli ultimi anni presso il ministro degli Interni affinché una volta per tutte anche i barcellonesi possano finalmente iniziare a vivere tranquilli?” (da La Sicilia, 1991)
Beppe Alfano, 4 novembre 1945 – 8 gennaio 1993
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Luigi Coppola, testimone di giustizia
19 dicembre 2015
Nuova legge sui testimoni di giustizia.
“La proposta di legge sui testimoni di giustizia è frutto del lavoro collettivo della commissione Antimafia e riteniamo sia un buon lavoro”, a dirlo il vicepresidente della Commissione, Luigi Gaetti M5S primo firmatario del testo al Senato.
“E’ una vera mattanza quella che questo governo sta portando avanti contro i testimoni di giustizia. E’ ora di finirla!” commenta Luigi Coppola, del coordinamento gruppo testimoni di giustizia campani. “La politica tutta la deve smettere di cavalcare l’onda mediatica sulle disgraziate condizioni dei Testimoni di giustizia. Questi signori non sanno minimamente ciò che passa chi veramente si oppone alla criminalità organizzata che, a differenza del Governo italiano, non dimentica e prima o poi inesorabilmente si vendica. Quanto alle osannate leggi, delle quali i politici senza esclusione alcuna propagandano, ancora siamo fermi al palo ad esempio le assunzioni obbligatorie nella PA per le quali io e il mio gruppo di testimoni ci stiamo battendo. Sembrano fontanine d’acqua in un deserto. Anche il buon De Luca, al quale da campano ho più volte esposto il problema, ad oggi non sente e non vede.
Ribadisco che la Legalità è orfana di colori politici, ma da quando la politica ci ha messo le mani sopra anche attraverso le connivenze con le mafie ha solamente svuotato di ogni contenuto la parola Legalità.
Noi testimoni andremo avanti senza se e senza ma. Adesso attendiamo di essere ricevuti dal Ministro Alfano per ricordargli ciò che lui e il Ministro Madia firmarono 12 mesi fa (il decreto attuativo per le assunzioni) che ad oggi ha un risultato pari a zero.
Purtroppo noi, vere Antimafie, non siamo ben accetti nella PA anche perchè, oltre ad attirare il pericolo, potremmo dare fastidio a certi equilibri illegali che maggiormente sono usuali nei comuni campani” conclude Coppola.
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Rapporto 2015 detenzione carceri, Associazione Antigone
15 dicembre 2015
“Quello dei suicidi in carcere rimane una delle principali patologie del sistema penitenziario italiano, legata all’incapacità del sistema di intercettare le singole storie di disperazione e la scarsa attivazione di programmi di prevenzione del rischio, che dovrebbero porre particolare attenzione ai soggetti alla prima carcerazione e nei primi giorni di detenzione. (…)
La media di suicidi ogni 10mila detenuti è pari al 7,7%. Una percentuale superiore alla media europea che è invece del 5,4%. Ma ben inferiore al 14,4% della Francia, alle percentuali superiori al 10% di Svezia e Norvegia, all’8,2% della Germania. (…)
In Italia accade che fuori dalle carceri la regione con il più alto tasso di suicidi in percentuale sia il Friuli e il più basso la Campania. Gli ultimi dati ci dicono che in Italia la media di suicidi fuori dalle carceri è dello 0,67% ogni 10mila abitanti. Quindi in carcere ci si ammazza in una percentuale ben 12 volte superiore.”
XI Rapporto nazionale sulle condizioni di Detenzione 2015 – Oltre i tre metri quadri – di Antigone Associazione
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Ecomafia2015_agromafia
8 dicembre 2015
“Le organizzazioni criminali non hanno mai trascurato il settore agricolo e agroalimentare, anche per le forti potenzialità di guadagno che si amplificano nei tanti passaggi ‘dal produttore al consumatore’: le cosiddette ‘agromafie’ improntano la loro attività al controllo delle terre (oltre il 20% degli immobili confiscati alla criminalità sono terreni con destinazione agricola), dei lavoratori e delle filiere, si dedicano a produzione, distribuzione e vendita, rilevano attraverso prestanome e intermediari compiacenti imprese, alberghi, pubblici esercizi, attività commerciali, investono nelle catene commerciali della grande distribuzione, nella ristorazione e nella logistica dei trasporti, esercitando il potere criminale in forme raffinate attraverso la finanza, gli incroci e gli intrecci societari, la conquista di marchi prestigiosi, il condizionamento del mercato.” – Rapporto 2015 ‘Percorsi della Legalità’ di UNIONCAMERE –
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don Giacomo Panizza
10 ottobre 2015
“Beati voi che avete fame e sete di giustizia
e non di furbizia:
vi state godendo un affascinante miracolo!
Beati voi trattati da scarto,
vittime di discriminazioni e pregiudizi
eppure donne e uomini desiderosi di accendere felicità
anche nei cuori degli aguzzini e dei menefreghisti.
Beati voi che protestate consapevoli di trasgredire
per ribaltare le regole scritte e non scritte
dell’ingiustizia sociale.”
Le Beatitudini di Don Giacomo Panizza, prete che con la sua “paura sporca di coraggio” combatte ogni giorno per la legalità
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Rapporto UNIONCAMERE 2015
18 agosto 2015
“Spesso è proprio l’impossibilità per gli istituti bancari di alimentare il credito legale a favorire le condizioni per avviare l’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico e sociale. (…) Arginare il fenomeno dell’indebitamento patologico e quindi del mercato illegale del credito significa anche tutelare l’intero tessuto economico nazionale dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. Il ricorso all’usura, infatti, apre un circuito di progressiva perdita di risorse da parte dell’imprenditore, spesso spogliato dall’azienda stessa, che quindi lascia ai clan campo libero nell’attività di impresa, di solito tramite prestanome. La presenza delle mafie nelle maglie dell’usura è crescente: è un’attività redditizia per organizzazioni criminali che, disponendo di un’enorme liquidità, possono entrare facilmente nel circuito del credito e riciclare denaro sporco, anche in territori tradizionalmente ‘vergini’ dal punto di vista dell’aggressione mafiosa. Il metodo operativo che si riscontra nelle vicende ordinarie di usura, con l’appropriazione dei beni della vittima insolvente da parte dell’usuraio, si inserisce però in una dinamica più ampia che vede l’organizzazione mafiosa arricchirsi e penetrare l’economia legale attraverso l’appropriazione dei beni, anche aziendali, che fa parte di una vera e propria strategia economica del clan. Chi tra le vittime decide con coraggio di uscire dal silenzio, dà spesso l’avvio con la propria denuncia ad operazioni delle forze dell’ordine che possono portare le ramificazioni dell’usura sul territorio. L’usura gode infatti del ‘privilegio’ del silenzio, della difficoltà di denuncia per paura, per vergogna, solitudine e isolamento, o per disperazione. Nel primo semestre 2014, secondo i dati della DIA sono oltre 2.500 le denunce per il reato di estorsione e circa 150 quelle per il reato di usura.” – Rapporto “Percorsi della Legalità” 2015 di UNIONCAMERE –
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Bene confiscato, slogan
8 agosto 2015
” ‘A Boscoreale (NA) mi sono occupato di una piazza di spaccio che produceva introiti che variavano tra i 17mila e i 20mila euro al giorno e che raggiungeva punte di 25mila euro al giorno nei fine settimana. Esisteva, ed esiste ancora in molte zone del napoletano, la via della camorra al lavoro. La gente oggi fa la fila davanti ai capo clan dei gruppi camorristici più importanti per fare assumere i propri figli nel sistema, per fargli fare il guardiano, per fargli confezionare la droga, per fargli tenere i conti degli incassi della giornata. Tutto questo ci porta a capire quello che poi succede nelle nuove generazioni, perché queste famiglie che prestano il loro consenso alla camorra poi hanno dei figli che nei loro temi di scuola media scrivono cose come questa a soli 10 anni: ‘Il mio quartiere è grande, c’è la camorra ma c’è anche l’immondizia. La camorra ci difende, c’è la gente che odia la camorra, ma io invece no, non la odio la camorra. Anzi, a volte penso che senza la camorra non potremmo stare perché la camorra ci protegge tutti. Il fatto che tutti pagano il pizzo non è giusto, ma chi paga resta protetto, forse è meglio così’ ‘
Queste sono le parole di Rosario Cantelmo, Procuratore della Repubblica di Avellino agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado nel corso della ‘Scuola di Legalità. Lezioni su mafia e antimafia’, iniziativa nata ad Avellino dalla partnership tra Camera di Commercio e Libera. Prendendo spunto dalla parole del Procuratore Cantelmo si può dire che in questi luoghi la rassegnazione è diventata speranza, l’indifferenza partecipazione, la tolleranza riappropriazione, l’accondiscendenza caparbietà e il consenso impegno per la legalità.” – Rapporto ‘Percorsi della Legalità 2015″ di UNIONCAMERE –
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Pietro Grasso & Don Ciotti
1 agosto 2015
“C’è una forma di condizionamento dalla quale è difficile difendersi, che passa attraverso le logiche del profitto che comandano ormai il mondo dell’informazione. Abbiamo conosciuto giornalisti pagati pochissimo, che evitano di trattare temi in contrasto con le idee dell’editore per non perdere quel poco a loro necessario. Non sono liberi, perché l’amico gli ha detto ‘se vuoi lavorare, lo fai alle mie condizioni’.
Allora, è responsabile una certa informazione che ha strizzato l’occhio a certi poteri e che è andata a braccetto con certa politica, cadendo in forme di autocensura. (…)
A Trapani, due mesi fa, eravamo oltre mille duecento persone a ricordare il prefetto Sodano. Lui a Trapani si era messo di traverso perché voleva che i beni confiscati arrivassero nella direzione giusta. E’ stato cacciato via perché faceva il proprio mestiere e lo faceva bene. Milleduecento persone si sono date appuntamento per ricordare un prefetto generoso, ma non è uscita una riga sui giornali del posto! Perché sono sempre quei signori, quelle lobby che impediscono tutto questo. (…)
Non c’è una strage in Italia di cui si conosca la verità, e non dimenticate che il 75% dei familiari delle vittime innocenti di mafia non conosce la verità.
C’è tanta strada da fare per la libertà d’informazione, e per essere vicini a quanti la cercano fino in fondo.”
Don Luigi Ciotti, presidente di Libera – conferenza ‘Proteggere i giornalisti per conoscere scomode verità’
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Immigrati, lavoro nei campi
25 luglio 2015
In memoria di Mohamede Konate, morto di schiavismo raccogliendo pomodori per 2 euro l’ora.
” (…) Tricolore d’Africa
nel profondo sud:
il verde delle foglie
l’arancione dei mandarini
il nero della mano che li coglie. (…)”
da ‘Arance e Avorio’, di Pina Piccolo
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Ecomafia2015_Corruzione ambientale
11 luglio 2015
“La corruzione in campo ambientale è senza dubbio la vera cifra di un agire criminale che si muove in maniera felpata ma decisa tra uffici pubblici e sedi di società private, addomesticando le leggi, e, se serve, violandole apertamente per raggiungere i propri interessi. La corruzione moltiplica le occasioni per l’esercito degli ecocriminali, apre altri spazi, altre frontiere. Lo schema è sempre lo stesso, anche se cambia il campo d’azione: se le leggi a tutela dell’ambiente frenano progetti troppo ambiziosi o pratiche dichiaratamente fuori legge, l’ingresso della corruzione serve a ovviare a questi intoppi, dando libero sfogo alle logiche criminali. L’ingranaggio da oliare è la grande macchina burocratica pubblica, quella che per definizione dovrebbe sovrintendere agli interessi collettivi.
Gli appalti pubblici, infatti, con le ingenti risorse pubbliche messe a disposizione, sono i campi d’azione prediletti dove si scatenano gli appetiti. Soprattutto per le grandi opere infrastrutturali, dove il meccanismo tracciato dalla tristemente nota “Legge obiettivo” ha aperto ancora di più le maglie della corruzione, creando una pericolosissima commistione tra controllore e controllato, oltre a chiudere la bocca alle comunità locali, sistematicamente bypassate dagli inderogabili e prioritari interessi nazionali.
In ballo c’è una spesa pubblica che solo nel 2011 (fonte Presidenza Consiglio dei Ministri) ha raggiunto la quota di 106 miliardi di euro, più o meno l’8% del Pil. Al Nord come al Sud, passando dal Centro, il lavoro investigativo mostra questi meccanismi corruttivi con impietosa chiarezza. Sull’onda di uno scandalo dietro l’altro, la gravità che la corruzione ha raggiunto nel nostro Paese è diventata un fatto acclarato in ogni settore, tanto da spingere Parlamento e Governo a urgenti provvedimenti legislativi.”
– Rapporto Ecomafie 2015 di Legambiente Onlus –
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Don Ciotti, Ossigeno per l’Informazione
2 luglio 2015
“L’etica comporta un certo approccio alla notizia.
Spesso, venuta meno l’attenzione generale, il fatto sparisce ma non le cause che l’hanno generato.
Ultimamente si è diffusa un’informazione usa e getta. L’informazione deve essere offerta di contenuti, di analisi. L’informazione deve alimentare una coscienza critica”
– Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, durante la conferenza ‘Proteggere i giornalisti per conoscere scomode verità’ –
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Conferenza ‘Corruzione ed Etica’
20 giugno 2015
Cittadini, corruzione ed etica.
“Ho denunciato, ma nessuno mi ha preso in considerazione.
Ho deciso di dimettermi da cittadino italiano, inviando una lettera all’ex Presidente della Repubblica. (…)
Io non ho più paura della camorra, ma dello Stato”.
Ernesto Russo, cittadino e piccolo imprenditore di Volla (NA), da anni in lotta con le istituzioni per una complicata vicenda di concessioni edilizie – dal convegno “Corruzione ed Etica”, 18 giugno organizzato dalla Fondazione”Angelo Vassallo” –
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Forum PA e legalità, beni confiscati
29 maggio 2015
Beni sequestrati alle mafie: cosa accade prima della confisca?
Le difficoltà di salvare un’azienda strappata alle mafie dal fallimento post-sequestro. I numeri dimostrano che il tasso di mortalità delle imprese sotto sequestro è molto alto. Le esperienze di chi gestisce questi beni sequestrati, gli amministratori giudiziari.
“Va bene la prudenza nella fase di sequestro, ma non deve mai essere troppa. E’ importante agire subito e intraprendere azioni che non facciano morire l’azienda. Nei primi 3/4 mesi c’è peraltro un calo fisiologico del 30% della produttività. La sfida, soprattutto in presenza di tanti dipendenti, è riuscire a gestire l’azienda in maniera dinamica”. Ersilia Bartolomucci, amministratore giudiziario del Grand Hotel Gianicolo a Roma – bene sequestrato a novembre 2013 ad affiliati della ‘ndrangheta.
“I primi mesi dal sequestro servono a implementare la produttività dell’impresa sequestrata. Una delle criticità però è il controllo massiccio, che avviene anche nei primi mesi del sequestro. Servirebbe una moratoria che consentisse a chi interviene di essere aiutato, magari dall’Agenzia delle Entrate (…) Invece è probabile che il giorno dopo arrivi una cartella esattoriale, come eredità di un indebitamento. Il punto di forza è trovare un personale motivato, che non ha paura di un’ipotesi di autogestione dell’azienda”. Giovanni Mottura, amministratore giudiziario del Hotel Villa Vecchia – bene confiscato alle ‘ndrine nel dicembre 2009 durante l’operazione Maestro.
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Prima Pagina, strage Capaci
23 maggio 2015
23 anni di memoria e qualche riflessione.
“Certo, la spinta alla rassegnazione e alla rimozione è forte, e mi chiedo in quanti di noi – dico noi perché mi ritengo italiano prima che siciliano – è nato l’inconfessabile desiderio di lasciare la Sicilia ai siciliani. (…) Senza dire che in Sicilia, e a Palermo in particolare, non esiste un osservatorio sulla mafia, non esiste un centro di studi che si occupi del fenomeno.
Ricordo una stupefatta osservazione del console americano a Palermo: ‘Ma voi affrontate la criminalità organizzata in modo disorganizzato!’ E purtroppo toccava nel segno.” – Giovanni Falcone –
“Ci sono molti pezzi mancanti sulla strage di Capaci, non possiamo accontentarci degli importanti pezzi di verità che ci sono stati dati.” – Piergiorgio Morosini, giudice per le indagini preliminari di Palermo, che ha rinviato a giudizio gli imputati del processo sulla trattativa Stato-Cosa Nostra –
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Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica di Roma
22 maggio 2015
“Quando parliamo di corruzione, che è un fenomeno vasto, dobbiamo capire cosa avviene in quella romana di cui dobbiamo parlare e che io in certi casi definisco ‘spicciola’. In questi anni abbiamo arrestato decine di persone, di tutte le categorie: per spostare la pratica da un tavolino a quello accanto bisognava pagare. (…)
Non c’è il do ut des di tangentopoli, dove i partiti in cambio della promessa di fare avere a grandi aziende appalti importanti reclamavano somme di denaro anche ingenti. Qua il sistema è diventato molto più complicato. Qui c’è un network, un sistema, una rete delle corruzione. La corruzione programmaticamente utilizzata da gruppi affaristici come strumento di potere.
Per realizzare questi scambi illeciti si ricorre alla nomina di consulenti, alla scelta dei componenti delle varie commissioni, a incarichi professionali. E a finanziamenti, formalmente dichiarati, alle fondazioni. Questa è una corruzione di tipo sistemico, che è quella che abbiamo visto crescere in questi anni.
E poi si arriva alla connessione tra corruzione e associazione di tipo mafioso. Si ricorre sempre meno alla violenza, sempre più alla corruzione.
Se noi partiamo dal codice penale (art. 416-bis) abbiamo che a Roma ci sono alcune organizzazioni mafiose, nessuna delle quali controlla la città. Abbiamo organizzazioni mafiose ad Ostia, con caratteri più tradizionali. Abbiamo organizzazioni mafiose su cui ci sono state misure cautelari, a carico di tal Pagnozzi di provenienza campana. E poi abbiamo Mafia Capitale con il mondo di mezzo di Carminati.
Diventa indispensabile in tema di corruzione l’uso di intercettazioni. (…) Ma decisivi sono i sì e i no che ognuno dice.”
– Giuseppe Pignatone, Procuratore della Repubblica di Roma – ‘Tour, Legalità una svolta per tutte’ 19 febbraio 2015 –
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Rapporto Ecomafia 2014
21 maggio 2015
Italia e …non solo.
Se in Italia il Sud resta il maggiore ostaggio dell’ecomafia, il know how del traffico di rifiuti viene esportato e fa affari fino in Asia e Africa.
“Emerge con chiarezza l’esistenza di strutture ben organizzate ed efficienti di trafficanti di rifiuti, capaci di muoversi sia sul mercato illegale dei servizi di mero smaltimento sia del riciclo in nero. Molto spesso compaiono ditte e imprenditori più o meno espressione di clan mafiosi. Ecco perché il mercato illegale dei traffici di rifiuti è florido e non mancano mai né la domanda né l’offerta. Intercettare partite di rifiuti significa entrare in possesso di preziose materie prime seconde, che valgono sul mercato globale circa 90 miliardi di dollari.
(…) Sempre più spesso i flussi criminali si proiettano sui circuiti mondiali (…). Una bella fetta delle materie prime usate dalle fabbriche a ciclo continuo dei Paesi asiatici o africani è costituita proprio dai nostri scarti, assicurano gli investigatori. Come precisano dall’ufficio centrale intelligence delle Dogane, ‘il Sud Est asiatico si conferma come destinazione principale sia dei flussi regolari in esportazione sia delle spedizioni illecite’.
Insieme ai carichi di rifiuti gira anche tanta grana, non moneta cash ma flussi finanziari che non sempre seguono la destinazione dei carichi. I rifiuti servono a far girare l’economia criminale, mentre i più grossi movimenti finanziari rischiano di scomparire dai radar dell’autorità di controllo (…) perché si celano all’interno dei flussi della globalizzazione dello scambio di merci e materie prime.”
– Rapporto Ecomafia 2014 di Legambiente onlus –
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Tour della Legalità – (Da sx) Fabiani, Pecoraro, Pignatone, Sabella
7 maggio 2015
” ‘A Roma c’è posto per tutti’. (…) Dobbiamo poi capire come si arriva alla corruzione. Il più delle volte il corrotto è un funzionario della Pubblica Amministrazione. Dobbiamo chiederci perché un funzionario diventa corrotto. Per farlo, ricordiamoci che il pubblico dipendente risponde a tre principi – formazione, professionalità, selezione – e se uno di questi principi viene meno abbiamo un pubblico dipendente che certamente non è all’altezza.
Domandiamoci anche come vengono stabiliti gli incarichi dirigenziali, e forse ci diamo anche una spiegazione della corruzione.
Qui bisogna lavorare su una prevenzione, soprattutto strutturale.
(…) Inoltre da 20 anni a questa parte i controlli non ci sono più”
– Giuseppe Pecoraro, ex Prefetto di Roma, durante ‘Legalità, una svolta per tutte’ – 19 febbraio 2015 –
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don Peppe Diana
19 marzo 2015
“Le nostre Chiese hanno urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà (…) Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie e in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa (…).
Dove c’è mancanza di regole, di diritto si affermano il non diritto e la sopraffazione. Bisogna risalire alle cause della camorra per sanarne la radice che è marcia. Una Chiesa diversamente impegnata su questo fronte potrebbe fare molto. (…) Come pastori ci sentiamo le sentinelle del gregge e, se non sempre siamo stati vigili e attenti, stavolta il coraggio della profezia e la coscienza profonda di essere ‘lievito nella pasta’ ci impongono di non tacere.”
– Don Peppe Diana (4 luglio 1958 – 19 marzo 1994) –
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Rapporto Antigone sulle carceri
18 marzo 2015
“L’Italia è tra i Paesi che spendono di più (per il sistema penitenziario, ndr). Nel 2014 il nostro Paese ha speso più di 150 € al giorno per detenuto, più degli altri Paesi considerati, e in molti casi enormemente di più.
(…) Le spese del personale da noi sono una fetta enorme. L’82,9% di quello che spendiamo per le nostre carceri lo spendiamo in stipendi per il personale. Su altre voci spendiamo assai meno, e questo forse aiuta a capire la ragione dell’attuale disastro.
Nel 2014 a fronte di una spesa totale per detenuto di 150,40 €, il mantenimento (assistenza, rieducazione, trasporto detenuti, ndr) è precipitato a 11,5 € al giorno”. – XI Rapporto Nazionale sulle condizioni di detenzione di Associazione Antigone –
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Legalità, Tour Cgil 2015 – Camusso & Bindi
21 febbraio 2015
“Ogni lavoratore è un presidio di legalità. (…) Segnalateci (i sindacati, ndr) le aziende dove non riuscite ad entrare, perché l’assenza di sindacato è un indice di mafiosità”.
– Rosy Bindi, presidente Commissione parlamentare Antimafia – Tour Cgil ‘Legalità una svolta per tutte’ –
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Casa del Jazz, Tour della legalità – Rosy Bindi
20 febbraio 2015
“La riemersione di un’azienda confiscata da un regime illegale mafioso alla legalità ha dei costi, ha bisogno di qualche investimento. (…)
Mi fanno ridere quelli che dicono ‘La si vende’. Ma chi se la compra un’azienda mafiosa? Con il personale a nero, con i fornitori mafiosi, i clienti legati ad un sistema inquinato. Le togliamo dalle mani della mafia? Bene, ci dobbiamo investire. Si parla di un patrimonio di decine di miliardi, con cui si può fare un pezzo di economia in questo Paese”. – Rosy Bindi, presidente Commissione Antimafia – Tour ‘Legalità una svolta per tutte’ –
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- Appalti Legalità_Cgil Cisl Uil
10 febbraio 2015
“In Italia spendiamo più del 15% del PIL in appalti pubblici. (…)
La cattiva gestione degli appalti alimenta il fenomeno della corruzione, che in Italia porta ad una diminuzione degli investimenti esteri e fa lievitare il costo complessivo degli appalti. (…) Una criticità riguarda le procedure di deroga, attraverso le quali spesso si aggirano e vengono annullate più normative, causando la degenerazione del sistema degli appalti e alimentando, di fatto, i livelli di corruzione nella PA, favorendo di fatto le infiltrazioni delle organizzazioni mafiose. (…) Per questo proponiamo che le deroghe al Codice degli appalti abbiano una natura selettiva, che siano mirate e codificate e rispondano ad un criterio oggettivo di pubblica utilità, in relazione ad aspetti calamitosi e nell’impellenza di un pericolo urgente e contingente da rimuovere.”
– Luigi Sbarra, segretario confederale Cisl – Relazione introduttiva al seminario –
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Don Ciotti – Festival Beni confiscati a Milano
30 gennaio 2015
“Noi glielo abbiamo permesso alle mafie di vivere. Complice un’antimafia conformata. (…) La prima vera grande riforma è quella di noi stessi, delle nostre coscienze. Non celebriamoci, ma ascoltiamoci, e poi dobbiamo darci e dare una scossa.”
– Don Luigi Ciotti, presidente di Libera – Stati Generali dell’Antimafia, Contromafie 2014 –
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Ass. Vittime del Dovere – Festival Beni confiscati a Milano
21 gennaio 2015
“Non abbandoniamo la Terra dei Fuochi. Come è stato a Cernobyl. Non permettiamo alla mafia di decidere”.
Monika Dobrowolska, vedova di Roberto Mancini sostituto commissario di Polizia a Roma morto il 30 aprile scorso per una “malattia professionale”. Mancini si è occupato per anni di ecomafie e traffici illegali di veleni nella Terra dei Fuochi. Un’attività che lo ha esposto costantemente a materiali tossici e scorie radioattive. Per il suo linfoma lo Stato gli ha “concesso” 5mila euro.
“Ora chiediamo al Ministero dell’interno che Roberto sia riconosciuto come vittima del dovere e che la Camera dei deputati stabilisca il dovuto risarcimento per chi ha perso la vita per il lavoro svolto in nome del Parlamento italiano”. – Rapporto Ecomafia 2014 di Legambiente onlus –
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Don Luigi Ciotti – Festival Beni confiscati a Milano
19 dicembre 2014
“Una persona istruita sarà una spina nel fianco alle organizzazioni criminali. E’ importante quindi l’educazione nelle scuole, l’università (…) Perché è la cultura che dà una sveglia alle coscienze, e senza cultura non c’è speranza”.
– Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, Stati Generali dell’Antimafia – Contromafie 2014 –
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18 dicembre 2014
“Ci sono partiti politici che non si decidono a partecipare, ad essere presenti nella Commissione Parlamentare Antimafia. Abbiamo chiesto all’Europa di essere più forte con le mafie e di avere un codice etico per le candidature a tutte le competizioni elettorali: deve bastare un indizio di colpevolezza ad un partito per impedire l’avanzamento di una candidatura.”
– Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, durante gli Stati generali dell’Antimafia – Contromafie 2014

Lavoratori disabili (Foto: web)
11 ottobre 2021
Disabilità e lavoro – Il lavoro come strumento di reale inclusione. È quello che prevede la legge 68 del 1999 con le liste di collocamento obbligatorio. Nonostante la tutela verso i lavoratori disabili, sono ancora tante persone con disabilità che pur essendo iscritte in queste liste denunciano difficoltà ad accedere al mercato del lavoro, sia pubblico che privato. Una condizione che rende, di fatto, invisibile un’intera fascia di persone escluse dal diritto al lavoro. La Federazione FIRST ha ricevuto numerose segnalazioni da persone disabili e spiega che “dall’esame della documentazione in nostro possesso emerge una situazione diversificata per zone territoriali provinciali, e abbiamo il legittimo dubbio che qualcosa non stia funzionando esattamente come dovrebbe”. Il Coordinamento Regione Sicilia FIRST ha chiesto per questo motivo un’audizione in Regione Sicilia “per comprendere le dette dinamiche e valutare in che modo vengono applicate le norme nazionali sopra citate”, si spiega nel comunicato.
Il comunicato completo:
“Spett.li Commissioni, Egregi Sigg.ri Presidenti, da diverso tempo giungono alla FIRST diverse comunicazioni provenienti da persone con disabilità in età lavorativa, regolarmente iscritte nelle liste del collocamento obbligatorio, di cui alla legge n. 68/1999, con le quali denunciano la difficoltà ad essere inserite nel mercato del lavoro, sia in quello privato soggetto all’obbligo di assunzione, sia, soprattutto, nei confronti degli Enti Pubblici che denunciano anno per anno le quote di scopertura.
Purtroppo, stiamo parlando di un fenomeno per molti versi drammatico, in quanto per le persone con disabilità che sono nelle condizioni di potere lavorare e dare il loro contributo allo sviluppo della società, il mancato inserimento nel mondo lavorativo determina la loro totale esclusione sociale, di fatto diventano “ persone invisibili”, conosciute soltanto dalle strutture assistenziali, laddove invece è fondamentale per loro il lavoro che li affrancherebbe da una terribile condizione di isolamento conferendogli una dignità come persona nella vita sociale della collettività.
La FIRST, in ordine a quanto sopra, alla luce delle citate richieste di aiuto, ha sviluppato delle conoscenze approfondite sul fenomeno a livello Regionale e non solo.
Dall’esame della documentazione in nostro possesso emerge una situazione diversificata per zone territoriali provinciali e abbiamo il legittimo dubbio che qualcosa non stia funzionando esattamente come dovrebbe.
Pertanto, al fine di comprendere le dette dinamiche e valutare in che modo vengono applicate le norme nazionali sopra citate, nell’ambito della Regione Siciliana, con la presente si chiede che venga disposta un audizione della FIRST, unitamente all’assessorato competente per il lavoro, alle strutture dipartimentali del lavoro e alle parti sociali.”

Homeless, povertà (Fonte: web)
24 settembre 2021
Povertà e persone senza dimora – In vista della Giornata mondiale contro la povertà, l’associazione Avvocato di Strada Onlus ha organizzato il primo Festival dei Diritti della Persone Senza Dimora. Dalla salute all’immigrazione, dal diritto alla casa alle discriminazioni sono tanti i temi da affrontare per tutelare chi si trova in condizoni di estrema povertà, all’improvviso, e per chi è un homeless. “Questo ultimo anno la pandemia globale ci ha fatto comprendere più che mai che nessuno può essere lasciato indietro nell’accesso alle cure e ai diritti fondamentali. Prenderne coscienza può essere faticoso e complicato, ma aiuta a costruire una società più giusta e solidale” spiega il presidente dell’Associazione Avvocato di Strada, Antonio Mumolo. Un tema che #ciriguarda. Tutti/e. E’ possibile iscriversi agli eventi del Festival dall’apposito link.
Il comunicato dell’associazione:
“In occasione della Giornata mondiale contro la povertà, l’Associazione Avvocato di strada ha organizzato per i giorni 15, 16 e 17 ottobre la prima edizione di “Homeless More Rights”, il primo festival dedicato ai diritti delle persone senza dimora. L’iniziativa si svolgerà in formula ibrida: in presenza a Bologna, presso l’elegante Auditorium Enzo Biagi in pieno centro città e in un punto di grande visibilità, e online tramite piattaforma Zoom.
Da oggi è possibile iscriversi al festival e consultare il programma completo sul sito dedicato: https://homelessmorerights.it.
Il Festival prevede 17 ore di dibattiti sui temi del diritto alla salute, immigrazione, discriminazioni, diritto alla casa e giustizia sociale, con l’intervento di avvocati, docenti universitari, sociologi, assistenti sociali, esperti di settore, rappresentanti delle associazioni e giornalisti.
“Tutelare i diritti degli ultimi significa tutelare i diritti di tutti. Non ci stanchiamo mai di ripeterlo e per ribadirlo ancora una volta abbiamo pensato di organizzare un vero e proprio Festival che vedrà la partecipazione di tanti relatori di prestigio e che è aperto a tutti coloro che vorranno avvicinarsi ai nostri temi”. Così Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada, che prosegue: “Ci auguriamo di poter ripetere l’esperienza di questo Festival anche il prossimo anno e in un altra città. Questo ultimo anno la pandemia globale ci ha fatto comprendere più che mai che nessuno può essere lasciato indietro nell’accesso alle cure e ai diritti fondamentali. Prenderne coscienza può essere faticoso e complicato, ma aiuta a costruire una società più giusta e solidale”.
Il festival si concluderà domenica 17 ottobre con un momento di dibattito e confronto sui temi trattati durante le tre giornate durante il quale interverranno Don Luigi Ciotti (Gruppo Abele – Libera), Rossella Miccio (Emergency), Mario Perrotta (attore, regista e scrittore) e Antonio Mumolo (Avvocato di strada).
Sarà possibile seguire tutti gli eventi del festival sia in presenza, nel rispetto delle normative anti Covid, presso l’Auditorium Enzo Biagi della Sala Borsa in Piazza del Nettuno, sia in diretta streaming tramite la piattaforma Zoom.
Il festival sarà anche l’occasione per presentare il bilancio sociale dell’Associazione Avvocato di strada relativo all’anno 2020, anno in cui la pandemia globale e la crisi economica da essa derivante hanno causato un milione di poveri in più (dati ISTAT), e portato alla ribalta la necessità di contrastare con ogni mezzo l’emergenza sociale da essa derivante. Il festival vuole infatti essere un’occasione di formazione e sensibilizzazione per chi lavora con le persone in difficoltà e per chi sogna una società più equa e giusta.”

Scuola, diritti e disabilità (Fonte: web)
13 settembre 2021
Scuola e diritti – Oggi, in molte scuole d’Italia, è suonata la prima campanella del nuovo anno scolastico. Un nuovo inizio che da mesi, come sempre, richiederebbe una programmazione anticipata e l’organizzazione e assegnazione delle classi ai docenti. Anche quest’anno i ritardi per molti rappresentano un disagio, e la mancata tutela del diritto allo studio. Si parla degli alunni con disabilità, che ogni anno vedono posticipato il loro ingresso effettivo in aula. E la loro concreta inclusione a scuola. Lo ha ribadito la Federazione FIRST, che in un comunicato commenta il nuovo inizio scolastico sottolineando che “a molti di loro (alunni disabili, ndr), per migliaia e migliaia, sarà assegnato un docente precario su posto comune, perché non ci sono tanti docenti di sostegno specializzati per quanto sono gli alunni con disabilità che ne hanno diritto. Un autentico incubo e timore per gli alunni e le famiglie che subiscono l’interruzione personale educativa”. In attesa che la proposta di legge che stabilizzi gli assistenti alla comunicazione, lavoratori precari impegnati nel compito di fare inclusione scolastica, proceda spedita nel suo iter legislativo e diventi legge, molti di questi lavoratori mancheranno nelle aule di tante scuole d’Italia. O arriveranno a coprire quel ruolo dopo mesi, lasciando gli alunni disabili senza sostegno. “E nessuno si assume le proprie responsabilità di questo sconcertante fallimento”, chiosa la FIRST.
Di seguito il comunicato completo:
“Tra poco meno di una settimana inizierà la scuola, gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado inizieranno il prossimo anno scolastico, le famiglie italiane nell’era del Covid, delle misure di sicurezza si avviano ad accompagnare i loro figli più piccoli a scuola, finalmente ci siamo! Ma, come ormai da tempo immemore, anche quest’anno la scuola, il diritto allo studio e all’istruzione, non sarà uguale per tutti.
Ci saranno alunni e famiglie di serie a); alunni e famiglie di serie b).
I primi grosso modo non vivranno grandi problemi se non quelli legati alla norme di sicurezza, agli spazi, alla rotazione di qualche docente. I secondi, quelli di serie b), gli alunni che vivono una condizione di disabilità, spesso grave e le loro famiglie, per molti di loro inizierà un altro anno di passione, sofferenza e di lotta.
Anche per questo anno, l’ennesimo di una lunghissima serie, non tutti gli alunni troveranno “il docente di sostegno specializzato”. A molti di loro, per migliaia e migliaia, sarà assegnato un docente precario su posto comune, perché non ci sono tanti docenti di sostegno specializzati per quanto sono gli alunni con disabilità che ne hanno diritto. Quindi arriverà chiunque!
La continuità didattica per decine di migliaia di alunni, ormai da tempo immemore, si perderà, nella girandola di assegnazione annuale dei docenti, molti alunni, quelli che ne avrebbero maggiormente bisogno, non troveranno il docente di sostegno specializzato dell’anno precedente che tanto aveva lavorato in sinergia per realizzare un minimo di inclusione, di diritto allo studio e all’istruzione. Un autentico incubo e timore per gli alunni e le famiglie che subiscono l’interruzione personale educativa. Del resto, come si suol dire, prima il lavoro, poi i diritti degli ultimi.
Gli assistenti all’autonomia e comunicazione comunque siano denominati, figure professionali preziose e indispensabili di supporto alla didattica, anche loro mancheranno in molte zone del nostro territorio, entreranno a scuola, (se vi entrano), nel mese di Ottobre, forse a Novembre, Dicembre e chi lo può dire…. dipende!
Dipende da questa o quella Regione; da questa o quella Città Metropolitana; da questo o quel Comune; dalle risorse che hanno messo in campo, ( spesso modeste e insufficienti o proprio nulle), spesso la figura non sarà garantita per tutte le ore per cui è necessaria; da quando hanno iniziato a programmare il servizio ( non sia mai che questo evento straordinario e imprevedibile chiamato inizio scolastico arrivi a Settembre!).
Di conseguenza, per molti alunni e per le loro disgraziate famiglie l’inizio della scuola diventa… per molti un campo di battaglia, inizia la lotta; iniziano i ricorsi, ( a migliaia ogni anno); iniziano le sofferenze; iniziano gli articoli di denuncia sui giornali, sulle tv; sul web; le manifestazioni di protesta e nel frattempo la scuola di chi per fortuna non vive queste problematiche, l’altra scuola, va avanti.
GLIR, GIT; GLI; GLO; CTS, Scuole Polo per l’ Inclusione; Sportelli per questo e per quell’altro, una straordinaria congerie di organismi che dovrebbero garantire l’inclusione scolastica e poi: libri; modelli, carte, tabelle di deficit; range – orari, nuove valutazioni, normative di dubbia legittimità costituzionale; migrazione annuale di docenti di sostegno, e poi…. E poi non si è in grado di fare arrivare, sin dal primo giorno, un docente specializzato e un assistente per TUTTI gli alunni che necessitano e per tutti i bambini/e più fragili rispettando il LORO primo diritto, quello di avere a proprio fianco le figure di supporto previste dalla normativa cogente e inderogabile per garantire il loro diritto fondamentale allo studio, all’istruzione e all’inclusione scolastica.
E nessuno si assume le proprie responsabilità di questo sconcertante FALLIMENTO!”

Assistenti all’autonomia (Fonte: web)
2 settembre 2021
Disabilità e scuola – La Federazione FIRST ha incontrato negli giorni scorsi le principali organizzazioni sindacali. Un tavolo in cui si è discusso del progetto che punta a internalizzare e stabilizzare gli assistenti all’autonomia e comunicazione al MIUR. Una legge che comporterebbe per i lavoratori del comparto “la fine di una condizione di precariato e di condizione di vita che non può ritenersi civile e dignitosa in una Paese come il nostro”. L’inizio dell’iter parlamentare è previsto per settembre 2021. Una legge che guarda anche all’inclusione concreta degli alunni con disabilità sostenuti in aula da questi lavoratori “che svolgono un lavoro prezioso ed essenziale a beneficio dei citati alunni e delle stesse scuole, deve costituire obiettivo comune a tutte le forze politiche”, si legge nel comunicato.
Di seguito il comunicato completo:
“In data 31.08.2021, la FIRST si è fatta promotrice di un incontro molto rilevante con le organizzazioni sindacali per discutere, condividere, collaborare e ragionare in ordine alla proposta di legge, depositata in seno alle commissioni della Camera dei Deputali, Lavoro e Istruzione, relativa al progetto di internalizzazione e stabilizzazione degli assistenti all’autonomia e comunicazione, anche diversamente denominati, in seno al Ministero dell’Istruzione, in vista dell’inizio dell’iter parlamentare previsto per il mese di Settembre 2021.
All’incontro per le organizzazioni sindacali hanno partecipato: Manuela La Calza ( SegreteriaNazionale CGIL); Attilio Varengo ( Segretaria Nazionale Cisl scuola); Ornella Cuzzupi ( Segretario Nazionale UGL); Pasquale Raimondo ( UIL Scuola); Giovanni Portuesi ( Segretario generale Nazionale Anief) e Maria Teresa Di Maio ( Anief).
All’incontro era presente l’On. Carmela Bucalo (FDL), prima firmataria ed estensore della proposta di legge. La FIRST ringrazia vivamente tutti i rappresentanti delle organizzazioni sindacali presenti e l’On. Bucalo, per avere partecipato all’incontro di cui ci siamo stati promotori, per discutere, condividere e collaborare in ordine ad una proposta di legge che noi riteniamo assolutamente fondamentale e decisiva nel processo di inclusione degli alunni con disabilità che necessitano di tali figure professionali.
Abbiamo illustrato le ragioni del perché due Federazioni di rappresentanza Nazionale dei diritti e dei bisogni degli alunni con disabilità e delle famiglie, come la FIRST e la FAND, hanno avvertito la necessità impellente di presentare una proposta di legge nel luglio 2020, in seno ad una conferenza stampa tenutasi a Roma, presso la Sala Capranichetta, adiacente alla Camera dei deputati, e di informare della stessa tutte le forze parlamentari affinchè potesse diventare patrimonio comune e condiviso trasversalmente da tutti i gruppi parlamentari, al fine di realizzare quella che noi definiamo una svolta storica nel processo effettivo di inclusione degli alunni che vivono una condizione di disabilità e che necessitano di tali preziose figure professionali.
L’incontro è stato molto significativo e di grande attenzione da parte di tutte le forze sindacali presenti, ciascuno di loro ha apportato dei ragionamenti costruttivi in vista del raggiungimento di un obiettivo comune.
Abbiamo, infatti, ricordato alle organizzazioni sindacali che la FIRST rappresenta i diritti e i bisogni degli alunni e delle famiglia, ma non rappresenta i lavoratori del comparto, i quali tuttavia sono parimenti interessati all’ approvazione della legge, perché ciò comporterebbe per loro la fine di una condizione di precariato e di condizione di vita che non può ritenersi civile e dignitosa in una Paese come il nostro, per tale ragione le dette esigenze è giusto che siano rappresentate dalle forze sindacali.
Rilevante è stato l’apporto tecnico – giuridico fornito dall’Onorevole Bucalo, che in veste di prima firmataria ed estensore della proposta di legge, ha avuto modo di analizzare, discutere e ragionare, con le parti sociali presenti, in ordine a molti aspetti che riguardano le norme e il procedimento di internalizzazione e stabilizzazione, delineando quali sono i contorni e gli spazi demandanti alla competenza della contrattazione sociale.
Le parti presenti hanno considerano la proposta di legge, modificata come concordato con la presentatrice, una valida base di partenza per una discussione tra tutte le forze politiche presenti in parlamento. L’ipotesi normativa potrà infatti dare risposte effettive ai bisogni degli alunni più fragili e bisognosi di maggiore tutela e di riflesso ai lavoratori precari che svolgono un lavoro prezioso ed essenziale a beneficio dei citati alunni e delle stesse scuole, deve costituire obiettivo comune a tutte le forze politiche.
Con le organizzazioni CGIL, CISL e UIL, si è convenuto di continuare la collaborazione nei ragionamenti intrapresi con il coinvolgimento delle rispettive Federazioni della Funzione Pubblica che rappresentano, allo stato, i lavoratori che svolgono il lavoro di assistenti, con l’organizzazione di altri incontri successivi.
Pieno e incondizionato sostegno al processo di internalizzazione e stabilizzazione è pervenuto da parte delle organizzazioni sindacali UGL e Anief.”

Caregivers familiari e tutele (Foto: web)
28 luglio 2021
Caregivers e tutele – La proposta di legge per il riconoscimento e la tutela della figura del caregiver familiare, di rinvio in rinvio, rimane arenata tra Ministeri e Commissioni. L’ultimo rinvio è datato 21 gennaio 2021. La pandemia, oltre a rallentare i lavori della Commissione parlamentare, ha aggravato il carico di lavoro quotidiano in solitudine dei caregivers, che in oltre un anno di emergenza sanitaria si sono fatti completamente carico del familiare disabile. Senza tutele, anche per la loro salute. Parte da queste premesse la lettera inviata dalla FIRST, Federazione Italiana Rete Sostegno e Tutela diritti delle persone con disabilità, e dalla CONFAD, Coordinamento Nazionale Famiglie con Disabilità. “Le misure di sostegno, anche economiche, adottate dal Governo a beneficio delle varie categorie, ad
exemplum imprese, lavoratori dipendenti e autonomi, hanno inspiegabilmente e scandalosamente escluso i Caregivers familiari proprio quando hanno rappresentato la spina dorsale del welfare informale”, spiegano le associazioni nella lettera inviata ai ministeri delle Pari Opportunità e della disabilità, alla XI° Commissione Parlamentare, e a tutti i Gruppi parlamentari. “Nessuno si nasconda più di fronte ad un’emergenza di civiltà e giustizia, ma s’ impegni per i diritti e
le tutele da tempo riconosciuti ed applicati per i caregivers familiari in tutti i Paesi dell’Unione
Europea”, commentano nella lettera.
Il link alla petizione lanciata per chiedere con urgenza una legge a tutela dei caregivers familiari http://chng.it/bLB2WGN4
La lettera integrale delle associazioni FIRST e CONFAD:
“Il periodo pandemico ha messo a durissima prova i caregivers familiari, dal momento che si sono
dovuti completamente fare carico dei loro congiunti con disabilità non autosufficienti soprattutto in
un momento in cui tutti i sostegni, sia in forma diretta che indiretta, previsti per le persone con
disabilità, sono stati sospesi e/o interrotti.
Le misure di sostegno, anche economiche, adottate dal Governo a beneficio delle varie categorie, ad
exemplum imprese, lavoratori dipendenti e autonomi, hanno inspiegabilmente e scandalosamente escluso i Caregivers familiari proprio quando hanno rappresentato la spina dorsale del welfare informale.
La pandemia ha gravato in modo drammatico ed estenuante sulle famiglie con disabilità: i caregivers
familiari si sono dovuti assumere ulteriori responsabilità sostituendosi anche ai servizi fondamentali
sospesi, evidentemente ritenuti accessori o perfino marginali dalle Istituzioni.
Per non tacere sull’emergenza lavorativa scaturita per i caregivers familiari costretti a conciliare
anche l’attività lavorativa con quella di caregiving, la quale ha assunto e assume connotati di ulteriore
gravità, non supportata dalle necessarie tutele professionali, sia in tempo di lockdown che nel periodo
post pandemico.
Per tale motivo riteniamo che vengano adottate nel testo di legge anche tutte le misure idonee alla
tutela del posto di lavoro e in subordine ad un reale percorso di riqualificazione e ricollocazione che
non si limiti al mero riconoscimento di figura assistenziale e/o infermieristica, ma che riconosca le
professionalità pregresse e le adatti anche ad un contesto lavorativo mutato dalle nuove tecnologie e
alle diverse nuove modalità d’ impiego.
L’ opportuna fase emendativa e la successiva approvazione del disegno di legge n. 1461, attualmente
depositato presso l’XI Commissione del Senato, non è più rinviabile e rappresenta un vulnus per le
famiglie con disabilità, in quanto la sua assenza determina a cascata la carenza di quel procedimento
giuridico – amministrativo che definisca una volta per tutte e con valenza nazionale il riconoscimento
dei diritti e dei sostegni del caregiver familiare.
Ribadiamo, ancora una volta, i punti imprescindibili per una buona legge nazionale:
• 1. IL CAREGIVER FAMILIARE E’ DIVERSO E DISTINTO DALLA PERSONA CON DISABILITA’ DI CUI SI PRENDE CURA: i fondi per la non autosufficienza (FNA) hanno il loro iter, il loro scopo, la loro ragione d’essere. Le misure per i caregivers familiari devono
prevedere l’opportuno incremento del fondo di dotazione specifico, senza confusioni con altri fondi.
• 2. IL CRITERIO DELLA PARENTELA E’ FONDAMENTALE: IL CAREGIVER E’ FAMILIARE, secondo quanto indicato dalla legge del dicembre 2017. Nulla a che vedere con
badanti, OSS che abbiano già i loro indirizzi e le loro tutele.
• 3. IL CAREGIVER FAMILIARE CONVIVE CON LA PERSONA CON DISABILITA’ CHE ACCUDISCE: Il criterio della CONVIVENZA è FONDAMENTALE, anche per l’individuazione di chi effettivamente presta l’opera di cura continuativa alla persona non autosufficiente.
• 4. I SOSTEGNI IMPRESCINDIBILI: CONTRIBUTI FIGURATIVI, PREPENSIONAMENTO, SOSTEGNO ECONOMICO.
• 5. DIRITTO AL SOLLIEVO, RIPOSO, SALUTE: deve essere garantito al caregiver
familiare il diritto al riposo, al sollievo, alle cure, con programmi stabili di assistenza garantita e di
emergenza in caso di malattia e/o ricovero del caregiver familiare, sono diritti umani fondamentali,
ad oggi non garantiti per i caregivers familiari.
Dal sito dell’XI Commissione ufficialmente risulta che i lavori dopo il primo rinvio del 21 luglio
2020, in attesa di un parere “tecnico-finanziario del Governo” il quale, ancora ad oggi, di rinvio in
rinvio, fino alla data dell’ultima riunione del 21.01.2021, non risulterebbe pervenuto.
La crisi di Governo ha solo rappresentato un breve stop dei lavori, ma da mesi la situazione si è
stabilizzata, di conseguenza non si comprende per quali ragioni i lavori al testo non siano ripresi.
Si tratta di un ritardo ormai divenuto ingiustificabile e intollerabile: sappiamo tutti, infatti, che il testo
della proposta di legge per essere approvato necessita ancora di ulteriori passaggi e, una volta
approvata la legge per la sua concreta attuazione, occorreranno gli atti di normazione secondaria.
Pertanto, non c’è più tempo da perdere: il testo di legge va opportunamente emendato ed approvato.
Per detta ragione d’ urgenza la missiva è indirizzata altresì al Ministro della Famiglia e delle Pari
Opportunità, in quanto compete, ai sensi dell’art. 2 comma 1 del DPCM del 15 marzo 2021, il compito
di “garantire la promozione dei diritti della persona, delle pari opportunità e della parità di
trattamento, la prevenzione e la rimozione di ogni forma e causa di discriminazione “.
Non c’è chi non veda nella posizione dei caregivers familiari una lesione manifesta delle pari
opportunità, della parità di trattamento e della condizione di discriminazione in cui essi sono costretti
e indotti a vivere.
La missiva si rivolge inoltre al Ministro per la Disabilità in quanto, seppure il suo compito così
come delineato dal DPCM del 15.03.2021, art.1, è certamente quello di: “promuovere, coordinare,
garantire e tutelare i diritti delle persone con disabilità e favorire la loro piena ed effettiva
partecipazione ed inclusione sociale, nonché la loro autonomia”, è evidente che la garanzia di tali
diritti è legata anche alla condizione di benessere e al riconoscimento di tutele e sostegni previsti
per il caregiver familiare.
Infine la missiva è rivolta opportunamente anche a tutti i Gruppi Parlamentari affinché ciascuno si
assuma la responsabilità e faccia il proprio dovere, avvertendo come prioritaria l’approvazione della
legge.
Nessuno si nasconda più di fronte ad un’emergenza di civiltà e giustizia, ma s’ impegni per i diritti e
le tutele da tempo riconosciuti ed applicati per i caregivers familiari in tutti i Paesi dell’Unione
Europea.”

Scuola, assistenti all’autonomia (Foto: web)
30 giugno 2021
Scuola, disabilità e Assistenti all’autonomia e alla comunicazione – È passato poco meno di un anno dalla presentazione della proposta di legge che punta ad internalizzare gli assistenti all’autonomia e comunicazione, che nelle scuole aiutano gli studenti con disabilità nel processo di inclusione e al rispetto del loro diritto allo studio. Da quel giorno il lavoro delle associazioni e federazioni che hanno proposto il disegno di legge è proseguito, con la sottoscrizione del testo da parte di vari gruppi parlamentari. Con prima firmataria la deputata Carmela Ella Bucalo. A settembre 2021 è previsto l’inizio dell’iter parlamentare “dinnanzi la Commissione lavoro della Camera dei Deputati inizia l’iter parlamentare congiunto con la Commissione Istruzione, per la discussione della proposta di legge n. C.2887”, come si legge nel comunicato della Federazione FIRST. Che aggiunge: “Auspichiamo in vista dell’inizio dell’iter parlamentare che vi sia una condivisione del progetto da parte di tutte le associazioni e/o Federazioni rappresentative delle persone con disabilità e delle famiglie, alla luce di un obiettivo che non può che essere comune”.
Il servizio sulla presentazione della proposta di legge è al seguente link.
Di seguito, il comunicato stampa completo:
“La FIRST comunica, con grandissima soddisfazione, che per il mese di settembre 2021, dinnanzi la Commissione lavoro della Camera dei Deputati inizia l’iter parlamentare congiunto con la Commissione Istruzione, per la discussione della proposta di legge n. C.2887, prima firmataria On. Bucalo.
Abbiamo lavorato tanto per ottenere il citato risultato che finalmente è arrivato.
La scrivente Federazione esprime il proprio compiacimento per l’inizio dell’iter parlamentare per una proposta di legge attesa da molto tempo, che qualora venisse approvata, come noi auspichiamo, assumerebbe una portata storica nel processo effettivo di inclusione per gli alunni che vivono una condizione di disabilità che necessitano dell’apporto imprescindibile delle citate figure professionali.
La FIRST ringrazia i gruppi parlamentari che hanno sottoscritto la citata proposta di legge, che l’ hanno fatta propria depositandola in parlamento e lavorato affinché la stessa fosse incardinata nel più breve tempo possibile.
Un ringraziamento particolare va alla prima firmataria della proposta di legge l’ On. Carmela Ella Bucalo.
La FIRST, tuttavia, auspica vivamente che tutti i gruppi parlamentari, nessuno escluso, sostengano trasversalmente l’approvazione della citata proposta di legge, perché vi è in gioco la condizione di vita e di inclusione effettiva di migliaia di alunni, delle famiglie e di riflesso di circa sessantamila assistenti specializzati.
Noi auspichiamo in vista dell’inizio dell’iter parlamentare che vi sia una condivisione del progetto da parte di tutte le associazioni e/o Federazioni rappresentative delle persone con disabilità e delle famiglie, alla luce di un obiettivo che non può che essere comune, atteso che, non può sfuggire a nessuno, l’enorme rilevanza che assumerebbe un processo di internalizzazione della citata figura professionale nell’ organico del MIUR.
Per quanto ci concerne sosterremo la detta proposta di legge, come abbiamo sempre fatto fino ad oggi, con la massima determinazione possibile.”

Minori Stranieri non accompagnati (Foto: carreteracentral.net)
20 giugno 2021
Giornata Mondiale del Rifugiato, i rischi vissuti dai minori stranieri non accompagnati – Invisibili e per questo esposti a pericoli, tra cui lo sfruttamento e le violenze. I minori stranieri non accompagnati arrivati alle frontiere orientali del nord Italia solo nel mese di aprile sono stati 107. Minori in viaggio dalla rotta balcanica che vengono intercettati all’arrivo in Italia. Viaggi da una frontiera all’altra dell’Italia, per raggiungere altre zone del’Europa, che Save The Children ha raccontato nel suo ultimo rapporto “Nascosti in piena vista”. “Una volta arrivati in Italia, minori e famiglie continuano a essere vittime di respingimenti alle frontiere interne, che in particolare per i minori soli sono illegali”, si legge nel comunicato di presentazione del rapporto. Sul confine italo-francese approdano ogni giorno 3/4 minori, la maggior parte sono maschi ma tra di loro ci sono anche ragazze minorenni. Il rischio è quello di sfruttamento e tratta, “in mancanza di vie legali e sicure gli e le adolescenti sono esposti a grandi rischi, ad attraversare pericolosi sentieri di montagna di notte, a vivere di stenti, a fidarsi dei passeur e di chiunque prometta loro un aiuto per l’attraversamento dei confini” spiega l’organizzazione Save the Children. Tra frontiere chiuse e continui respingimenti, i pericoli sono concreti, e le istituzioni sono consapevoli dei rischi. E i minori non accompagnati restano i più fragili ed esposti.
Il comunicato completo di Save the Children:
“Si spostano a piedi, nascosti sotto i camion o sui treni, trasportati in macchina in autostrada dai passeur, attraversano boschi e montagne pericolose come il Passo della morte tra Italia e Francia, spesso di notte, per superare confini blindati, vengono respinti una, due, dieci, venti volte, in modo spesso brutale e illegale, nonostante abbiano meno di 18 anni, anche tra Paesi Membri dell’Ue. Ma non si arrendono. Sono tanti i racconti dei minori stranieri non accompagnati, a volte poco più che bambini, che parlano delle atrocità subite o a cui hanno dovuto assistere, soprattutto lungo la rotta balcanica: ragazzi che raccontano di essere stati derubati, picchiati, denudati in Croazia, detenuti e sottoposti a violenze in Bulgaria.
Queste testimonianze sono state raccolte da Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro – nel suo nuovo rapporto “Nascosti in piena vista. Minori migranti in viaggio (attra)verso l’Europa”, a cura del giornalista Daniele Biella, accompagnato sul campo dal fotoreporter Alessio Romenzi. In occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, il Rapporto lancia un allarme sui moltissimi minori soli che si muovono come fossero fantasmi. “Ogni giorno e ogni notte attraversano i confini degli stati membri dell’Unione Europea, Premio Nobel per la pace, che continua a chiudere gli occhi di fronte alle violenze che i migranti sono costretti a subire” afferma Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children.
Minorenni invisibili che sono continuamente esposti al rischio di incidenti, traffico di esseri umani, violenze psicologiche e fisiche, anche per mano istituzionale. Una volta arrivati in Italia, minori e famiglie continuano a essere vittime di respingimenti alle frontiere interne, che in particolare per i minori soli sono illegali. Solo nel mese di aprile sono stati 107 i minori stranieri non accompagnati che hanno fatto ingresso in Italia dalla rotta balcanica intercettati e accolti nel sistema di protezione italiano. La punta di un iceberg ben più consistente. Sempre ad aprile, 24 di loro hanno invece lasciato volontariamente le strutture di accoglienza del Friuli Venezia Giulia per raggiungere la frontiera ovest italiana, al confine con la Francia, a Ventimiglia o a Oulx. E ancora 24 sono le segnalazioni di respingimenti da parte della polizia di frontiera francese.
La voce di questi ragazzi coraggiosi ma ‘invisibili’ è stata raccolta da un team di ricerca di Save the Children per fare luce su una rotta delicata e complessa, due mesi trascorsi tra Oulx, Ventimiglia, Udine e Trieste, ripercorrendo le tracce di minori e famiglie nei luoghi di passaggio formali e informali, lungo i sentieri di montagna in entrata dalla Slovenia e in uscita verso la Francia, ascoltando le loro voci, così come quelle delle persone e organizzazioni della società civile che li stanno aiutando, oltre alle istituzioni territoriali che hanno competenza lungo quelle frontiere.
Il rapporto “Nascosti in piena vista. Minori migranti in viaggio (attra)verso l’Europa” sintetizza un lavoro sul campo che vuole gettare luce su ciò che quotidianamente accade alla Frontiera Nord d’Italia, interessata da un passaggio continuo di minorenni stranieri non accompagnati, che entrano ogni giorno in Friuli-Venezia Giulia, tra Trieste e Udine, dove arrivano a piedi dalle montagne carsiche o lasciati nelle strade di provincia da passeur senza scrupoli. Da qui o dalle regioni meridionali dove sbarcano, una decina di minori non accompagnati raggiungono inoltre ogni giorno Ventimiglia, in Liguria.
A Oulx, sempre sul confine italo-francese, ogni giorno sono almeno tre/quattro i minori soli ad approdare a un rifugio che li accoglie dopo i traumi e le fatiche del loro viaggio. I minorenni non accompagnati sono in gran parte maschi, ma non mancano i casi di ragazze in viaggio da sole, in particolare da Paesi dell’Africa Occidentale. Il rischio di tratta e sfruttamento è concreto: in mancanza di vie legali e sicure gli e le adolescenti sono esposti a grandi rischi, ad attraversare pericolosi sentieri di montagna di notte, a vivere di stenti, a fidarsi dei passeur e di chiunque prometta loro un aiuto per l’attraversamento dei confini.
Tutto questo avviene quasi alla luce del sole. Ma solo per chi lo vuole vedere. Le frontiere sono ancora più chiuse dallo scoppio della pandemia e la libera circolazione del trattato di Schengen sembra il ricordo di un passato lontano. In Francia, a Mentone, i minori soli – come riferiscono gli attori locali e gli stessi minori intervistati – oltre a venire rinchiusi in container alla stregua degli adulti, si vedono la propria data di nascita cambiata per risultare maggiorenni e quindi respingibili verso Ventimiglia, mentre tra la cittadina italiana di Claviere e la francese Monginevro, come denunciano gli operatori, se trovi il “poliziotto buono” sei accolto e tutelato, altrimenti vieni considerato maggiorenne e devi tornare da dove sei partito qualche ora prima. A Trieste, fino a pochi mesi fa le forze di polizia italiane seguivano una prassi non meno preoccupante verso chi arrivava dalla Slovenia, la quale prevedeva che, in assenza di dubbi della polizia sull’età adulta, si potesse prescindere dall’eventuale dichiarazione di minore età – non applicando quindi le garanzie, anche giurisdizionali, previste per l’accertamento dell’età dalla L.47/2017 (Legge Zampa) – con il risultato che l’Accordo italo-sloveno che prevede la possibilità di riammettere i migranti sul territorio sloveno in maniera informale rischiava di essere applicato anche ai minorenni. Oggi le riammissioni verso questo Paese sono sospese, ma durante una recente audizione in Parlamento, il Prefetto di Trieste ha annunciato che potrebbero riprendere.
“Non si può più dire “non sapevamo”. E soprattutto è necessario cambiare rotta subito: gli Stati membri dell’Unione Europea potrebbero gestire virtuosamente questi flussi di minori vulnerabili. Non solo in nome della solidarietà, che è un valore fondante, ma anche per cogliere l’opportunità di rendere parte attiva della società tutti questi ragazzi determinati a costruirsi un futuro. La Commissione europea si deve impegnare per arrivare a una Raccomandazione agli Stati Membri o ad altro atto di rango europeo che richieda di adottare e applicare politiche volte ad assicurare la piena protezione dei minori non accompagnati ai confini esterni e interni dell’Europa e sui territori interni e a promuovere il loro benessere e sviluppo, anche mediante strategie tese all’inclusione scolastica e formativa. Inoltre, a livello italiano, è necessario emanare i decreti attuativi della L. 47, che tutelano i minori stranieri non accompagnati, e gli stanziamenti destinati dalla Legge di Bilancio ai Comuni transfrontalieri dovrebbero essere in parte vincolati all’attivazione di progetti di assistenza umanitaria” aggiunge Raffaela Milano.
A fine aprile 2021 erano 6.633 le ragazze e i ragazzi stranieri non accompagnati censiti sul territorio italiano; nello stesso mese in 302 si sono allontanati dalle strutture di accoglienza.
Sempre ad aprile 2021 gli ingressi registrati in Italia sono stati 453, di cui 149 da sbarchi. Gli altri 304 sono invece stati rintracciati sul territorio, probabilmente passati dalla Rotta Balcanica a piedi o con i camion. Questo i dati ufficiali anche se, secondo stime degli operatori, il numero complessivo potrebbe essere molto più alto.
Nel 2020 sono state effettuate verso la Slovenia 301 riammissioni dalla provincia di Gorizia e 1000 dalla provincia di Trieste. Tra queste, potrebbero esserci diversi minori, considerato che in quel periodo erano in vigore due direttive della Procura che lasciavano all’agente di polizia in frontiera la possibilità di considerare il ragazzo maggiorenne senza applicare gli accertamenti e le garanzie anche giurisdizionali previsti dalla legge Zampa.
Tali riammissioni, che avvenivano se la persona veniva trovata in un raggio di 10 chilometri dal confine o comunque nelle 24 ore seguenti all’arrivo, hanno determinato, a cominciare dalla primavera-estate 2020, un cambiamento del flusso in entrata in Friuli Venezia Giulia: i passeur hanno iniziato a portare gruppi di persone migranti più a nord e nell’entroterra, nei dintorni di Udine. Da allora quella zona è molto coinvolta negli arrivi. Il 19 maggio 2021 il team di Save the Children ha constatato l’arrivo di più di 100 persone solo nella notte precedente. In tutto il Friuli Venezia Giulia gli arrivi sono in crescita, nei primi quattro mesi del 2021 si registra un aumento dei flussi già del 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Spesso però i minorenni soli, in particolare gli afghani e i pakistani, si allontanano dalle strutture per proseguire il loro viaggio, quasi tutti dopo poco tempo.
Negli ultimi tempi si registra un aumento dei traumi psicologici di alcuni minori, in prevalenza pakistani. Che questi traumi possano essere legati alle esperienze subite lungo la rotta balcanica, lo dimostrano diversi racconti tra cui quello di Abdel, neomaggiorenne arrivato l’anno scorso in Italia, ora in prosieguo amministrativo in comunità: “Sogno spesso le violenze della polizia nei boschi della Croazia. Una volta ci hanno fatto camminare senza sosta in salita per ore, continuando a darci percosse, un poliziotto si divertiva a farlo, gli altri gli dicevano di smetterla ma lui andava avanti. Un’altra volta ci hanno denudato e gettato in un fiume gelido, con le rocce che spuntavano dall’acqua. Una volta invece la polizia è arrivata, i piedi erano feriti e non siamo riusciti a scappare, avevano i cani. Uno di noi è stato bastonato dalla polizia alla testa ed è morto sul colpo. È morto e l’hanno preso e buttato nel fiume, il suo corpo non l’abbiamo ritrovato”.
Abdel, superato l’incubo della rotta, ha scelto di restare in Italia e ora ha il sogno di aprire un ristorante. Lui ha un tutore volontario che lo segue, ma è uno dei pochi. In Friuli Venezia Giulia, seconda regione per presenza di minori stranieri accolti dopo la Sicilia, è infatti molto bassa la presenza di tutori volontari.
Abdel è uno dei tanti che parla del game, come i ragazzi lo chiamano, il crudele “gioco” degli attraversamenti tra le frontiere balcaniche, le settimane di cammino e mesi di attesa, preoccupazione, paura fino a quando sbucano dai boschi della Slovenia a Trieste, nel paesino di Dolina, lungo la ciclabile della Val Rosarno, a Basovizza, o nella miriade di altri luoghi del Carso lungo i 232 chilometri di confine con l’Italia.
Spesso sono respinti più volte ai confini esterni dell’Unione Europea, come quello croato-bosniaco, anche più di 20 volte brutalmente, oppure con respingimenti a catena su più confini: solo ad aprile 2021, ci sono stati 1.216 respingimenti tra Croazia e Bosnia, di cui 170 a catena dalla Slovenia, 5 a catena tra Italia, Slovenia e Croazia e 1 tra Austria, Slovenia e Croazia. Per quanto riguarda i minorenni soli, l’ufficio locale Save The Children dei Balcani Nord Occidentali ha raccolto le testimonianze di ben 84 di loro (quasi tutti afgani e pakistani), in tre zone al confine bosniaco. Il quadro che ne emerge è drammatico: almeno 7 a testa (ma alcuni di loro erano arrivati a quota 15) i respingimenti da parte delle autorità croate, per un totale di 451 tentativi di attraversamento della frontiera.
“Dall’inizio della crisi migratoria del 2015 abbiamo garantito un supporto urgente ai più vulnerabili, in particolare famiglie con bambini e minori non accompagnati, soprattutto in Grecia e Serbia” spiega Dubravka Vranjanac, Emergency Response Team Leader di Save the Children per la Bosnia Erzegovina. “Ma dal 2018, con il deterioramento della situazione umanitaria, abbiamo avviato una presenza anche in Bosnia Erzegovina: ogni giorno ci sono da mettere in campo servizi di assistenza, di protezione dei minori, di formazione degli operatori coinvolti e di attività educative. Allo stesso tempo, svolgiamo un’intensa attività di advocacy per assicurarci che i bisogni dei minori siano la priorità nell’emergenza”. Dato che il flusso lungo la rotta balcanica non accennava a diminuire, Save the Children ha attivato nel 2017 anche il Balkans Migration and Displacement Hub (BMDH) che monitora la situazione delle persone lungo il cammino, raccogliendo testimonianze e dati utili per affrontare il fenomeno su larga scala. L’Hub si occupa di monitorare e analizzare le dinamiche e i flussi in Grecia, Macedonia, Serbia, Bosnia, Kosovo, Albania e Romania.
Gyasi ha 17 anni, è nato in Ciad e ha una gamba ferita da una pallottola sparatagli da un poliziotto libico quando è scappato dal centro di detenzione. Un mese prima era sopravvissuto dopo tre giorni in mare su un gommone con il motore in panne, era stato recuperato dalla Guardia costiera libica e ricondotto nel centro di detenzione in cui aveva passato i successivi 20 mesi. Una volta ripartito, è arrivato in Sicilia e dopo la quarantena a Ventimiglia. Il team di Save the Children lo incontra dopo una notte passata in un container, con decine di persone migranti, adulti e bambini, al posto di polizia di frontiera francese di Mentone, al confine con l’Italia, dove era stato chiuso dopo il respingimento alla frontiera, assieme al suo compagno di viaggio del Sudan anch’esso minorenne: “Ho dichiarato la mia data di nascita, 2004, quella con cui sono stato registrato allo sbarco in Sicilia. Ma non mi hanno creduto e mi hanno riportato in Italia scrivendo sul refus d’entrée una data che mi fa risultare maggiorenne”. Altri minori denunciano la stessa prassi, respinti come maggiorenni oppure per la mancanza di tampone molecolare anti-Covid o del possesso dell’importo minimo di soldi per soggiornare in Francia. Dal 2015 la Francia ha ristabilito i controlli alle frontiere dell’UE, giustificandoli con il rischio di infiltrazioni terroristiche. E da allora i numeri dei respingimenti sono esplosi: i 50mila respinti del 2017 sono il dato peggiore, mentre dal confronto tra i 15mila del 2019 e i 22mila del 2020 emerge che il Covid-19 non ha fermato l’esodo. Nel solo aprile 2021 sono state 18 le segnalazioni di minori non accompagnati respinti. Ma sono dati parziali, perché non riguardano tutti i passaggi di frontiera.
Le nazionalità più diffuse nel primo semestre del 2021 sono Costa d’Avorio, Eritrea, Sudan, Mali, Nigeria e altri Stati dell’Africa Occidentale per quanto riguarda gli arrivi di singoli e famiglie dalla Frontiera Sud e, in minor misura, pakistani, afghani e iraniani che non sono riusciti a passare in Francia dalla frontiera piemontese di Oulx/Claviere, o che hanno scelto la via della costa considerando le montagne troppo pericolose. Da Costa d’Avorio ed Eritrea si segnala il passaggio di ragazze sole o con accompagnatori molto più grandi, sintomo di una probabile tratta.
Save the Children, che a Ventimiglia ha attivato un Child Friendly Space in partenariato con la Caritas Intemelia, ha approntato in collaborazione con Diaconia Valdese anche uno spazio emergenziale per i minori soli che chiedono un ricovero notturno, un luogo dove ridurre il rischio di una notte trascorsa in strada e dove poter approfondire informazioni e dettagli circa i pericoli di un attraversamento del confine e sulle opportunità che il sistema di protezione italiano garantisce loro. Inoltre, nell’ambito dell’intervento di protezione in loco, Save the Children e UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, hanno unito le proprie forze per dare una risposta immediata ai bisogni essenziali di bambini e adolescenti, delle loro famiglie e delle donne sole in arrivo e in transito. Tra gli interventi: primo soccorso psicologico, informazioni sui loro diritti, nonché sui servizi e sulle opportunità disponibili, una valutazione tempestiva delle potenziali vulnerabilità e problemi di protezione specifici, tra cui quelli connessi alla violenza di genere, e con la distribuzione di kit contenenti materiali utili per il viaggio e l’igiene personale. Nel 2020 sono stati 45 i minori rintracciati, 21 nei primi 3 mesi del 2021, tutti collocati in accoglienza. Molti anche i nuclei familiari che passano arrivando sia dalla Rotta balcanica sia dall’Africa Occidentale e quindi dal Sud Italia.
Ancora respingimenti, anche di famiglie intere. È il caso di quella incontrata al rifugio Massi, nei pressi della stazione di Oulx, alta Valle di Susa. Una famiglia irachena con un bimbo di due anni e una di 10 anni, cardiopatica, è stata respinta dalla polizia francese la notte precedente mentre stava provando a passare il confine sulle montagne. La sera dopo si è rimessa in viaggio, di nuovo verso le montagne attorno al colle del Monginevro. A due anni dalla partenza dall’Iraq, dopo avere attraversato a piedi tutti i boschi dei Balcani.
Vengono dall’Iraq ma anche dall’Iran, Afghanistan, Pakistan, addirittura qualcuna dal Nepal. Sono determinatissime, non tornano indietro, né si fermano, vogliono arrivare alla meta prescelta. Fino a poco più di un anno fa non era così, si vedevano molti meno bambini. Spesso vengono rimandati indietro dalla Paf, la polizia di frontiera francese. Dal rifugio al buio si mettono in cammino per provare a passare il confine senza essere bloccati, più in alto si va sulla montagna, minore è il rischio di essere intercettati dalla polizia francese, ma aumenta quello dell’ipotermia.
Tra aprile e maggio, nei due mesi di monitoraggio di questa ricerca, sono state almeno due al giorno le famiglie passate dal rifugio, quasi tutte con almeno due figli, per un totale minimo di 60 nuclei al mese, ovvero almeno 240 persone. In passato poteva accadere che la polizia francese scaricasse le persone sul bordo della strada. Un episodio legato all’abbandono di minori non accompagnati fece scalpore e dopo le proteste del governo italiano la prassi è cambiata . Ora la polizia francese quando intercetta le persone sui sentieri chiama il Commissariato di Bardonecchia senza rilasciare alcun documento, con il risultato che il respingimento non può essere impugnato dagli avvocati francesi, in particolare quando a essere respinto è chi invece avrebbe diritto all’accoglienza, come un minore non accompagnato.
Le proposte di riforma del sistema di asilo e migrazione europeo non riescono ad affrontare le peggiori, e molto diffuse, conseguenze delle attuali norme, compresa la creazione di strozzature in prossimità delle frontiere esterne dell’UE e i movimenti secondari, che coinvolgono anche i minori. “Le istituzioni europee hanno ora l’occasione di cambiare questa situazione, basandosi sul lavoro svolto in modo efficiente dal Parlamento europeo e dalla Commissione durante la scorsa legislatura, per evitare sofferenze ai minori e rischi di tratta e sfruttamento all’interno dell’UE e in particolare ai suoi confini interni” dice Raffaela Milano.
Sono molteplici le storie raccolte, la maggior parte di coraggio e sofferenze, e molti soprusi rimangono impuniti: “Hanno preso i soldi da ogni famiglia. Hanno picchiato anche noi. Tenevano dei bastoni di plastica. Ci hanno colpito con quelli”, ci racconta Zalmai, che viene dall’Afghanistan, da dove è venuto via con la moglie tagika Jamila, sua coetanea e due figlie che ora hanno 6 e 4 anni. Dopo l’esperienza nel campo di Moria sull’isola di Lesbo, Jamila prende i tranquillanti e anche le bambine, soprattutto la più piccola, manifestano problemi psicologici: “A volte urla e si dimena per diversi minuti, incontrollabile, senza un apparente motivo scatenante” afferma la mamma. “Sapete che gioco fanno ogni tanto? Quello del poliziotto che picchia il migrante. Purtroppo hanno visto quando la polizia croata ci ha malmenato, e non se lo dimenticano”, spiega a voce bassa il padre. Le indegne esperienze traumatiche vissute dai bambini in questi viaggi si affiancano a un altro aspetto rilevato dal team: la forza di questi ragazzi e bambini e il ruolo di portavoce della famiglia. Parlano più lingue, usano smartphone e tecnologia, si orientano bene e capiscono al volo chi può essere più utile.
“Le testimonianze dei tanti minori soli incontrati ai confini Nord del Paese impongono un immediato intervento per garantire protezione e accoglienza nel rispetto dei fondamentali diritti di ogni minore in Europa. E’ altrettanto urgente attivare un monitoraggio efficace e indipendente delle frontiere, anche al fine di garantire una presa in carico delle persone più vulnerabili da parte delle organizzazioni di tutela. Questo anche per contrastare i gravissimi fenomeni di sfruttamento e di traffico di esseri umani. Chiediamo con forza che il Consiglio europeo del 24 e 25 giugno, che ha già la crisi migratoria tra i temi all’ordine del giorno, affronti con determinazione questo tema, mettendo al centro la tutela dei diritti dei minori” conclude Raffaela Milano.

Persone senza dimora (Foto: web)
14 maggio 2021
Persone senza dimora e vaccini – Dopo quasi cinque mesi dalla partenza del Piano vaccinale, sono ancora migliaia le persone invisibili alla lista degli aventi diritto al vaccino. Sono le migliaia di senza dimora, tra cui italiani, comunitari irregolari ed extracomunitari, privi di residenza e senza accesso al servizio sanitario nazionale. Una esclusione che, come ricorda l’Associazione Avvocato di strada onlus, “comporta una evidente lesione dei diritti fondamentali e di assistenza da parte dello Stato e che va a discapito della salute dell’intera collettività”. E con loro anche il personale dei centri cheli assite, come ricorda la Federazione Fio.PSD : “Tante di queste persone vivono o trascorrono il loro tempo in centri di accoglienza o in case famiglia e si rivolgono ai servizi di bassa soglia, supportati da operatori e volontari che ancora, nonostante molte petizioni e richieste formali, non sono stati equiparati agli operatori socio-sanitari di ospedali ed RSA, vaccinati – giustamente – tra i primi”. Una recente ordinanza del Commissario straordinario per l’emergenza Covid, la 7/2021, estende l’accesso al vaccino ad alcune categorie senza tessera sanitaria ma che vivono momentaneamente in Italia, tra cui dipendenti delle istituzioni UE e agenti diplomatici. Un documento che esclude altri cittadini, privi di tessera sanitaria, come le persone senza dimora. Una comunità invisibile che rimane esclusa dall’accesso automatico, per età o per fragilità, ai vaccini. “Quando ci si occuperà di chi vive in strada?” chiede l’Associazione Avvocato di strada Onlus in un appello al Commissario straordinario per l’emergenza Covid, ribadendo la necessità di vaccinare queste persone, maggiormente esposte al rischio contagio. #Aspettoilmioturno, è l’hashtag lanciato dalla campagna promossa dalla Fio.PSD per i senza dimora, a cui hanno aderito vari gruppi tra cui Binario 95 e Caritas, perchè anche chi vive ai margini possa mettrsi in fila e ricevere il vaccino.
Di seguito, l’appello dell’Associazione Avvocato di strada al Commissario Straordinario per l’Emergenza COVID
“Bene occuparsi dei non iscritti al Sistema Sanitario Nazionale. Ma quando ci si occuperà di chi vive in strada?” Commenta così l’Associazione Avvocato di strada l’ordinanza 7/2021 del Commissario straordinario per l’emergenza COVID che da istruzioni operative su come vaccinare alcune persone che non hanno la tessera sanitaria ma si dimentica di persone senza dimora, extracomunitari e comunitari irregolari, che non hanno residenza, non hanno accesso al sistema sanitario nazionale e sono esclusi dalle vaccinazioni.
Con ordinanza n.7/2021 il Commissario straordinario per l’emergenza COVID affronta un tema molto importante: assicurare una tempestiva somministrazione del vaccino ad alcune categorie di individui non iscritti al Servizio Sanitario Nazionale ma che vivono temporaneamente in Italia: tra questi i cittadini italiani iscritti all’A.I.R.E.; i dipendenti delle Istituzioni dell’UE; gli agenti diplomatici e il personale tecnico-amministrativo delle missioni diplomatiche; il personale di enti e organizzazioni internazionali sul territorio nazionale.
“In questa importante ordinanza, però, – sottolineano dall’Associazione Avocato di strada, non vengono menzionati i cittadini italiani senza dimora, i cittadini extracomunitari e i comunitari irregolari: tutte persone che, al pari delle altre, presentano fragilità, possono ammalarsi e sono in contatto con il resto della popolazione, con ogni conseguente implicazione in termini di pandemia”.
“Prendere atto con questa Ordinanza della necessità di includere nel programma vaccinale le persone non iscritte al SSN è giusto e doveroso. Nel momento in cui si riconosce questa necessità, tuttavia, non si può pensare di escludere migliaia di persone fragili e vulnerabili: una decisione che comporta una evidente lesione dei diritti fondamentali e di assistenza da parte dello Stato e che va a discapito della salute dell’intera collettività”.
“L’Associazione Avvocato di strada, da anni al fianco delle persone che vivono in strada, lancia un appello al Commissario straordinario per l’emergenza COVID perché rettifichi o integri l’ordinanza in questione: è indispensabile prevedere che anche i cittadini italiani senza dimora, gli extracomunitari e i comunitari irregolari presenti sul territorio italiano, ma privi della tessera sanitaria, possano fare al più presto richiesta di essere vaccinati. Solo così si sanerebbe un grave lacuna e si farebbero davvero gli interessi di tutti”. “
Il comunicato di Fio.PSD, Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora:
“La campagna vaccinale procede e tutti ci siamo messi idealmente in fila, aspettando il nostro turno. Insieme a noi, però, ci sono tante persone fragili, che aspettano senza essere sicure di riuscire ad ottenere un risultato concreto. Si tratta di chi è senza dimora, di chi ha solo una residenza fittizia, di chi non ha una tessera sanitaria, di chi è straniero in attesa di regolarizzare la sua posizione, di chi non sa o non è capace di prenotarsi on line, di chi è talmente fragile da avere perso tutti i legami formali con il sistema sanitario, tanto da non comparire nelle liste di chi avrà, quando sarà il suo turno, diritto ad essere vaccinato.
Il diritto a mettersi in fila
Tante di queste persone vivono o trascorrono il loro tempo in centri di accoglienza o in case famiglia e si rivolgono ai servizi di bassa soglia, supportati da operatori e volontari che ancora, nonostante molte petizioni e richieste formali, non sono stati equiparati agli operatori socio-sanitari di ospedali ed RSA, vaccinati – giustamente – tra i primi. Tuttavia sono obbligati a sottoporsi regolarmente al tampone, perché sono a rischio. Anche i nostri operatori aspettano il loro turno, ma è probabile che non si possano vaccinare prima di molti mesi, nonostante il livello di rischio del loro lavoro, perché sono in gran parte giovani.
Qualcuno ha detto – mostrando di ignorare ancora, come si fa dall’inizio della pandemia, l’universo della fragilità sociale – che uno psicologo di 35 anni non può passare davanti nella vaccinazione ad un ottantenne, che rischia di più di non uscirne vivo. Ma se lo psicologo è ogni giorno a contatto con trenta persone senza dimora in un centro di accoglienza, con fragilità sanitarie importanti come ad esempio HIV, diabete, cardiopatie, impossibili da isolare in caso di contagio, vaccinarlo non significherebbe rubare la dose all’ottantenne, ma prevenire che quel centro si trasformi in un cluster e quindi salvaguardare le stesse persone fragili che vi risiedono e gli altri ottantenni del quartiere e della città.
#aspettoilmioturno è il contrario di #saltolafila. Ma è un dovere di tutti noi assicurarci che le persone che vivono ai margini della società possano almeno prendere il numero e mettersi in fila, come tutti gli altri, verso una vita più serena. Loro e coloro che li assistono.”

Caporalato e lavoratori migranti (Foto: Consumatori Coop)
11 maggio 2021
Braccianti e caporalato – Sfruttamento e lavoratori migranti al tempo dei Covid-19. Il caso del campo di Cassibile, avviato lo scorso aprile. Un campo “costato 242 mila euro e che sarà gestito dalla Cooperativa Passwork e dalla Croce Rossa” raccontano gli attivisti del gruppo Borderline Sicilia in una loro testimonianza tra i campi, in provincia di Siracusa. Un luogo nato per ospitare i lavoratori migranti, ma che rischia di diventare oggetto di contestazioni di alcuni cittadini del luogo. “Quei migranti che ogni giorno alle cinque del mattino – che vengano dal campo istituzionale, dalle case affittate o dalle grotte dove si rifugiano – si recheranno sulla via principale del paese e verranno reclutati e caricati sui furgoncini dei caporali, nell’invisibilità, fuori dall’occhio dei riflettori”, dicono i volontari del gruppo siciliano. “Dai racconti dei lavoratori abbiamo ricostruito che i ritmi del loro lavoro prevedono il carico quotidiano di circa 100 cassette da 20 kg ciascuna, con salari che oscillano tra i 30 e i 40 euro al giorno per circa 9/10 ore lavorative. Ciò avviene spesso con la retribuzione di paghe fittizie a fronte di orari di lavoro non corrispondenti al vero, per cui i soldi percepiti dai braccianti sono sempre meno di quelli dovuti”. Manca ancora una presa in carico di questi lavoratori da parte della politica, che li integri fattivamente nel tessuto sociale. E non li renda lavoratori di serie B.
La testimonianza completa degli attivisti e volontari di Borderline Sicilia:
“Siamo stati a Cassibile (SR) giornate intere – nei campi e nelle vie della città – ascoltando le voci dei lavoratori migranti per riportare l’attenzione sullo sfruttamento lavorativo che imperversa nelle terre siciliane.
Venerdì 30 aprile, con un mese di ritardo sui tempi annunciati, il campo istituzionale di Cassibile – le “casette”, il “villaggio”, l’ostello” per migranti, nelle varie formulazioni utilizzate da stampa e politica – ha finalmente iniziato ad accogliere i lavoratori. Non tutti, ovviamente, ma solo quelli che hanno un contratto di lavoro, un documento d’identità e un permesso di soggiorno. Non tutti, poi, perché, come già abbiamo raccontato, i posti non sono neanche lontanamente sufficienti ad ospitare tutti i lavoratori arrivati a Cassibile in questi due mesi: dovevano essere 120, già troppo pochi; sono diventati 68 (17 container da quattro posti l’uno), per rispettare le normative anti-contagio.
Per comprendere la posta in gioco a Cassibile bisogna ascoltare le parole che nell’ultimo mese, e in particolare negli ultimi giorni, si sono fatte sempre più fitte. E bisogna poi confrontarle con i fatti, con la materialità della vita quotidiana delle persone che lavorano la terra in Sicilia orientale. La stampa ha dato risalto alle parole dei politici e delle istituzioni, e alla rabbia dei Cassibilesi. Noi abbiamo osservato tutto questo stando a Cassibile giornate intere e lo abbiamo fatto ascoltando le voci dei lavoratori.
Il giorno che di tutta questa vicenda verrà ricordato, e che già ha fatto il giro della stampa locale e nazionale, è giovedì 29 aprile, data dell’inaugurazione del campo. “Un esempio anti-caporalato”, “Cassibile è una realtà di integrazione”, “lo meritavano i residenti di Cassibile e i lavoratori stagionali”, si complimentano a vicenda il Comune e la Prefettura di Siracusa, nonché la Regione, durante la conferenza stampa di inaugurazione del campo, alla presenza del Capo del Dipartimento delle Libertà Civili del Ministero degli Interni, Michele Di Bari, il braccio destro della Ministra Lamorgese, incaricato di gestire l’accoglienza – che nei fatti si traduce più che altro in contenimento e repressione – dei migranti che arrivano in Italia.
Il campo è costato 242 mila euro e sarà gestito dalla Cooperativa Passwork e dalla Croce Rossa, anch’essi presenti all’inaugurazione. Chi vivrà all’interno non potrà cucinare in maniera indipendente, ma saranno serviti pasti una volta al giorno. Verrà anche fornito un servizio di navette per portare i lavoratori nei campi, ma il contratto con la ditta operatrice del servizio non è stato ancora firmato. “Così si sconfigge il caporalato”, dicono all’inaugurazione, ma siamo ormai a stagione inoltrata e le organizzazioni gestiranno il campo soltanto per due mesi, una prospettiva come minimo limitata.
Le alte cariche delle istituzioni hanno però presentato il campo come la risoluzione ai problemi di tutti: i lavoratori e gli abitanti di Cassibile. E invece, a contrada Palazzo, dove sorge il campo, una cinquantina di residenti ha dato vita ad un presidio di protesta, sfilando con maglie e cartelli “#NoVillaggio”, “Meno ghetto, più integrazione”, “Più servizi per i cittadini”, mentre alle loro spalle campeggiava uno striscione “Vergogna Italia di merda”. Lo striscione, almeno inizialmente, poteva anche suscitare qualche ironia visto che alla testa del presidio c’erano un esponente politico della destra nazionalista e un rappresentate del comitato “Giovani Cassibilesi”, con tanto di maschera e bandiera italiana, delle stesse idee politiche. Ma l’umorismo finisce ascoltando le parole di rabbia di questi abitanti, che se la prendono con uno stato che non ha mai asfaltato le strade della contrada, in cui da cinquant’anni vengono fatte promesse senza che poi vengano mantenute.
Il disagio è reale, ma la politica, in ogni caso, lo strumentalizza. E così gli aitanti politicanti locali hanno iniziato a soffiare il fuoco dell’odio razzista, “prima si risolvano i problemi dei residenti”, “noi qui non li vogliamo”, la protesta contro il campo è diventato un pretesto per prendersela con i lavoratori migranti che ormai da vent’anni sono i lavoratori essenziali di grossa parte del comparto agricolo siciliano. Hanno preso un disagio reale – l’abbandono delle periferie e del Sud da parte delle istituzioni – e lo hanno trasformato con piroette retoriche in un comizio pieno di sciovinismo e di apologia verso i padroni, a danno tanto dei lavoratori in generale quanto dei lavoratori stranieri.
Ed è così che si è arrivati a momenti di alta tensione. Mentre la polizia sbarrava l’ingresso al campo, impedendo ai contestatori di rovinare l’inaugurazione, una rappresentanza della CGIL è arrivata con una bandiera è stata aggredita dalla folla per poi essere allontanata dalla Digos presente sul posto. Il lavoro dunque è rimasto senza rappresentanza a questa inaugurazione.
A farsi largo è invece la tensione e presto, ne siamo tristemente abbastanza sicuri, la paura.
Il campo è infatti collocato alla fine di contrada Palazzo: lo si può raggiungere soltanto attraversando la strada principale del quartiere dove abitano i contestatori. I lavoratori si troveranno dunque costretti ad attraversare un luogo ostile diverse volte al giorno. E una prima dimostrazione di come questa struttura possa diventare ostaggio della rabbia è già arrivata la notte prima dell’inaugurazione: i tubi fognari che collegano la contrada, e il campo, al resto della città sono stati sabotati, provocando sversamenti di liquami nei pressi del luogo dove in poche ore avrebbero sfilato le istituzioni.
La vigilanza h24 della struttura, che è stata presentata come un diritto dei lavoratori, è dunque in realtà il risultato delle crescenti tensioni in quartiere e dell’infelice collocamento del campo. Il risultato, già abbastanza evidente, è che si sta venendo a creare una situazione dove l’intervento umanitario si mischia con pratiche di sorveglianza ai limiti del detentivo, così come succede dovunque si adottino soluzioni emergenziali a problemi strutturali.
“Diamo dignità ai lavoratori”, dicono. Eppure, sembra sempre più che questi vengano trattati come corpi docili da controllare in ogni singolo momento della giornata: dal letto fino ai campi, senza però prevedere controlli a tappeto sul rispetto delle normative contrattuali dove lavoreranno. Non sorprende, dunque, che a questo approccio i lavoratori abbiano risposto finora con diffidenza, nonostante le condizioni abitative totalmente disastrate con cui si sono dovuti confrontare nell’ultimo mese.
“Noi stiamo facendo il Ramadan, vogliamo poter cucinare e mangiare insieme, e al campo non si può”, dicono alcuni lavoratori che di esser trattati come bambini non hanno voglia; “Ma che è una prigione?”, si chiedono. Si confrontano con lucidità e un pizzico di amarezza per questa apertura rispetto alla quale non sono stati né interpellati, né invitati, né spesso neanche avvisati, “a Cassibile non ci sono leggi per il lavoratori”. Alcuni di loro hanno provato ad avvicinarsi al campo durante l’inaugurazione, non per celebrare ma per iscriversi alle liste per il campo, ma sono stati allontanati dalla polizia “per il vostro bene”.
Dietro lo spettacolo di questo palcoscenico dove hanno sfilato istituzioni e capipopolo, dietro il finto ordine di un villaggio ghetto dove trovano spazio tanto le retoriche della sicurezza e della legalità quanto gli slogan razzisti e xenofobi, continuano ad esistere i lavoratori migranti che ogni giorno, da due mesi – nel bel mezzo della propaganda regionale e nazionale sul dormitorio di contrada Palazzo – permettono che la stagione di raccolta agricola vada avanti.
Quei migranti che raccolgono patate, finocchi e carote nei campi della Sicilia orientale. Quei migranti che ogni giorno alle cinque del mattino – che vengano dal campo istituzionale, dalle case affittate o dalle grotte dove si rifugiano – si recheranno sulla via principale del paese e verranno reclutati e caricati sui furgoncini dei caporali, nell’invisibilità, fuori dall’occhio dei riflettori.
Che siano dentro le maglie del sistema umanitario-detentivo del campo o che siano negli interstizi informali dell’autorganizzazione, i migranti vanno incontro al lavoro sfruttato.
Dai racconti dei lavoratori abbiamo ricostruito che i ritmi del loro lavoro prevedono il carico quotidiano di circa 100 cassette da 20 kg ciascuna, con salari che oscillano tra i 30 e i 40 euro al giorno per circa 9/10 ore lavorative. Ciò avviene spesso con la retribuzione di paghe fittizie a fronte di orari di lavoro non corrispondenti al vero, per cui i soldi percepiti dai braccianti sono sempre meno di quelli dovuti.
È il cosiddetto lavoro grigio – diverso dal lavoro informale vero e proprio – quello che imperversa nel siracusano: un sistema consolidato tra le aziende locali, con poche eccezioni, che evita il lavoro in nero e senza contratto, ma si fonda comunque sull’abuso e sulla violazione dei diritti.
Possedere il contratto lavorativo, infatti, non è sinonimo di regolarità e di giusto salario. Tant’è che i braccianti “regolari” sono ulteriormente sfruttati con ennesimi tagli sulla loro paga: ovvero i soldi dovuti ai caporali per il costo dei servizi di trasporto (dai 3 ai 7 euro), i soldi da loro decurtati sul lavoro a cottimo, per ogni cassetta riempita.
“Veloci, veloci!”, dicono i caporali ai braccianti che riempiono cassette nei campi. Se non si mantiene il ritmo dello sfruttamento si è fuori: veloci a lavorare, veloci ad abbandonare il campo informale sgomberato, veloci a rincorrere un posto per dormire nel villaggio, veloci a ripartire per un’altra tappa stagionale, veloci a dimenticare le violazioni che sulla loro pelle si consumano. Ai migranti è richiesta obbedienza immediata, come bestie da soma.
Il campo istituzionale non cambierà queste condizioni strutturali. In questo sistema assodato da anni, le ingiustizie legate allo sfruttamento lavorativo si compiranno indisturbate, poiché non c’è nessun interesse a colpirlo. Se mai, l’intenzione è di controllarlo e gestirlo.
Esclusi o inclusi nel campo, i migranti continuano ad essere vittime di un sistema criminale: perché il “villaggio” di Cassibile non è pensato per combattere il caporalato, ma per disciplinare e controllare i suoi abitanti sfruttati, per ordinare i braccianti che ogni anno transitano per la città dentro una struttura istituzionale legittima e normata, per nascondere ancora una volta l’umanità migrante agli occhi di chi non vuol vederla.
In questo modo, il campo sarà tutt’altro che “esempio di integrazione” e non garantirà alcuna legalità: favorirà invece la marginalizzazione dei migranti, i quali saranno strumentalizzati dalle istituzioni e dai razzisti, sfruttati da caporali e dai padroni, gestiti in quanto manodopera da disciplinare, esclusi dalla presa di decisioni che li riguardano, privati della dignità e delle tutele.
Tra meno di un mese sarà l’anniversario della morte di Siddique Adnane, 32enne pachistano ucciso l’anno scorso a Caltanissetta con cinque coltellate, dopo aver denunciato i caporali che sfruttavano dei braccianti agricoli suoi connazionali. Non è stato il primo né sarà l’ultimo a rischiare la vita nelle campagne del Meridione. E per lui la giustizia ancora non è arrivata.
Dalla morte di Siddique in Sicilia la situazione non è cambiata affatto: lo sfruttamento lavorativo dei migranti continua ad essere un fenomeno strutturale, una disfunzione criminale del sistema produttivo che cresce mentre lo Stato, complice, continua a lasciare gli stranieri nell’irregolarità giuridica e nel lavoro sommerso, alimentando vessazioni e abusi da parte dei più forti.
Invece di costruire muri e ghetti che escludono i migranti, basterebbe controllare le aziende che beneficiano della selezione di manodopera svolta per loro dai caporali, smettere di lucrare sui migranti criminalizzati che non hanno il permesso di soggiorno, sanzionare le ditte che evadono i contributi ed ingrassano i caporali. Si potrebbe poi sostenere le filiere corte, etiche e sostenibili, come già è stato proposto – con progetti validi e concreti – da realtà virtuose di lotta al caporalato.
Invece, retoriche e passerelle – che ancora una volta hanno escluso i migranti – hanno finito per emergere a livello mediatico, silenziando le voci in grado di restituire la gravità di questa realtà normalizzata ed accettata.
Ma al buio dei riflettori del palcoscenico – nella periferia dei campi di raccolta siciliani dove gli slogan non arrivano – i diritti continuano a marcire come frutta al sole.
A Cassibile e in Sicilia, ancora una volta, è andato in scena lo spettacolo di uno Stato debole con i forti che si accanisce contro gli sfruttati.”

Sos minori pedofilia (Foto: Moige)
6 maggio 2021
Minori e pedofilia – Ieri era la Giornata Mondiale contro la pedofilia, un fenomeno che nell’ultimo anno è cresciuto, complice l’isolamento in casa dei più piccoli. Vittime sono spesso bambini sempre più fragili per età. E il cyberbullismo non è da meno. Aumentano i casi nei primi 4 mesi del 2021: “77 le denunce che riguardano bambini sotto i 13 anni contro i 34 casi del primo quadrimestre del 2020”, come riportano i dati raccolti dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni. I mesi trascorsi in casa, e la solitudine in cui vengono lasciati i bambini e ragazzi, hanno favorito l’avvicinamento del pedofilo che “si serve proprio della solitudine presente nella vita del bambino per colmarla, per divenire amico, per diventare una figura di riferimento, per farlo cadere in una trappola emotiva”, spiega l’Associazione Meter, guidata da don Fortunato Di Noto, nel suo ultimo Report annuale sulla pedofilia e pedopornografia. Per questa ragione don Fortunato Di Noto nel Report dell’Associazione ricorda che “un bambino amato non sarà mai abusato”.
Il Rapporto completo della Polizia Postale e delle Comunicazioni. Di seguito, un estratto del Rapporto 2020 dell’Associazione Meter:
“Nel 2020, la Polizia Postale e delle Comunicazioni ha potuto rilevare un complessivo incremento pari al 77% dei casi in cui sono stati compiuti reati online in danno di bambini e ragazzi: pedopornografia, adescamento online e cyberbullismo ma sorprendemente anche estorsioni sessuali, revenge porn e truffe sono fra i tipi di aggressioni rivolte ai più piccoli in rete.
Il Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia Online ha potuto rilevare che sono i reati di sfruttamento sessuale dei minori realizzati tramite socialnetwork, circuiti di file sharing, darknet a conoscere gli incrementi più gravi: per i più giovani socializzare, innamorarsi, litigare, partecipare alle lezioni passa, per un lungo anno, soprattutto attraverso smartphone, tablet e pc. Questo attrae l’attenzione di adulti interessati ad interazioni sessuali in rete con bambini e adolescenti ed aumenta la circolazione di immagini pedopornografiche: nell’anno del covid (2020) i casi trattati sono aumentati del 132% e gli abusanti indagati del 90%.
Nel 2021, il trend in crescita non accenna a dare tregua e travolge bambini sempre più fragili per età: solo nel primo quadrimestre del 2021, si verificano incrementi pari al 70% dei casi trattati per reati connessi con la pedopornografia e l’adescamento online rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Bambini piccolissimi di età compresa tra 0 e 9 anni vengono agganciati sui social, sulle app di gioco e condotti in relazioni tecnomediate di tipo abusante da adulti senza scrupoli; solo nei primi 4 mesi di quest’anno 52 casi a fronte dei 41 dell’intero anno precedente.
La noia, la mancanza di prospettive, l’isolamento sociale, la monotonia trovano in rete il modo di esplodere in casi di diffamazioni e dispetti in rete tra coetanei. Anche il cyberbullismo subisce l’effetto di innesco della pandemia e registra un incremento dei casi di denunce pari al 96%. E si riconferma, anche per i casi di cyberbullismo, il coinvolgimento di bambini sempre più piccoli. Sempre nei primi 4 mesi dell’anno sono già 77 le denunce che riguardano bambini sotto i 13 anni contro i 34 casi del primo quadrimestre del 2020.
Ma i dati inquietanti non finiscono qui. L’influenza esercitata da un approccio sempre più precoce e massiccio alle nuove tecnologie, ai social, alla messaggistica rivela il suo lato oscuro anche in riferimento al rischio che i minori stessi siano autori di condotte gravi e lesive. Negli ultimi 5 anni il numero complessivo dei minori denunciati per aver commesso reati online è cresciuto ad un ritmo vertiginoso, con un incremento pari al 213%. Ragazzi sempre più giovani che sono accusati di reati sempre più infamanti: adolescenti che fanno circolare immagini sessuali di ex-fidanzatine, si scambiano file pornografici e immagini di abusi sessuali di minori, insultano e denigrano compagni e conoscenti. Negli ultimi 5 anni, l’età media dei ragazzi accusati di reati gravi come la pedopornografia si è abbassata di un punto, passando dai 16 ai 15 anni del 2020 ed è in crescita l’interessamento di ragazzi anche non ancora imputabili. Nel 91% dei casi sono maschi che contribuiscono a far circolare materiale pedopornografico e che entrano nel circuito penale minorile con un’etichetta grave ma di difficile inquadramento rispetto a livelli di consapevolezza spesso labili e condizionati dall’impulsività del gesto cibernetico.”
Rapporto Meter 2020
“Meter nel 2020 ha segnalato 692 cartelle compresse RAR. Dunque ai numeri descritti in precedenza si aggiungono le cartelle compresse, che possono contenere enormi quantità di file. È facile immaginare quanto sfuggente e incalcolabile sia il fenomeno e soprattutto quante vittime miete. Ricordiamo che dietro ai numeri ci sono bambini in carne ed ossa non degli attori, le scene riprodotte non sono finzione filmica ma reportage di una realtà dilagante, in crescita esponenziale e con guadagni da capogiro. La criminalità che sta dietro al fenomeno, produce e vende il materiale pedopornografico con un ingente riscontro economico, prova ne è il fatto che esistono categorie di interesse, gallery appositamente create per stuzzicare l’interesse dell’utente perverso. Attraverso vere e proprie “strategie di mercato” viene sondato il reale interesse degli utenti al fine di produrre materiale coerente alla richiesta, per ottenere maggiore profitto. Gli utenti possono liberamente esprimere le loro preferenze votando la loro categoria preferita. Un orrore senza fine.
Esistono diverse tipologie di pedofili che utilizzano la rete:
- closet collector (collezionista armadio): conserva gelosamente la sua collezione pedopornografica e non è mai coinvolto, in prima persona, in abusi sui minori;
- isolated collector (collezionista isolato): colleziona pedopornografia, scegliendo una categoria in particolare, ed è coinvolto direttamente nell’abuso sui minori;
- cottage collector: condivide la sua collezione e le sue attività sessuali con altri, ma non ne trae profitto;
- commercial collector (collezionista commerciale): è coinvolto personalmente nello sfruttamento sessuale dei minori e produce, copia, vende materiale pedopornografico.
- pedo-crime (organizzato): struttura complessa e gerarchica, che con il consenso forzato dei genitori, aggancia le piccole vittime per metterle a disposizione per scopi meramente di violenza sessuale, al fine di trarne business eco-nomico, con incontri reali o virtuali.
La rete non è esclusivamente uno strumento di diffusione di foto e di video che i pedofili e i pedopornografi utilizzano per arricchirsi, ma serve anche a “difendere” la pedofilia e a tentare un’opera di normalizzazione. Una vera e propria lobby strutturata e ben organizzata (raccolta fondi e giornata internazionale pro-pedofilia) che fornisce consigli su come adescare i bambini e indica siti online dove è possibile trovare foto e video con contenuti pedo-pornografici. Innumerevoli sono i gruppi, “le stanze”, dove si raccontano le storie di incontri sessuali con minori e dove si somministrano test per “misurare” l’attrazione sessuale verso i bambini. Per contrastare l’ideologia pedofila la Convenzione di Lanzarote del 25 ottobre 2007, ratificata dall’Italia nel 2012 con la legge n.172, ha introdotto nel nostro ordinamento l’art. 414 bis del Codice Penale.
I bambini vittima di pedofilia hanno una caratteristica che li accomuna: LA SOLITUDINE. Il pedofilo si serve proprio della solitudine presente nella sua vita per colmarla, per divenire amico, per diventare una figura di riferimento, per farlo cadere in una trappola emotiva. Viene definita trappola emotiva perché il bambino, in teoria, se volesse potrebbe chiedere aiuto, potrebbe rivolgersi ai genitori, agli insegnanti, ai catechisti, a chiunque gli stia vicino; ma in realtà i suoi sensi di colpa (instillati dal pedofilo), lo portano a non raccontare nulla, a mantenere il segreto, a continuare a subire. il bambino, solo se spinto dalla speranza di essere compreso e aiutato, riuscirà a raccontare e a ritornare libero.”

Globe Theatre Occupato (Foto: Rete lavorat* dello spettacolo e della cultura)
19 aprile 2021
#GlobeTheatreOccupato e riapertura teatri – Dopo cinque giorni di dibattiti, tavoli tematici e occupazione, ieri la Rete dei lavorat* dello spettacolo e della cultura ha riconsegnato lo spazio al Comune di Roma. In attesa del 22 aprile, in cui è previsto il tavolo interministeriale con il ministero della Cultura e il ministero del Lavoro, prosegue a distanza il dibattito che ha coinvolto lavoratori e individualità che sono intervenuti in questo spazio di autorganizzazione. L’autorganizzazione ha portato all’attenzione delle istituzioni una categoria che fino ad un anno fa era rimasta completamente invisibile, “attivando nuove forme di relazione con le istituzioni e lasciando così emergere l’inadeguatezza delle vecchie forme sindacali in un settore fortemente frammentato e precarizzato”, spiega in un comunicato conclusivo la Rete dei lavorat* dello spettacolo e della cultura. L’attesa per il tavolo interministeriale punta all’ottenimento di condizioni di lavoro sicure per tutti, senza fermarsi all’ “annuncio della nuova falsa ripartenza del 26 aprile. (…) La salute per noi non è un diritto negoziabile.” “È questo il tempo in cui cospirare per disfare e rifare il mondo”, conclude la rete di lavoratrici e lavoratori.
Il comunicato conclusivo della Rete dei lavorat* dello spettacolo e della cultura:
“Ieri domenica 18 aprile, al termine dell’ultima agorà cittadina, la Rete dei Lavorator* dello spettacolo e della cultura che per cinque giorni ha occupato il Globe Theatre di Roma, ha lasciato lo spazio riconsegnando in ottime condizioni all’amministrazione comunale e al Teatro di Roma – Teatro Nazionale.
Una temporalità che ha sancito l’efficacia dell’azione e delle attività che vi si sono svolte all’interno, proponendo un modello di lotta radicale e incisiva, oltre che inclusiva, accurata e sostenibile.
“Usciamo, stavolta, perché tutto questo possa entrare ovunque: nei luoghi di lavoro, negli spazi della città, nelle vite delle oltre 3000 persone che in questi giorni hanno attraversato il Globe Theatre Occupato, e anche quelle di tutti* gli/le altri/e. Questo è solo il primo dei tanti prossimi passi che dobbiamo continuare a fare insieme.”
Non è che l’inizio: il 22 aprile porteremo le nostre proposte al tavolo interministeriale con il Ministro della Cultura e il Ministro del Lavoro, tavolo che immaginiamo come tappa di un percorso aperto e inclusivo che vada ben oltre la data dell’ennesima “falsa ripartenza” del 26 aprile.
Senza garanzie del prolungamento dei sussidi, tutele sociali e protocolli sicuri per tornare a lavorare saranno poch*, pochissim*, sia i singoli lavorator* che spazi teatrali e di produzione.
Questa occupazione ha dimostrato quanto, attraverso l’autorganizzazione e la pratica collettiva, sia possibile dar vita a uno spazio di socialità sicuro e inclusivo.
Il Globe Theatre Occupato in questi giorni è stato un luogo attraversato da più di 3000 corpi, in cui declinare il concetto di sicurezza non solo in termini esclusivamente sanitari grazie ai presìdi di medici solidali ma anche e soprattutto relazionali, dando vita ad una dimensione in cui fosse davvero possibile prendere parola e mettersi in ascolto.
Permeabilità e cura sono alcune delle parole che descrivono la qualità di questa esperienza, che si è configurata come un laboratorio di complessità, in cui hanno trovato casa le specificità e le diversità che caratterizzano la Rete, senza correre il rischio dell’omologazione e né dell’isolamento identitario.
Nella volontà di tenere insieme il pensiero e la pratica, il singolo e il collettivo, queste giornate hanno offerto alla città la possibilità di ritrovarsi in un’Agorà pubblica, momento essenziale della partecipazione materiale ai processi politici e alla costruzione di una visione comune. Il lavoro dei tavoli tematici ha poi permesso di approfondire e intrecciare tutti gli aspetti che riguardano lo spettro complesso delle nostre vite, elaborando proposte e modelli concreti di ripensamento del sistema cultura che possano essere replicati anche altrove.
Reddito universale, formazione, precarietà, contratti nazionali, redistribuzione dei fondi pubblici, sessismo, violenza, razzismo: questi i temi attorno ai quali abbiamo ragionato, oltre qualsiasi prospettiva di settore, e che crediamo debbano al più presto diventare le priorità dell’agire politico.
Oggi usciamo da questo luogo con diversi risultati, tanto sul piano del consolidamento del nostro processo politico, quanto su quello del riconoscimento istituzionale. Già nel primo giorno di occupazione, infatti, il Ministro Franceschini ha raggiunto il Globe Theatre Occupato, indicando il 22 aprile come data di quel tavolo interministeriale che la Rete richiede ormai con forza da un anno. Un fatto che dimostra come la spinta dell’autorganizzazione sia capace di portare a risultati concreti, attivando nuove forme di relazione con le istituzioni e lasciando così emergere l’inadeguatezza delle vecchie forme sindacali in un settore fortemente frammentato e precarizzato.
Cinque giorni di occupazione; cinque giorni di assemblee pubbliche, dibattiti, tavoli tematici, talk online. Cinque giorni in cui la Rete di lavorat* dello spettacolo e della cultura si è riappropriata di uno spazio tanto materiale quanto simbolico per generare nuove forme e pratiche collettive del fare politica. Un movimento che ha consolidato una dimensione nazionale e diffusa, dalle occupazioni di Milano e Napoli ai nodi territoriali arrivati da tutta Italia, e che si apre alle lotte europee di lavorat* dell’arte e della cultura per un’espansione del diritto al reddito di continuità per tutt* e per un’equa redistribuzione delle risorse sia nazionali che europee che arriveranno con il Recovery Plan.
Ieri 18 aprile lasciavamo il Globe Theatre di Roma, dopo averlo abitato con l’obiettivo preciso di continuare a disfare e rifare il mondo, rimettendo in circolo un’aria finalmente diversa: fresca, stratificata, in movimento.
Dopo un anno di chiusure, di limitazioni, di normative contraddittorie e sostegni insufficienti oltre che escludenti, non ci accontentiamo però di tornare semplicemente a respirare. Noi pretendiamo di poter determinare e trasformare la qualità di quella stessa aria che respiriamo, tossica da ben prima della pandemia.
E sappiamo che per farlo è necessario dar vita ad un processo di combustione che cominci a bruciare ciò che opprime.
Se ieri eravamo sol* a respirare, da oggi noi cospiriamo: un respiro collettivo che nutre e dà forma a un fare collettivo, comune.
Le diseguaglianze che segnano il settore dell’arte, dello spettacolo e della cultura sono diventate ancora più critiche nella pandemia, e servono trasformazioni profonde del sistema, non misure d’emergenza – dalla riscrittura dei contratti nazionali in scadenza, a forme di reddito inclusivo e senza condizioni, alla revisione dei criteri di distribuzione delle risorse pubbliche.
Questa occupazione è stata perciò un atto necessario, costruito a partire da più di un anno di lotte in cui le/gli lavorat* della cultura e dello spettacolo hanno preso parola su ciò che non può più essere rimandato: il riconoscimento di diritti sociali, tutele e spazi di agibilità indispensabili per le nostre vite.
Un’azione determinata, radicale, praticata con consapevolezza e cura, che ci ha permesso di creare uno spazio in cui mettere in moto le intelligenze collettive, focalizzare le esigenze di un settore in continua stratificazione e leggerle alla luce di un contesto più ampio, generale e intersezionale. Il Globe Theatre Occupato è divenuto il luogo di un innesco, una combustione in movimento, fatta di reazioni, propagazioni, interazioni, radiazioni luminose.
Siamo ben consapevoli che questa data strappata al Ministro dalla Rete non è che l’inizio di un dialogo reale sui temi che ci riguardano, di cui andranno verificati di volta in volta i contenuti. L’annuncio della nuova falsa ripartenza del 26 aprile e il relativo protocollo di sicurezza ci dimostrano nuovamente l’incapacità di comprendere l’effettiva situazione in cui vive il sistema dello spettacolo, assomigliando più a un goffo tentativo di aggirare la presa in carico delle proprie responsabilità.
Dal Globe Theatre Occupato abbiamo ribadito con forza quanto la ripartenza non sia la soluzione, se non sarà possibile tornare a lavoro per tutt* e in sicurezza; quanto ragionare in termini di rivendicazioni categoriali sia del tutto insufficiente e inefficace; quanto oggi sia indispensabile tornare a mettere in campo i nostri corpi, la nostra forza e le nostre competenze per trasformare ciò che ci riguarda. La salute per noi non è un diritto negoziabile.
È questo il tempo in cui rimettere la felicità e i desideri al centro del nostro agire politico, è questo il tempo di rivendicare la gioia che emerge dallo stare insieme come pratica fondante del nostro cospirare per disfare e rifare il mondo.”

Morbo di Alzheimer (Foto: ItaliaSalute)
16 aprile 2021
Covid-19 e oltre – La situazione dei malati di malattie neurodegenerative, tra cui l’Alzheimer, in questi mesi di pandemia è spesso complicata dal silenzio e dai mancati interventi a tutela dei malati e dei familiari caregivers. L’appello e la petizione lanciati sulla piattaforma Change da Carmela Sorvillo per chiedere più attenzione a quanti assistono un genitore o un parente malato di Alzheimer. “I centri diurni sono chiusi da oltre un anno – si legge nella lettera/petizione – ed i permessi parentali non sono sufficienti per un figlio che debba seguire un genitore malato di Alzheimer, laddove non sono addirittura osteggiati.”
Il link per firmare la petizione http://chng.it/csckBzF2
Il testo della petizione/lettera:
“Caro presidente Mattarella, caro presidente Draghi, caro Ministro del lavoro e delle politiche produttive, caro Ministro della sanità e carissimo Papa Francesco, scrivo a nome di tutti coloro che assistono familiari con disabilità che non sono solo o esclusivamente genitori, ma anche figli o fratelli di ANZIANI MALATI di ALZHEIMER o di altre malattie neurodegenerative.
In questo periodo, pur comprendendo l’importanza della figura genitoriale e la necessità di supporto per le famiglie con figli giovani, ancora da crescere, realtà quotidiana che per anni ho vissuto e capisco a pieno, sento che manca una speciale attenzione a tutti coloro che assistono gli ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTI che, per alcuni versi, sono gestibili con maggiori difficoltà connesse peraltro a situazioni deficitarie e di malattia.
Quotidianamente i media ci parlano delle iniziative e dei supporti del governo in termini di bonus babysitter, congedi e quant’altro ma non viene mai trattato il tema dei supporti alle famiglie con anziani disabili.
Sono figli, fratelli, conviventi o quant’altro e sono ancora inseriti in un contesto produttivo in cui faticano per rimanere a galla!
Sono quelli della porta accanto che rimangono svegli la notte insieme alla mamma e che di giorno attraversano la città per guadagnarsi da vivere… Tornando infine la sera stanchi, con figli e mariti o mogli che reclamano un po’ di attenzione.
Non ho mai assistito ad interventi di politici o di figure istituzionali che abbiano messo a fuoco questa problematica, a tutt’oggi silente.
I CENTRI DIURNI SONO CHIUSI ORMAI DA UN ANNO ed i permessi parentali non sono sufficienti per un figlio che debba seguire un genitore malato di ALZHEIMER, laddove non sono addirittura osteggiati.
Purtroppo si tratta di una realtà che oltre ad imporci una continua presenza, sia attraverso strutture sia grazie al nostro intervento, comporta altresì risvolti altamente stressanti e destrutturanti che richiedono sempre più un aiuto:
- Fate riaprire i CENTRI DIURNI
- Garantite la vaccinazione per tutti coloro che supportano un malato di Alzheimer
- Ampliate il numero di PERMESSI fruibili per i detentori della LEGGE 104
- Potenziate il network esistente a supporto delle famiglie e L’ASSISTENZA DOMICILIARE
Mi auguro leggiate questa mia e che vogliate considerare concretamente il problema che molti di noi vivono quotidianamente in termini di tutele e servizi.
NON LASCIATECI SOLI!
Grazie”

Occupazione Globe Theatre, Roma (Foto: Rete lavoratori spettacolo e cultura)
15 aprile 2021
Teatri e chiusure – Da ieri la rete composta da collettivi di lavoratrici e lavoratori dello spettacolo e della cultura occupa il Globe Theatre a Roma. Le richieste della categoria, fatte già un anno fa, mancano ancora di un tavolo interministeriale che discuta e porti avanti le proposte dei movimenti di lavoratori. Ieri, in modo imprevisto, il Ministro della cultura Dario Franceschini si è recato al Globe Theatre durante l’assemblea e ha garantito l’impegno in favore della categoria. “E’ una grande operazione che dobbiamo fare con il ministero del Lavoro, ascoltando le associazioni di categoria”, ha dichiarato. Prosegue intanto la manifestazione di artisti e singole individualità cittadine per chiedere tutele lanciata dalla frase “A noi gli occhi, please”. Dai collettivi di lavoratrici e lavoratori fanno sapere che “Non è possibile rimandare ancora la convocazione di un tavolo interministeriale con Mic, Mef e Mips: c’è bisogno di parlare del nostro lavoro, delle nostre vite e delle nostre economie necessarie per riformare il settore. Un tavolo in cui è imprescindibile la rappresentanza diretta dei movimenti delle lavoratrice e dei lavoratori, perché non siamo più disposti/e a delegare.”
Il comunicato della Rete delle/gli lavoratrici/tori dello spettacolo:
“Questa assemblea cittadina, che da più di un anno si organizza dal basso, si mobilita, si interroga e si confronta, oggi sente la necessità di un tempo e di uno spazio per allargare la discussione e includere le altre forme di pr